Operazione Jonny: “Il centro di accoglienza era il bancomat della mafia” - VIDEO

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Catanzaro – “Non siamo appagati e riteniamo che si possa fare di più”. Poche ore dopo aver smantellato, come si dice in gergo, messo sotto scacco, e fermato 68 persone che ruotavano nel giro di affari legato alla cosca degli Arena, il procuratore capo di Catanzaro, Nicola Gratteri, non accenna a voler arretrare di un solo centimetro in termini di lotta alla criminalità organizzata. Una inchiesta a tutto tondo, quella che hanno portato avanti tutte le forze dell’ordine in servizio in Calabria e che si è tradotta in quella che è stata chiamata operazione “Jonny”, il nome in codice di un carabiniere del Ros che ha seguito l’inchiesta ed è stato parte fondamentale di queste indagini ma che è stato strappato alla vita, stroncato da una malattia. Un tributo agli uomini e alle donne delle forze di polizia che si prodigano affinché la ‘ndrangheta e tutto ciò che ruota intorno ai suoi loschi giri di affari, venga fermata.

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Gratteri: Il Cara è diventato un grosso business per milioni di euro

Tanti e svariati aspetti, tante ramificazioni che partono dalle indagini strettamente legate al controllo degli Arena sul territorio di Isola Capo Rizzuto e che poi hanno scoperto una capillare organizzazione su tutto il territorio, anche fuori provincia, arrivando anche nel catanzarese. Diversi e organizzati gli ambiti. Si passa dall’estorsione “che passa da Isola – ha spiegato Gratteri – e arriva alla fascia Jonica catanzarese”, c’è il gioco online, con una società maltese che gestisce il gioco per conto della ‘ndrangheta, c’è poi il Centro di Accoglienza di S. Anna ad Isola Capo Rizzuto, la miniera d’oro per le casse della cosca. “Sono situazioni tristi – ha commentato Gratteri – con i migranti costretti a condizioni di vita precarie mentre la cosca Arena, il presidente della Misericordia e il parroco di Isola, ingrassano. Il Cara – ha concluso – è diventato un grosso business per milioni di euro”.

Luberto: 32 milioni di euro per il Cara sono finiti in mano alla ‘ndrangheta

Ad eviscerare tutti i punti dell’inchiesta, il procuratore aggiunto Vincenzo Luberto che ha coordinato le indagini insieme ai sostituti Vincenzo Capomolla e Domenico Guarascio. Tutto ruotava intorno agli Arena ma non solo: “Isola Capo Rizzuto è una galassia di cosche” ha spiegato il procuratore che ha poi aggiunto “fino ai primi anni del 2000 non vi era pace tra di esse ma qualcosa cambia nel 2004 quando arrivano i soldi per l’accoglienza e la guerra sarebbe stata controproducente in un momento in cui bisognava allocare le risorse”. E allora tutti volevano mettere le mani nel sacco e attingere da quel pozzo di soldi che, secondo le indagini, era diventato il Cara. Tutto ruotava intorno al denaro: tramite l’intermediazione della Misericordia di Isola, che otteneva l’appalto, questa, essendo una organizzazione senza fini di lucro, trasmigrava ad altre che potevano prendere in subappalto, “a fronte di una erogazione statuale dal 2006 ad oggi di circa 100 milioni di euro, 32 milioni di euro sono finiti alla cosca di Isola Capo Rizzuto”. Non solo ‘ndranghetisti ma anche un uomo di chiesa, don Edoardo Scordio, sacerdote che avrebbe ottenuto finanziamenti per 150mila euro per assistenza spirituale. Ma Luberto non si limita a spiegare il meccanismo dello sfruttamento dell’accoglienza, ma ha parlato anche di Catanzaro, spiegando che non si tratta di “una isola felice” poiché proprio gli Arena si sarebbero imposti nel capoluogo, “con intimidazioni violente e simboliche, sempre con lo stesso cliché”.

Comandante Ros Governale: II centro di accoglienza era il bancomat della mafia

“Le mani della mafia sono ovunque, ora ha un volto diverso, che abbiamo imparato a conoscere e che si serve di strumenti più subdoli”. Il comandante dei Ros dei Carabinieri, il generale Giuseppe Governale, parla di quello che viene definito “business ad ogni costo”. “È la ‘ndrangheta che presceglie i suoi uomini e li fa lavorare per essa, - ha affermato – e tra questi ci sono anche il presidente della Misericordia di Isola, il parroco, imprenditori, ‘ndranghetisti che crescono con soldi della ‘ndrangheta e sono quindi affidabili per la gestione in subappalto di un altro ente”. Ma il suo, come quello di altri rappresentanti delle istituzioni nel corso della conferenza stampa, è un intervento mirato a far capire, "a far passare il segnale – ha specificato -  che di fronte alla tracotanza della ‘ndrangheta c’è la risposta della squadra dello Stato”.

