Sgarbi sulla tracce di Alarico, il tesoro è il centro storico di Cosenza

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Cosenza - Altro  viaggio di ritorno in Calabria per il critico d’arte Vittorio Sgarbi che nella giornata di ieri si è visto ospite, su iniziativa dell’amministrazione comunale, di un importante convegno sulle ricerche del tesoro di Alarico. E dalla Sala degli Specchi del palazzo della provincia, la visita di Sgarbi si è poi conclusa presso il Duomo gremito di gente per l’illustrazione dell’icona della Madonna del Pilerio, patrona della città. Secondo Occhiuto si tratta di un lavoro che incentiva ad un dinamismo culturale e che porta indubbiamente ad uno sviluppo turistico ed economico. Un evento importante per la città di Cosenza che in questi ultimi giorni versa in una situazione di profonda crisi per ciò che concerne la maggioranza in giunta comunale. C’è dello scetticismo alla base dell’iniziativa che ha portato alla ricerca del tesoro del re dei goti (25 tonnellate d’oro e 150 d’argento) avviata il 16 novembre scorso.  Ed è scettico anche Vittorio Sgarbi il quale, però, non rinuncia ad appoggiare la scelta portata avanti da Mario Occhiuto e ribadisce, rispetto ad uno dei centri storici più belli d’Italia, che il vero tesoro risiede in questo. Dunque “Meglio non trovarlo questo tesoro per  continuare a sognare. Non bisogna scavare ma avere occhi liberi”.

Presenti all’evento anche il regista Massimo Scaglione – che ha presentato il progetto del suo futuro film “Alarico il re di tutti Cosenza 410” – l’attore Massimo Bonetti  e lo scenografo Osvaldo Desideri – Premio Oscar per “L’ultimo Imperatore” di Bertolucci. Rispetto al conseguente evento in Duomo a Cosenza, organizzato dall’assessore agli eventi Rosaria Succurro, sulla Madonna del Pilerio, Vittorio Sgarbi esordisce così: “Se è vero come è vero che anche le opere d’arte hanno un loro linguaggio, “il punto più alto della religione cristiana – dice Vittorio Sgarbi - per ciò che riguarda la figura umana è la Madonna, quindi una donna. Le altre religioni la donna non la vedono, la tengono nascosta, la celano, se ne vergognano. La religione cristiana è, invece, profondamente legata alla figura della donna. La prima figura che noi guardiamo adorandola è la Madonna, madre di Gesù. E il nesso tra madre e figlio proprio dell’icona, è un nesso inscindibile, come avviene nella Pietà di Michelangelo”.

Spunti critici di Vincenzo Napolillo sul tesoro del fiume Busento

Alarico non potendo aspirare alla toga imperiale, uscì da Roma con il bottino (in cui c’era anche il tesoro di Salomone con il candelabro d’oro a sette bracci (ebr. menorah) conquistato da Tito nel 70 d. C.) e marciò verso il Meridione d’Italia, per affrontare Eracliano, comes Africae, e raggiungere l’Africa per dare un insediamento stabile alla sua gente. Desolando con altrettanta strage la Campania, la Lucania e il Bruzio, si fermò a lungo in Calabria per prepararsi a passare in Sicilia. Nell’attraversare il tempestoso stretto di Messina, molte navi naufragarono e altre, in numero maggiore, furono disperse. Anche Spartaco non era riuscito ad attraversare lo stretto di Messina. Tornato indietro, mentre deliberava il da farsi, Alarico morì improvvisamente a Cosenza come assicurò Paolo Orosio. Jordanes, un goto diventato funzionario imperiale, autore del libretto De origine actibusque Getarum, fatto conoscere a Bisanzio nel 551, ripeté che Alarico  fu tolto da questo mondo «da morte immatura». Il suo corpo fu messo con molti tesori (cum multis opibus) nella fossa scavata nel Busento, che nasce ai «piedi di un monte» vicino Cosenza, da una schiera di prigionieri, che furono massacrati affinché non rivelassero il luogo di sepoltura.

Come morì Alarico I il Balta? Colpito da un dardo, da febbre malarica o, come spiegava lo storico viennese Herman Schereiber, sfibrato da una vita durissima, che per i Goti durava in media 40 anni? Alarico, infatti, spirò all’età di quarant’anni. Il grosso del tesoro fu ereditato da Ataulfo, successore e cognato di Alarico, e da lui donato a Galla Placidia, per le nozze che si celebrarono con rito romano a Narbona, in Francia, nella casa di Ingenio (gennaio 415). Cinquanta ragazzi, vestiti di seta, portarono alla sposa due vassoi ciascuno: l’uno pieno di ori e l’altro di pietre preziose; in totale cento vassoi «con un tesoro ancor più inestimabile in quanto preso dai Goti in Roma durante il sacco». È questa la testimonianza di Olimpiodoro, autore bizantino di una Storia dal 407 al 425 dedicata a Teodosio II, imperatore romano d’Oriente, figlio di Arcadio. Jean Michel Servant conferma, nel giornale Midi Libre (12 aprile 2015), che il tesoro di Alarico è uno dei 60 tesori francesi «che restano ancora di scoprire».

Stupisce come a Cosenza, che fu appellata «Atene della Calabria», si cerchi un tesoro che fu portato in Francia, a Narbonne, da Ataulfo; che si trascurino le fonti coeve di Paolo Orosio e di Olimpiodoro di Tebe per privilegiare la fonte postuma di Jordanes; che lo storia di Alarico si confonda con il sogno e si trasformi in mitografia, vale a dire in leggenda metropolitana o, peggio, nella improponibile e «folle» caccia al tesoro.

V.D.

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