Trame.6: Antoniò Calabrò e Raffaella Calandra parlano dei mille morti di Palermo e del maxiprocesso

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Lamezia Terme – Nella terza serata di Trame, festival sui libri di mafia, nella cornice di piazza San Domenico si è parlato della storia del maxi processo di Palermo, insieme alla giornalista Raffaella Calandra di Radio 24 e Antonio Calabrò famoso giornalista che ha vissuto gli anni di cronaca della Sicilia della mattanza e che per Trame ha presentato il suo libro “I mille morti di Palermo. Uomini, denaro e vittime nella guerra di mafia che ha cambiato l’Italia”. “In questi giorni la Sicilia brucia non solo di scirocco ma anche di roghi voluti da mano criminale per intreccio d’affari” – dice la giornalista di Radio 24, a proposito dei focolai che divampano in terra sicula, e sulla quale terra è vietata l’autorizzazione edilizia. Il libro di Calabrò inizia e finisce con il maxi processo, iniziato a Palermo nel febbraio del 1986, che porta a numerose e dure condanne passate in giudicato, condanne rivolte ai più grandi boss di Cosa Nostra. Un processo che dimostra la vittoria dello Stato e il fallimento della mafia, ma che guardando ai roghi di oggi si scopre che non è proprio così.  

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La Sicilia è anche ciclicamente abituata allo scandalo dei forestali. “Si contano circa 23.000 forestali, di essi ne sono stati licenziati parecchi perché soliti ad appiccare fuoco – spiega Antonio Calabrò, per dare testimonianza di un fatto grave – in Sicilia vige l’uso delle risorse pubbliche come ammortizzatori sociali”. Il guaio, per il giornalista palermitano, è prendere in mano le vecchie storie e scoprire che sono meno gravi di prima ma pur sempre presenti. L’attenzione e la curiosità, Antonio Calabrò continua a trovarle in modo particolare nelle scuole, là dove risulta assai importante andare a raccontare queste storie, là dove sente il dovere di raccontare non solo per necessaria trasmissione ma per dare espressione alla democrazia, perché “Non c’è democrazia senza memoria, senza comprensione dei nessi complicati – dice ancora Calabrò per mettere la storia al centro della grande attualità. Oggi si parla di antimafia, un tempo di parlava di legalità, non c’era la mania di esibizionismo, e tra gli uomini di legalità c’erano Piersanti Mattarella, assassinato il 6 gennaio del 1980, Salvo Lima e molti altri che speravano in uno sviluppo concreto di diritti e capacità dei siciliani in grado di stare nella legge. Palermo come Beirut: morirono mille uomini in quegli anni, morirono i servitori dello Stato e morirono anche i malacarne. Una Palermo che in ogni angolo di strada vedeva una lapide, e dove i luoghi della mafia hanno per sempre tagliato trasversalmente tutta la vita della città.

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“Le storie del libro di Calabrò aiutano a riordinare la mente su volti e vicende, ripercorrono la vita e la morte e fanno realmente capire, soprattutto alle nuove generazioni, cosa è realmente successo in quel tempo” – dice Raffaella Calandra. Un libro, dunque, che rappresenta la memoria giuridica di un paese, un processo preceduto dal grande lavoro di uomini come Pio La Torre, ucciso nel 1982 e che nello stesso anno lascia in eredità la più importante legge che permetterà ai giudici di identificare l’associazione mafiosa, la legge Rognoni/La Torre con l’introduzione dell’articolo 416bis. Dopo La Torre è la volta di Carlo Alberto Dalla Chiesa, altro servitore dello Stato, ucciso solo perché probabilmente faceva bene il suo lavoro, cercava di arginare la prepotenza tra mafia, politica ed economia. Un maxi processo a cui presero inizialmente parte due coraggiosi uomini, dopo tante rinunce di altri giudici, tra cui Alfonso Giordano presidente dell’aula, e Piero Grasso come giudice a latere. Un processo nel quale forte e chiara era la ‘teatralità’ da parte degli uomini d’onore che di onore non avevano proprio niente se non l’interesse del denaro in tutta la loro vita, e che neanche dietro le sbarre riuscivano a frenare sentimenti assurdi, come l’attaccamento alla fede.  Don Michele Greco, infatti, girava sempre con breviario e Bibbia in mano. “Dal maxi processo vengono fuori dimensioni molto interessanti, come la passione verso i riti religiosi, ma ci vorrà ancora molto tempo affinché la Chiesa prenda le distanze – dice Calabrò.

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Un maxi processo importante, quindi, quello raccontato nel libro del giornalista, e che restituisce verità ad una terra martoriata, ma anche un maxi processo storico e di grande vitalità dal punto di vista giuridico. “Da tenere bene a mente, soprattutto nei giovani studenti di giurisprudenza, per capire come si dovrebbe amministrare oggi la giustizia italiana” – dice infine Calabrò. Un grande processo a cui presero parte i giudici Falcone e Borsellino, uccisi a distanza di pochi mesi nel 1992, con l’apporto del loro prezioso lavoro. Un processo, nel quale grazie alle prime collaborazioni di giustizia, ed ai primi interrogatori di grandi boss, si rese possibile identificare i codici di Cosa Nostra. Tuttavia, la storia è ciclica, ed oggi a parte il numero delle condanne cosa rimane di quel processo? Perché dopo le stragi di Capaci non si riuscì ad andare avanti? Perché quella primavera, costituita da gruppi di collettività indignata, non si ripete più? Sono queste domande a guardare con nostalgia al maxi di Palermo, a portare sgomento verso il sacrificio e il sangue versato dai grandi uomini dello Stato.   

Valeria D’Agostino

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