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De Santis: Si tratta di una holding a tutti gli effetti dal punto di vista economico

Il lavoro delle forze dell’ordine è stato sinergico da più parti: come ha spiegato il direttore dello Sco, Alessandro Giuliano, hanno lavorano insieme anche la Squadra Mobile di Crotone e quella di Catanzaro, su differenti punti di vista ma con un unico obiettivo: disarticolare la cosca Arena e le sue ramificazioni nei vari settori del territorio calabrese. Nel catanzarese si era sviluppata, come ha spiegato il capo della Mobile di Catanzaro, Nino De Santis, una cellula della famiglia Arena, con i propri ruoli e i propri compiti. Così è stato monopolizzato in tutti i sensi il business delle estorsioni ai danni di negozi o imprese, con conseguenti danneggiamenti che hanno caratterizzato il capoluogo. Tutto ciò “testimonia – ha sottolineato - la volontà di espansione della cosca Arena e di come sia indicazione dell’ulteriore rischio nelle attività di questa famiglia, cioè quello di ingigantirsi come una metastasi che stava incancrenendo buona parte del territorio della Calabria centrale".

Lelario: le mani degli Arena sui reperti archeologici, un altro modo per rimpinguare le casse della cosca

Il neo capo della Squadra Mobile di Crotone, Nicola Lelario, ha spiegato il meccanismo del traffico di reperti archeologici: “gli Arena avevano diritto di prelazione, un “diritto alla chiamata” – ha spiegato Lelario – e qualora non fossero interessati, si passava al mercato nero. Si avvalevano poi di consulenti, anche esperti rinomati del settore, così che si potesse elevare il valore economico dei reperti, con una plusvalenza sempre maggiore”. “Anche questo, - ha commentato il cpao della Mobile di Crotone – per quanto possa sembrare residuale, era un modo di investire e che andava a rimpinguare le casse della cosca”.

L’interesse degli Arena nel gioco online e delle scommesse: in un anno un profitto da 1 milione 300mila euro

Si aggira intorno ad un milione e 300 mila euro, il denaro incamerato dalla cosca in un solo anno. Lo ha spiegato il colonnello Pantaleo Cozzoli, comandante provinciale della Guardia di Finanza di Crotone, che ha ricostruito il giro di attività illecite legate al “gaming”, disvelando il grande interesse della cosca per questo tipo di attività.

“Abbiamo monitorato i soldi, tutti i soldi che arrivavano e si tratta di dieci anni di accertamenti, 34mila operazioni bancarie” così il tenente colonnello Giuseppe Laterza, del nucleo polizia tributaria della Guardia di Finanza di Crotone, che ha spiegato come abbiano ricostruito tutte le operazioni commerciali, come se si trattasse di “una grande vasca da bagno, dal quale abbiamo dovuto seguire tutti gli altri rivoli”.

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Se da una parte c’è la soddisfazione del proficuo lavoro, dall’altro il Questore di Catanzaro, Amalia Di Ruocco è rammaricata per il numero esiguo di denunce. Ed è proprio su questo che si è focalizzato il suo intervento: un appello alla denuncia, sfruttando “questa congiuntura favorevole tra l’accordo importante di forze di polizia e la magistratura”. Il colonnello Marco Pecci, comandante provinciale dei carabinieri di Catanzaro, si è unito all’appello del Questore, ribadendo il concetto che è lo Stato a fare squadra ma che urge sempre più la necessità di una risposta dei cittadini, con la denuncia. Stesso discorso per il comandante della Guardia di Finanza, il generale Gianluigi Miglioli, che ha così commentato “ci sono tante uniformi, tanti colori ma il cuore è uno solo per dire basta, bisogna scegliere lo Stato e farlo capire ai calabresi”. Ha ribadito la sua vicinanza alla famiglia del carabiniere scomparso, il neo comandante della Legione Carabinieri Calabria, il generale Vincenzo Paticchio: ad una sola settimana dal suo insediamento, ha presenziato alla conferenza ribadendo, che le forze dell’ordine “sono persone che si dedicano con passione, concretezza e onestà al loro lavoro. Cerchiamo di dimostrarlo con nostra presenza. Noi viviamo questa esistenza, - ha poi concluso - come si vive una battaglia e con il desiderio di andare fino in fondo”.

Claudia Strangis

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