Lamezia, Samuel a 'Fare Critica' tra Subsonica e carriera solista: "La mia ricerca in ambito pop"

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di Francesco Sacco

Lamezia Terme – Si è da poco conclusa la seconda edizione di “Fare Critica”, festival dedicato al ruolo della critica cinematografica e teatrale, quest’anno in grado di ampliare il proprio raggio d’azione e abbracciare diverse sfere del mondo dello spettacolo. Tra proiezioni (significativa la retrospettiva surrealista con i corti di Buñuel, Lynch e persino “Film”, unico contributo per il grande schermo di Samuel Beckett), dibattiti e incontri con personalità di spicco del panorama italiano e internazionale (Andrej Tarkovskj Jr., Dario De Luca e Silvano Agosti, giusto per citarne alcuni), la rassegna diretta da Gian Lorenzo Franzì ha avuto il merito di riportare a Lamezia un evento di un certo spessore, merce piuttosto rara da queste parti, soprattutto in tempi di post lockdown. Due le principali novità introdotte in quest’edizione: una sezione letteraria, con il Premio Nautilus, e una musicale inaugurata da Samuel Romano, frontman di Subsonica e Motel Connection reduce dalla release di “Tra Un Anno”, singolo uscito a tre anni di distanza dal suo esordio da solista, “Il Codice della Bellezza”.

Il suo intervento a “Fare Critica”, moderato dallo speaker radiofonico e musicista Renato Failla e seguito da un mini-set acustico al Cafè Retrò, si è rivelato occasione per parlare un po’ della sua carriera oltre i Subsonica, alfieri del rock elettronico tricolore, in una scena musicale, quella italiana, fortemente determinata da un prepotente ritorno dei sintetizzatori in ambito pop. Ma anche da un format come X Factor, altro catalizzatore culturale (?) che nel 2019 lo ha visto impegnato nelle inedite vesti di giudice. Un ruolo accettato di buon grado, per “impararare un linguaggio televisivo che fa comunque parte dello spettacolo”, nonostante la piena consapevolezza di quanto la musica, in quel contesto, sia soltanto “un pretesto per fare televisione”.

Tre anni dopo “Il codice della bellezza”, il tuo esordio da solista, è uscito “Tra un anno”, singolo dal forte appeal radiofonico che anticipa il tuo secondo disco. Che album dobbiamo aspettarci?

"Beh, in realtà, la mia è una scrittura molto pop. Io scrivo in forma canzone, quindi la ricerca dell’immediatezza nel legame tra melodia, testo e armonia è un po’ una ricerca in ambito pop. Poi, tutto quello che diventa il mantra sonoro cambia in base ai collaboratori, ai viaggi sperimentali che faccio tra un disco e l’altro. L’album precedente voleva essere smaccatamente pop, volevo andare a sporcarmi e rotolarmi in quello che è il meccanismo più consolidato in Italia. Ho scelto, dunque, un produttore estremamente pop, dei collaboratori ancora più pop, come Jovanotti, sono andato a Sanremo… insomma, volevo che quel gesto musicale fosse quasi una sorta di deflagrazione di una parte di un gruppo abbastanza conosciuto, quali i Subsonica, che andava fuori e faceva una cosa completamente diversa. In quest’album, che ho già iniziato a comporre ma devo ancora struttrare dal punto di vista della produzione, invece, voglio tornare un po’ ai linguaggi che mi sono più vicini: quelli della musica elettronica, della dance e di quell’elettricità che io ho vissuto soprattutto sui palchi. E “Tra Un Anno” vive un po’ proprio di questo, infatti l’elemento portante di tutto il brano è una chitarra elettrica distorta, che nel disco precedente non c’era. Questo sarà un po’ il percorso che cercherò: l’elettronica, che ovviamente è il mio linguaggo di base, con delle sporcature di musica elettrica, quindi batteria acustica vera, basso e chitarra elettrica".

