Nuovo processo per l'omicidio di Bucchino nel 2003 a Lamezia. Cassazione: "Motivazioni di condanna carenti"

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Lamezia Terme - "Carenze motivazionali" ed ancora omissione di una "compiuta verifica sulle dichiarazioni raccolte" e relative alla responsabilità dell'imputato. Sono diversi i punti su cui i giudici della corte di Cassazione si sono soffermati per decidere di annullare lo scorso mese di novembre la sentenza che aveva condannato a 30 anni di reclusione Peppino Daponte per l'omicidio di Pietro Bucchino avvenuto nel 2003 a Sambiase. nei giorni scorsi, sono state depositate le motivazioni con le quali i magistrati della Suprema corte hanno spiegato il perché il processo di secondo grado è da rifare. A distanza di oltre 30 anni, dunque, non si ha un quadro definitivo e un'ultima parola processuale sulle responsabilità dell'omicidio che - almeno stando alle indagini dell'epoca e ai successivi processi - potrebbe essere maturato in un contesto di criminalità organizzato e la vittima presumibilmente punita su decisione delle cosche.

"Non aveva rispettato il territorio - si legge nelle motivazioni depositate e relative alla sentenza della Cassazione - sotto il controllo mafioso della cosca lannazzo. Nonostante fosse stato più volte avvertito dagli esponenti del gruppo lannazzo-Daponte, l'imputato aveva perseverato nelle sue condotte "irrispettose" cosicché era stata decisa la sua eliminazione". Emerge anche da quanto affermano i magistrati romani, che l'imputato - condannato a 30 anni dalla corte d'Appello di Catanzaro e difeso dai legali Salvatore Staiano, Renzo Andricciola e Vincenzo Cicino - era stato accusato dai collaboratori di giustizia Matteo Vescio e Gennaro Pulice, di essere l’esecutore materiale dell omicidio ed è proprio sui riscontri e sull'uso di queste dichiarazioni che oggi si sono soffermati nelle motivazioni i giudici della Cassazione per annullare la sentenza e richiedere la ripetizione del processo d'appello.

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