This must be the place: una grande festa per i dieci anni del Color Fest

Notwist-Ph.-Angie-Cimino_2937d.jpgNotwist Ph Angie Cimino.

di Francesco Sacco.

Maida - Share the same space for a minute or two. O magari settantadue ore. Tre giorni lontano da tormentoni estivi, spiagge affollate e happy hour davanti a un tramonto che di romantico ha ben poco. Certo, le principali hit di gente come Mecna & Coco, Psicologi e Bnkr 44 non sembrano poi così distanti da quella “bella atmosfera” tanto amata dai millennials, ma basta fermarsi un attimo, superare pregiudizi e prestare maggiore attenzione per capire che forse potrebbe esserci dell’altro. C’è rispettivamente il neo-soul, c’è l’introspezione emo e ci sono persino quei retaggi da boy band anni ’90 à la Backstreet Boys sempre più di periferia (qualcuno ha detto “I Gemelli Diversi vent’anni dopo”, ed è una definizione che ha il suo perché). Tutto declinato secondo quel solito piglio trap dai risvolti fin troppo adolescenziali, ovviamente, ma, in fin dei conti, è anche lo specchio di quanto offerto da un po’ di tempo dalla musica italiana. Insomma, just below the surface, come direbbero i Therapy?, appena sotto la superficie. Ed è esattamente ciò che da ormai dieci anni ha deciso di fare il Color Fest, soprattutto in un’ultima edizione, ancora una volta, piuttosto equilibrata nell’assecondare mode del momento (almeno per quanto riguarda i figli dei duemila) e palati decisamente più raffinati.

E se il buongiorno si vede dal mattino, la grande affluenza delle prime due giornate non poteva che essere il giusto preludio all’ennesimo successo, capace di animare l’Agriturismo Costantino di Maida con il contagioso entusiasmo di innumerevoli ragazzini (in attesa di raggiungere la maturità probabilmente, ma tant’è) provenienti da diverse zone del Sud Italia, letteralmente impazziti per una line-up monstre composta da ben 13 artisti tra pop-rap, il solito guazzabuglio pseudo indie prodotto da Bomba Dischi (inclusi i già citati Psicologi e Bnkr44) e il dj set di Mace, tra i producer più richiesti della scena alternativa tricolore. Non è mancato, però, qualche colpo di coda strategico, qualcosa con cui invertire (seppur per un attimo) repentinamente rotta e far uscire il Color da quella comfort zone tipicamente itpop che ha ormai usurato (e logorato) il mercato discografico. Merito, in particolare, del funky dei Savana Funk, quasi a rievocare il set degli I Hate My Village tre anni orsono, e persino delle stralunate manipolazioni elettroniche di N.A.I.P., tornato all’ovile dopo l’incursione a X-Factor, esperienza che se da un lato ha portato alla ribalta il progetto di Michelangelo Mercuri, dall’altro ne ha accentuato la componente parossistica fino a oscurarne un po’ la proposta musicale. Sempre più showman e meno cantautore, forse, ma resta una discreta boccata d’aria fresca (specialmente prima di Naska e Psicologi). Archiviati comunque con successo Day I e Day II, il lato meno mainstream e più ambizioso del Color vien fuori nell’ultimo capitolo di una decima edizione tornata finalmente a setacciare sentieri internazionali, ben sette anni dopo l’epico live dei Soft Moon al Parco Mitoio. Le prime avvisaglie, a dire il vero, c’erano già state con la preview acustica di Stuart Braithwaite, leader dei Mogwai, nel 2021, ma si trattava soltanto di una piccolissima scossa di assestamento se rapportata alla “vertigine” provocata dalla prima assoluta in Calabria dei Notwist. Collocata all’interno del “Vertigo Days” Tour, la data della band tedesca ha mostrato l’enorme versatilità dei fratelli Archer, fautori di un’indietronica notoriamente introspettiva spesso violentata da improvvise sciabolate di synth e chitarre distorte su un tessuto ritmico poderoso, condotto dal batterista Andi Haberl verso quella terra di confine tra noise e psichedelia che li ha resi degni erede della tradizione kraut-rock.

