Processo Perseo, moglie Giampà: “Dopo che Angelo Torcasio si pentì, Giuseppe si fece il segno della croce” - VIDEO2

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Lamezia Terme - Oggi, nell’ambito del processo Perseo, davanti al presidente Carlo Fontanazza e, a latere, i giudici Monetti e Aragona, dopo aver concluso il controesame di Umberto Egidio Muraca, è salita sul banco dei testimoni, dal sito riservato in cui si trova, la collaboratrice Franca Teresa Meliadò.

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La donna è la moglie del boss Giuseppe Giampà ed entrambi hanno deciso di collaborare con la giustizia. La figura della Meliadò è incentrata sul suo ruolo di “messaggera” per conto del marito. Durante le sue confessioni, la donna ha ammesso di avere prestato il suo contributo alla vita dell’associazione ‘ndranghetista facendo da tramite del marito che a lei affidava dei “pizzini” da distribuire, a seconda delle circostanze, agli affiliati. La Meliadò, nell’ambito delle sue confessioni, ha ricordato di aver conosciuto Giuseppe Giampà quando aveva sedici anni ma solo successivamente e con il passare degli anni ha capito, vedendo Giampà maneggiare pistole o adoperarsi al "taglio” di sostanze del contesto criminale nel quale si trovava a vivere. La Meliadò ha raccontato, anche dei rapporti non idilliaci con la suocera e le sorelle del marito e di come, a seguito dell’ultima carcerazione di Giuseppe Giampà avesse deciso di tornare a vivere dai suoi genitori. In particolare, poi, la Meliadò ha riconosciuto parte degli arrestati nell’operazione Medusa e che nel caso di Alessandro Villella e Alessantro Torcasio avesse dovuto fare da messaggera nel chiedere da che parte volessero stare, ovvero dalla parte del marito o dello zio Vincenzo Bonaddio. Mentre Alessandro Villella aveva deciso subito di schierarsi con Giuseppe Giampà, Alessandro Torcasio era risultato essere maggiormente dubbioso. Il ruolo della donna, quindi, è stato quello da tramite tra il marito e gli affiliati oltre ad sere dentro l’associazione e, quindi, conoscerne diverse situazioni. Il pm Elio Romano ha iniziato a porre una serie di domande relative al ruolo svolto all’interno della cosca da parte della moglie dell’ex boss Giuseppe Giampà

“Ho conosciuto Giuseppe all’età di 16 anni ma non sapevo all’epoca il suo ruolo nella cosca”

“Ho conosciuto nel 2003 all’età di 16 anni, non sapevo il suo ruolo nella cosca. Solo nel 2007 ho capito chi fosse veramente dalle cose illegali che faceva. Fu dopo l’operazione ‘Deja Vù’ che mi mise nelle sue cose facendomi passare dei pizzini. Nel 2007/2008, dopo che era uscito dal carcere di Bologna ne ebbi la consapevolezza. Iniziai dopo l’Operazione ‘Deja Vù’ ad avere rapporti con la cosca ed in particolare, con Alessandro Villella, Alessandro Torcasio, Enzo Giampà, Claudio Paola”.

La consegna dei pizzini

“Era mio zio, guardia carceraria, che mi dava i pizzini, erano avvolti con del nastro adesivo e sopra c’erano scritto i nomi, spesso i soprannomi: Alessandro Villella, Jack ovvero Claudio Paola, ‘Cavallo’ ovvero Alessandro Torcasio. A volte li distribuivo io personalmente altre volte li consegnavo ad Alessandro Villella che a sua volta li consegnava”. “Io non ero a conoscenza del contenuto dei pizzini, li consegnavo immediatamente perché avevo paura di tenerli con me”.

I vertici della cosca Giampà
“Non conosco il ruolo preciso di ognuno ma sicuramente ne conosco tanti: Vincenzo Bonaddio, Aldo Notarianni, Domenico Giampà, Enzo Torcasio (solo per poco), Saverio Cappello, Angelo Torcasio, Davide Giampà, Claudio Paola, Antonio Voci, Franco Trovato". Così la Meliadò.

