Operazione “Giù la testa”: tabaccaio ucciso per non essersi piegato alla cosca a Reggio

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Reggio Calabria - La polizia di Stato ha arrestato a Reggio Calabria il presunto mandante e esecutori dell'omicidio di Bruno Ielo, tabaccaio ucciso con un colpo di pistola alla testa il 25 maggio 2017. Si tratta di Francesco Mario Dattilo, indicato come il killer operativo, e Francesco Polimeni e Cosimo Scaramozzino.

Il commerciante 66enne, per l'accusa, fu ucciso su mandato di un esponente della 'ndrangheta in modo plateale con una pistola abbandonata accanto al cadavere, perché non si era voluto piegare al diktat della cosca di chiudere la tabaccheria facendo concorrenza a quella del mandante dell'omicidio, elemento di spicco della famiglia Tegano. Killer e fiancheggiatori, secondo quanto scoperto dagli investigatori della Squadra mobile coordinati dalla Dda di Reggio Calabria, avrebbero agito in stretto raccordo operativo alternandosi ripetutamente lungo la strada che Ielo stava percorrendo per ritornare a casa. Acquisite e analizzate durante le indagini numerose immagini della videosorveglianza.

Bruno Ielo, già in precedenza era stato ferito da un colpo di pistola al viso in occasione di una rapina che, in realtà, secondo la polizia, aveva una finalità intimidatoria. Anche su quell'episodio gli investigatori della Sezione omicidi e della Sezione contrasto al crimine diffuso della Squadra mobile di Reggio Calabria ritengono di avere fatto chiarezza. L'8 novembre del 2016, Ielo era nella sua tabaccheria a Gallico quando due banditi fecero irruzione. Mandante, secondo l'accusa, era Francesco Polimeni, mentre gli esecutori sarebbero stati Francesco Mario Dattilo e Giuseppe Antonio Ciamarita. Sarebbe stato quest'ultimo, autonomamente, a sparare in faccia a Ielo che aveva opposto resistenza. La rapina, in realtà, per l'accusa era finalizzata a costringere il tabaccaio a chiudere la sua attività per consentire a Polimeni, gestore di una vicina tabaccheria, di accaparrarsi i guadagni derivanti dall'acquisizione della clientela della vittima. Gli investigatori hanno studiato le abitudini degli indagati, monitorato le loro condotte, analizzato le fattezze fisiche e il modus operandi e sono riusciti ad individuare elementi in comune tra la rapina e l'omicidio. Grazie a tecnologie di polizia scientifica è stato accertato che l'arma abbandonata da Dattilo sul luogo dell'omicidio era dello stesso modello di quella usata sempre da lui durante la rapina dell'8 novembre 2016, una Beretta mod. 70 cal.7.65. Gli investigatori ritengono quindi che per commettere l'omicidio, Dattilo abbia utilizzato la stessa pistola del ferimento.

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