Nu-Genea-Ph.-Angie-Cimino_36f0e.jpgNu Genea Ph. Angie Cimino

D’altronde, gli esordi nel segno dell’hardcore lasciano ben intendere quale possa essere il background dei Notwist, giunti al successo dopo essersi sporcati con qualsivoglia genere fino a trovare la formula magica nel capolavoro “Neon Golden”, saccheggiato a più riprese durante il set al Color Fest: da “Pick Up The Phone” a “One With The Freaks”, passando per la trance ipnotica di “This Room” e le derive techno di “Different Cars And Trains”, mini rave con cui squarciare “Pilot” in due segmenti connessi da un trip circolare stile Madchester. Discorso a parte, poi, per “Consequence”, attesissimo encore con cui concludere in modo indimenticabile un set di rara intensità, perennemente in bilico tra melodia e rumore, introspezione e sperimentazione, passato e un presente sempre luminoso rappresentato dall’ultima fatica in studio, l’ottimo “Vertigo Days” (“Where You Find Me”, “Loose Ends” e l’opener “Into Love/Stars”). Potrebbe bastare a rendere la terza giornata di gran lunga la più rilevante (e, insospettabilmente, anche la più numerosa), ma forse il meglio deve ancora venire.

Già, perché il claim di questa edizione, “This Must Be The Place”, come il celebre brano dei Talking Heads tanto caro al regista Paolo Sorrentino, vorrà pur dire qualcosa. E, in effetti, lecito pensare alle teste parlanti guidate da David Byrne se si parla di inflessioni terzomondiste nel post-punk, di una new wave globale in grado di assimilare con successo la world music e sdoganare certe sonorità in ambito pop (“Remain In Light”). Più o meno, ciò che sta accadendo, con le dovute proporzioni, ai Nu Genea, apprezzatissimo duo campano formato da Massimo Di Lena e Lucio Aquilina reduce dalla release di “Bar Mediterraneo”, secondo album in cui ampliare quell’immaginario prettamente partenopeo che caratterizzò la “musica altra” degli anni ’70 (Napoli Centrale, Tullio De Piscopo, Pino Daniele e, perché no, gli Osanna). Si trattava di una scena già abbastanza colta ed eterogenea, che mescolava fusion e jazz-rock con la tradizione napoletana, ma i Nu Genea hanno deciso di andare oltre, inglobando suoni e colori provenienti dalle culture più disparate, mescolate seguendo un’irresistibile indole etno-funk. Il risultato è un vivacissimo melting pot di influenze e generi, una travolgente festa guidata da un ensemble inevitabilmente allargato, capace di coinvolgere come pochi altri migliaia di anime in delirio sulle note delle varie “Vesuvio” (subito impreziosita dalla notevole estensione della cantante Fabiana Martone), “Marechià”, “Tienaté”, “Rire” (con la partecipazione di Marco Castello, altro animo affine presente in line-up) e di instant classic quali “Nuova Napoli” e la conclusiva “Je Vulesse”, sorta di omaggio, in chiave disco-chic, al grande Eduardo De Filippo. È questo l’ultimo atto di un live esplosivo che ha confermato, tra instancabili tribalismi e lunghi assoli mai stucchevoli o banali, anche l’alto tasso qualitativo di uno dei nomi più interessanti dell’intero panorama musicale italiano. Qualcosa che, al di là delle opinioni personali, troverà sempre posto a un festival transgenerazionale divenuto uno dei principali appuntamenti dell’estate calabrese e non solo. Color Fest: this must be the place.

color-fest_pubblico-17.01.10_831d4.jpgNaip ph Paolo Ascioti

color-fest-10-15.48.03_91324.jpgPlatea ph Paolo Ascioti

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