”Andai in banca con Gino Trovato per cambiare assegno truffa assicurativa"

Sulle truffe assicurative la Meliadò dichiara: “siamo andati presso una banca perché dovevamo cambiare un assegno, siamo andati proprio in quella banca perché c’erano degli amici”. “Parlo di Gino Trovato”. “Questo assegno proveniva da assicurazioni che faceva Giuseppe”.“Non so preciso da quando Giuseppe ha iniziato a farle in modo sistematico. Praticamente so che acquistava diverse macchine per truffe assicurative e questo successe nell’anno in cui ci fu l’operazione Deja Vu”. “Lui ha preso la mia Fiat 500 ma poi me l’ha riconsegnata dopo un giorno. Doveva fare delle foto ma io non so di più”.

“Tramite pizzino mi comunicò come dividere somma tra affiliati”

“Ricevetti 10.000 euro da Alessandro Torcasio e mi dissero che erano provenienti dal B che era un  una pizzeria ristorante in cui abbiamo festeggiato compleanni e così via e sapevo era attività. Il B. non regala diecimila euro così quindi ero convinta che fosse estorsione. Giuseppe mi disse di tenerli fermi fino ad altri ordini. Tramite un pizzino mi comunicò di dividere la somma tra vari affiliati”. Pm Romano le ricorda anche di 1.500 euro provenienti da Vitale e girati a Molinaro Maurizio. “Si, ecco è passato tempo 700 euro per noi e 700 euro a Maurizio Molinaro e Giuseppe mi disse di darli ad Alessandro Torcasio che lui avrebbe pensato a darli al fratello di Maurizio. Giuseppe mi disse di tenerli fermi fino ad altri ordini. Tramite un pizzino mi comunicarono di  dividere la somma tra vari affiliati”. Altri soldi lasciati a casa della madre, è stata ulteriormente ricordata dal pm Romano e la Meliadò, anche in questo caso, ha ricordato e confermato: “Li trovai nel salotto nel primo cassetto, Mio fratello non me li diede per mano, sapevo che erano lì e che erano di Alessandro Torcasio”.

“Rapporti tra Giuseppe e lo zio erano di tolleranza”

Alla domanda del pm Romano su quali erano i rapporti tra suo marito e lo zio Vincenzo Bonaddio la Meliadò ha parlato “di tolleranza: si parlavano ma poi, successivamente, quando Giuseppe fu arrestato per operazione ‘Deja Vù’ aveva ricevuto una lettera in cui le famiglie dei detenuti si lamentavano per mancanza soldi e decise di mettere da parte lo zio perché non era stato bravo a mantenere detenuti”. Romano ha quindi chiesto se dovesse essere compito dello zio quanto gli veniva contestato dal nipote e la Meliadò ha risposto: “per quel che so io, si. E questa fu cosa che non fece e a quel punto Giuseppe decise che “lo metto da parte e gestisco tutto io..” da quel momento in poi fece lui tutto mi mandò pizzino in cui dire ad Alessandro Villella e Alessandro Torcasio da che parte volevano stare. Io li chiamai che Giuseppe mi aveva scritto e loro mi dissero che stavano dalla parte di Giuseppe”.“

Vedevo Giuseppe maneggiare armi e droga di colore bianco”

“Io vedevo Giuseppe maneggiare armi e droga che, da colore bianco, penso fosse cocaina. Non chiesi nulla ma ero consapevole di quello che era la situazione”. Così la Meliadò su attività del marito e suo grado di consapevolezza.

“Con suocera e cognate rapporto di rispetto ma non avevamo molta confidenza”

"Con mia suocera e le sorelle di mio marito c’era rapporto di rispetto però non avevamo molta confidenza e non si parlava di chissà quali cose. Era un rapporto tranquillo ma niente di che”. Così la moglie di Giuseppe Giampà parla su domanda relativa ai rapporti con le altre donne del clan mentre, per quanto riguarda la conoscenza con “il professore”, la Meliadò ha ricordato come “lo conobbi sia nel periodo di detenzione nel carcere di Bologna e quando c’è stato un permesso sono stata con loro qualche giorno. Si mangiava, si beveva  e si scherzava con la piccola. Tutto normalissimo”.

