Tragedia San Pietro lametino, papà Angelo chiede verità: "Troppi silenzi sulla morte della mia famiglia"

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Lamezia Terme - Sono passati più di due anni da quel tragico 4 ottobre e non si è ancora fatta luce sulle responsabilità del tragico incidente sulla strada provinciale 113 che costò la vita a Stefania Signore, 30enne di Gizzeria Lido e ai suoi due figlioletti di due e sette anni. Il marito e papà Angelo Frijia, affidatosi a Giesse Risarcimento Danni, gruppo specializzato nella gestione di incidenti stradali mortali con sedi in tutta Italia, non si dà pace: “la mia vita è ferma a quella sera, distrutta per sempre – commenta con un filo di voce – i miei figli, mia moglie, nessuno me li ridarà più, avrei voluto morire con loro e invece sono vivo. Sono vivo e oltre a dover portare questo macigno, devo anche convivere con il fatto di non avere ancora alcuna risposta dalla giustizia italiana. Non auguro a nessuno di svegliarsi ogni giorno da solo con lo stesso e martellante pensiero: l’incidente si sarebbe potuto evitare? Sono molto arrabbiato e sconfortato dalla lentezza della giustizia di fronte ad una tragedia di questa portata”.

L’incidente

La sera del 4 ottobre 2018, verso le 20:15, Stefania è a bordo della sua Alfa Mito in compagnia dei suoi due figlioletti, Niccolò di due anni e Christian di sette anni, sta percorrendo la strada dirigendosi da San Pietro a Maida verso San Pietro Lametino. Tornano a casa dopo aver trascorso il pomeriggio dai nonni perché la mamma lavora al call center, è buio, la pioggia è battente e la strada comincia ad allagarsi. Ad un certo punto, nei pressi del chilometro cinque, Stefania perde il controllo dell’auto e sbanda fermando la sua corsa di traverso rispetto alla carreggiata e con parte sinistra della Mito esposta al deflusso dell’acqua. L’auto è di traverso e la donna nota che l’acqua sta entrando nell’abitacolo, è spaventata, il buio e la pioggia la disorientano. Istintivamente cerca di mettere al sicuro i suoi due bimbi abbandonando il veicolo e uscendo dalla portiera sul lato del passeggero. Appena si allontanano di qualche metro, il forte flusso d’acqua travolge tutto violentemente e, Stefania e i due piccoli si perdono tra il fango e i detriti. I corpi di mamma e figlio maggiore vengono ritrovati esanimi di lì a poco, mentre il corpicino del piccolo Niccolò viene rinvenuto solo una settimana più tardi, coperto di fango, a cinquecento metri di distanza dal luogo dell’incidente.

I consulenti di parte, l’ingegnere Fausto Carelli Basile ed il geologo Francesco Martorano, nella loro analisi, evidenziano "alcune inosservanze a carico dell’ente responsabile della manutenzione e della sicurezza della s.p. 113". Sostengono "la prevedibilità dell’allagamento di quella sede stradale in caso di forti precipitazioni" dovuta “alla sua conformazione in trincea rispetto al terreno circostante” e “la mancata apposizione di un segnale verticale di pericolo, pericolo non percepibile con tempestività da un conducente che osservi le normali regole di prudenza”. Per agevolare l’attività di indagine, tali evidenze sono state messe a disposizione della Procura. Essi concludono la loro analisi ipotizzando che se Stefania “tenuto conto dell’allerta meteo 'gialla' diramata e della forte pioggia in atto, fosse stata a conoscenza che il tratto di strada che intendeva percorrere poteva essere soggetto ad allagamento, avrebbe potuto scegliere un percorso alternativo o decidere di fermarsi per aspettare il miglioramento delle condizioni meteo”. “Capisco che ci siano dei tempi tecnici, ma di fronte ad un incidente così tragico uno si aspetta un minimo di attenzione in più – dichiara papà Angelo – assieme ai nostri avvocati, stiamo cercando di sbloccare la situazione, di sapere a che punto siano le indagini. Voglio solo sapere che cosa sia realmente successo, voglio solo giustizia per la mia famiglia”.

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