Agenti polizia penitenziaria in manette, Gratteri: "Carcere Cosenza in mano alle cosche, troppe omissioni"

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Catanzaro – “L'operazione odierna contro gli agenti “infedeli” della Polizia penitenziaria del carcere di Cosenza avrebbe potuto essere eseguita molti anni fa. Se qualcuno avesse messo in ordine le carte dell'inchiesta, gli arresti potevano essere eseguiti almeno 5 o 6 anni fa perché si tratta di un modus operandi che dura da sempre al carcere di Cosenza ma ci sono state tante anomalie e tante omissioni da parte di molti. Gli arrestati erano totalmente asserviti alle cosche cosentine, facevano entrare droga in carcere, “ambasciate”, hanno avuto la possibilità persino di fare riti di affiliazione”. Lo ha affermato il procuratore della Repubblica di Catanzaro, Nicola Gratteri, nel corso della conferenza stampa durante la quale sono stati illustrati i dettagli dell'operazione che ha portato all'arresto degli assistenti capo Luigi Frassanito, di 56 anni, e Giovanni Porco, di 53 anni, gli agenti di polizia penitenziaria del carcere di Cosenza arrestati oggi dai Carabinieri con l’accusa di aver favorito cosche di ‘ndrangheta all’interno della casa circondariale cosentina.

“Ringrazio il collega Falvo (il procuratore aggiunto, Camillo, ndc) – ha proseguito Gratteri – che ha fatto una grande ricostruzione storica, ha messo in ordine le dichiarazioni di collaboratori di giustizia che da tanti anni hanno ripetuto che il carcere cosentino era nelle mani della 'ndrangheta. La cose che più mi innervosisce – ha rilevato Gratteri – è il perché sia stato consentito che i detenuti 'ndranghetisti di Cosenza siano rimasti per anni a Cosenza, qual è la logica di detenere pericolosi 'ndranghetisti della città nella stessa città e perché sia stato possibile che gli stessi detenuti, attraverso le celle che si affacciano sulla strada comunicassero con i familiari o con chi volessero. Con questa operazione vogliamo comunicare all'opinione pubblica che questa Procura insieme ai Carabinieri non guarda in faccia nessuno, ma soprattutto che chi era preposto al controllo cioè tutta la struttura gerarchica del dipartimento penitenziario doveva intervenire e non è intervenuta. Mi auguro - ha concluso Gratteri – che gli arresti di oggi servano a costringere chi deve, dal direttore del carcere al direttore del Dap, ad intervenire per fare un po' di ordine quanto meno nell'applicazione del regolamento penitenziario che prevede che i detenuti di alta sicurezza della stessa zona criminale dovrebbero stare almeno a mille kilometri di distanza da Cosenza”.

Il comandante provinciale dei Carabinieri di Cosenza Piero Sutera ha messo in evidenza il lungo arco temporale che ha caratterizzato le indagini che va dal 2009 al 2015. “Sono stati attivati dei riscontri sia documentali che investigativi che hanno portato alla luce un quadro a tinte fosche perché all'interno del carcere vi erano dei soggetti che garantivano le capacità operative dei sodalizi criminali dando ulteriore seguito alla posizione di leadership che avevano soggetti detenuti nella casa circondariale con una serie di condotte: la possibilità di comunicare con l'estero attraverso le “ambasciate” che arrivavano direttamente ai destinatari o attraverso il classico metodo dei “pizzini”che veicolavano informazioni, liste di imprenditori oggetto di estorsione, elenchi di spacciatori dai quali dover recuperare le somme contanti per forniture di stupefacenti. Comunicazioni che avvenivano – ha spiegato Sutera - anche sulla base di una collocazione strategica di alcune che, posizionate al primo o al secondo piano, consentivano una comunicazione diretta con l'esterno del carcere perché il muro di cinta non è in grado di offrire una dovuta riservatezza".

"Inoltre – ha aggiunto il comandante Sutera – abbiamo riscontrato interferenze in merito a procedimenti giudiziari in corso, alcuni soggetti che erano in procinto di collaborare con la giustizia, questo dato è stato diffuso all'esterno con l'evidente intenzione di indurre tali soggetti a desistere dalla collaborazione. Poi c'era una piena libertà di manovra all'interno dell'istituto penitenziario al punto di rendere possibile, all'interno delle celle, vere e proprie riunioni tra soggetti sottoposti a regimi carcerari diversi. E in ultimo, ma non meno grave il fatto di aver reso assolutamente più confortevole il soggiorno in carcere facendo entrare alcolici, sostanza stupefacente e generi alimentari. A fronte di questo è stato documentato che vi era un ritorno in denaro di soldi che venivano tratti dalla cosiddetta bacinella ma anche altre forme ben più frivole di regalie fino ad arrivare a favori personali”.


Sutera ha poi voluto rimarcare comunque "il comportamento assolutamente corretto e onesto della stragrande maggioranza degli agenti penitenziari, che hanno fatto pienamente il loro dovere esponendosi in alcuni casi anche a rappresaglie, come l'incendio dell'autovettura subito da un agente". Alla conferenza stampa hanno infine partecipato anche il tenete colonnello Michele Borrelli, comandante del Reparto operativo dei carabinieri di Cosenza, e il capitano Giuseppe Sacco, comandante del Nucleo investigativo dell'Arma cosentina.

B.M.

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