Il pizzino ingoiato

“Ricordo circostanza particolare - ha detto poi la Meliadò - ovvero un pizzino che andava consegnato a Saverio Giampà e che l’avevano Alessandro Villella e Alessandro Torcasio che, però, furono fermati per controllo di ritorno dea fuori. Allora Alessandro Villella ingerì il suo ma fece trovare quello destinato a Saverio Giampà che andò quindi a finire nella mani delle forze dell’ordine”.

“Mi lamentai con suocera che almeno Giuseppe sapesse che i soldi c’erano”

Su soldi che furono dati alla suocera invece che alla Meliadò quest’ultima ha ricordato “mi lamentai con mia suocera che almeno Giuseppe sapesse che i soldi c’erano”.

“Su Vasile ero ignara chi fosse realmente”

Vasile era un dipendete della nostra ditta, la Gt Distribuzione, ma ero ignara di chi fosse. Poi ho saputo, quando è divenuto collaboratore, ma non sapevo il ruolo che aveva nella cosca Giampà assolutamente mai”. Così la Meliadò ha risposto su conoscenza del killer della cosca, Francesco Vasile, anch’egli ora collaboratore.

Il colloquio in carcere tra Giuseppe e la sorella Rosa per sanare dissidio con lo zio

“Ricordo - ha detto la Meliadò - di un colloquio nel carcere di Siano dove si trovava Giuseppe e dove eravamo io, la sorella Rosa e mio padre. Io e mio padre, però, ci siamo poi messi da parte ma c’era nervosismo tra i due.  C’era stato disguido tra Giuseppe con zio Vincenzo e Rosa voleva mettere pace mentre Giuseppe aveva molto astio nei suoi confronti e non voleva a nessun costo mentre la sorella gli chiedeva di evitare che “è tuo zio, fratello di tua mamma, puoi evitare certe circostanze per evitare liti in famiglia”

“Voci gestiva soldi delle giostre, per noi biglietti gratis”

Su conoscenza Antonio Voci la Meliadò ha risposto: “me lo presentò Giuseppe, sarà stato il 2007 /2008. Voci gestiva soldi delle giostre che quando andavano via i soldi andavano a Giuseppe direttamente la notte di San Pietro. I biglietti per noi erano sempre gratuiti mentre dopo che Giuseppe era detenuto avevamo pochi biglietti. Antonio Voci era sempre li e quindi potevamo salire anche senza biglietto. Per quanto riguarda i soldi si parla di due anni prima dell’arresto di Giuseppe nel luglio del 2011”.“In negozi non mi presentavo, commesse mi riconoscevano”Sul sistema sconti agli affiliati la Meliadò ha poi ammesso di aver ricevuto diversi sconti in delle boutique d’abbigliamento “lo facevano - ha detto la Meliadò - per paura di Giuseppe e ci facevano gli sconti perché sapevano che in ogni momento avrebbe potuto fare intimidazioni… Io non mi presentavo a nessuno, erano le cassiere appena mi vedevano si mettevano a disposizione. Ma non solo io - ha poi specificato - ma tutti i parenti, amici ed affiliati. Ricordo che A. ha fatto anche regali a Giuseppe tramite me quando era in carcere”.

"Dopo che Angelo Torcasio si penti, Giuseppe si fece il segno della croce"

“Appresi la notizia dell’intenzione di Angelo Torcasio di collaborare - ha poi ricordato la Meliadò - da parte del cognato di Angelo, Domenico Curcio che voleva parlare con mia suocera ma lei era in pellegrinaggio. Si presentò presentò come cognato di Angelo e mi disse di Angelo che voleva collaborare con la giustizia  e di dirlo a Giuseppe come fare per bloccarlo altrimenti eravamo tutti rovinati”. La Meliadò ha poi raccontato di quando Giuseppe Giampà apprese della collaborazione di Angelo Torcasio: “Giuseppe fece il gesto del segno della croce e si sentì rovinato”. La Meliadò ha poi concluso spiegando come questo fatto avesse convinto il marito a collaborare.

L’udienza si è poi conclusa con il rinvio del controesame degli avvocati stabilito dal presidente Fontanazza per il prossimo 6 marzo.

Vi.Ci.

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