“Il codice della bellezza” è stato prodotto, appunto, da quello che potremmo un po’ considerare il Re Mida del nuovo electro pop italiano: Michele Canova. Personalmente, spesso ho trovato i dischi da lui prodotti la diretta emanazione del suo modo di intendere certe sonorità, fin troppo, tanto da oscurare quasi lo stile degli artisti in questione. Non è questo, però, il caso de “Il codice della bellezza” (ma forse perché certe suggestioni elettroniche, in ambito pop, le avevate già introdotte con i Subsonica prima di tutti). Come è stato lavorare con lui?

"Tutte le persone di forte carattere, soprattutto nella musica, tendono in qualche modo a  portare dalla propria parte tutto ciò che fanno. Michele è così, un produttore dalla forte personaltà che tende a monopolizzare col proprio suono il disco di chiunque. Sta all’artista avere la forza di reazione, una forza necessaria per potersi ritrovare all’interno del disco. Però è anche un modo per mettersi in gioco, un modo per mettersi in una zona non confortevole, per tirar fuori in un contesto diverso quelle cose che magari tu davi per assodato. E quando riesci a portarle comunque a termine, nonostante vengano messe in discussione, vuol dire che sono veramente forti dentro di te. Io ho utilizzato il rapporto con lui proprio in questi termini, perché dopo vent’anni passati assieme ai Subsonica, con determinate certezze legate alla mia scrittura e al mio modo di pensare la musica, avevo necessità di essere messo in crisi, e lui lo ha fatto notevolmente. È stato faticoso, perché lavorare con Michele, se sei un artista, lo è sempre, però ti aiuta anche a tirar fuori delle piccole parti di te che, per quanto mi riguarda, usciranno maggiormente in questo secondo disco. Nel primo si sente ancora molto la sua mano, c’è ancora il suo suono, anche perché lui ha completamente preso in mano tutto l’album. Proprio per questo, ho deciso di affidare il nuovo lavoro a produttori diversi. Ci sarà anche lui, perché comunque siamo rimasti in ottimi rapporti, però mi piaceva anche l’idea di dare ai giovani la possibilità di cambiarmi, la possibilità di portarmi in altre direzioni. In questo nuovo album ci sarà qualche brano prodotto da Machweo, un giovanissimo produttore di musica elettronica che adesso si sta affacciando sul pop. Ho poi incontrato altri due o tre producer, e stiamo capendo se riusciremo a collaborare. Insomma, diciamo pure che la strada è aperta soprattutto a personaggi della nuova scena produttiva italiana".

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A proposito di Subsonica e musica italiana contemporanea, l’anno scorso avete celebrato il ventennale di “Microchip emozionale”, grande classico della band, con “Microchip temporale”, un album di rielaborazioni e remix con la partecipazione di diverse nuove leve della scena attuale (Achille Lauro, Motta, Nitro, Cosmo, ecc.). Un’operazione analoga a quella degli Afterhours - ma lo sai benissimo perché c’eri dentro anche tu - con un altro must del rock alternativo italiano, “Hai Paura Del Buio?”, a cui collaborarono però anche mostri sacri della musica internazionale quali Mark Lanegan e Robert Wyatt. Voi come avete scelto gli ospiti?

"Noi abbiamo scelto gli artisti pensando a una scena che, dopo tanti anni, ritroviamo affine a noi, o comunque al mondo musicale che abbiampo vissuto. Un gruppo di giovanissimi artisti italiani che sta in qualche modo contribuendo al cambio sonoro di questo periodo storico. Se pensiamo a quanta musica passava già solo qualche anno fa e a quanta ne passa oggi, possiamo renderci conto che è successo qualcosa, che c’è qualcosa di fortemente italiano, un alfabeto che è tornato a riempire di nuovo le nostre radio, fondamentalmente. E le persone che stanno in qualche modo costruendo il nuovo corso della musica italiana, dopo diverso tempo, ci hanno fatto pensare ai nostri inizi, così abbiamo deciso di chiamarle. Fare un disco con tante collaborazioni del genere è veramente complicato, perché bisogna incastrare i tempi di tutti, le loro esigenze e si tratta di gente che nell’arco di pochi mesi potrebbe esplodere e trovarsi in una dimensione che è già molto più ampia. Fortunatamente, siamo riusciti a incastrare tutto, e loro sono stati molto gentili e disponibili a prestarsi a questo gioco che ci ha dato la possibilità di guardarci un po’ anche dal di fuori, con un occhio ovviamente più giovane. Quindi è stata un’esperienza positiva, seppur molto faticosa, perché bisogna stare dietro a tutti. Il dispiacere è stato quello di doverci fermare proprio mentre stavamo per partire in tourneé, perché quel disco è sicuramente una grandissima cosa discografica, ma è anche una cosa importantissima dal punto di vista dei live. Parliamo del disco che ha formato i Subsonica sui palchi e quindi sarebbe stato bello riuscire a raccontare questa storia anche dal vivo. I biglietti sono tutti venduti, stiamo solo aspettando di vedere quando ci faranno rientrare negli spazi al chiuso per poter suonare".

Restando in tema Afterhours, tu e Manuel Agnelli vi siete resi protagonisti di una sorta di staffetta in qualità di giudici a X Factor. Lui ha più volte rimarcato come si trattasse, in realtà, di un gesto molto politico da parte sua. Cosa ha spinto invece te ad accettare quel ruolo e come valuti la tua esperienza in un format così distante da quello che alla fine è il tuo mondo?

"Sicuramente il cachet era buono (ride), quindi quello è stato già un ottimo stimolo. E poi mi è servito per poter anche un po’ rifiatare. Tra dischi e tour, siamo in gro da quasi trent’anni e avere uno spazio di tempo, pagato, bene, per poter riflettere sulla propria musica, sulla propria condizione musicale, su quello che ti piace del tuo lavoro, è un regalo che secondo me non va mai buttato via. C’è da prendere subito in considerazione, però, che quello è un luogo televisivo, e la musica è soltanto un pretesto per far televisione. E io sono andato a X Factor non per comporre o cambiare le sorti della musica italiana, perché non è chiaramente il contesto adatto, ma per imparare un linguaggio televisivo, un linguaggio che comunque fa parte del mondo dello spettacolo e che rientra anche in una mia fascinazione di quand’ero piccolo. Io ero appassionatissimo delle trasmissioni del sabato sera, tipo Fantastico, dove c’era Mina che cantava, la Parisi che ballava insieme alla Cuccarini, e avere la possibilità, ogni giovedì sera, di mettere in scena, con dei fondi molto importanti, la musica che piace a te, come vuoi tu, andando anche a mettere bocca sulla coreografia mi ha spinto ad accettare, seppur per gioco. Sapevo a priori che non avrei cambiato assolutamente la musica, sapevo benissimo che preferivo comunque star sempre dall’altra parte, infatti per me è stato molto complicato dover impersonare il ruolo del giudice, e chi mi ha seguito se ne sarà reso conto, anche se mi sono impegnato al massimo per farlo al meglio. Un’altra cosa che mi ha lasciato, che è la più importante, è il rapporto umano con i ragazzi: io non ho figli e, per la prima volta nella mia vita, ho sentito esplodere dentro di me un senso di protezione nei confronti d un altro essere umano, che tra l’altro ha la stessa mia passione fondamentalmente, il che ha acceso questo aspetto ancor di più a livello empatico. Quindi, ciò che mi porterò sempre dietro, alla fine, è proprio il legame con questi ragazzi: il non dormir di notte pensando a come passare il turno, dar loro dei consigli per far sì che non finissero impantanati in un luogo che rischia di trasformarsi in sabbie mobili, se non ti muovi bene. E io ho cercato di fare il possibile".

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