Dal Brasile alla Vigor Lamezia, la storia di Scalon: "Scampato alla tragedia della Chapecoense, i miei compagni morti in volo"

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Lamezia Terme - Giocare l’atto conclusivo di una competizione internazionale è il sogno di ogni calciatore. Eppure c’è chi deve la vita proprio al fatto di non essere rientrato tra i convocati per una finale, nello specifico della Copa Sudamericana, l’equivalente della “nostra” Europa League. E’ l’insolito, fortunato, destino che il fato ha riservato a Lucas Luiz Scalon, difensore centrale da due mesi in forza alla Vigor Lamezia. Aveva poco più di 21 anni quando, il 28 novembre 2016, la quasi totalità dei suoi compagni di squadra, oltre a staff tecnico e dirigenziale, perì in quella che è stata ribattezzata la “Superga brasiliana”.

Il volo charter LaMia 2933, su cui viaggiava l’intera squadra della Chapecoense, attorno alle 18:00 decollò dall’aeroporto Internazionale Viru Viru di Santa Cruz de la Sierra, in Bolivia, dove, proveniente da Sao Paulo, aveva fatto scalo intermedio, diretto all'aeroporto di Rionegro-José María Córdova, situato a circa 40 km dalla città di Medellín, in Colombia. Qui, l’indomani, l’allora squadra rivelazione del Brasile avrebbe dovuto affrontare l’Atlético Nacional nella finale d’andata della Copa Sudamericana. Partita che non si giocò mai poiché il quadrimotore Avro RJ 85 si schiantò ad appena una ventina di km da Rionegro. Morirono in 71, tra cui 48 membri del club e 21 giornalisti al seguito. Miracolosamente, sopravvissero al violento impatto quattro calciatori, ma uno poì morì in ospedale per la gravità delle ferite riportate, un giornalista, una hostess e un tecnico di volo. Una decina, Scalon incluso, gli atleti della prima squadra che, non essendo stati convocati, per infortunio o semplice scelta tecnica, rimasero in patria e scamparono così alla tragedia.

“Sapevo già da qualche giorno che non sarei stato convocato – ci dice il difensore nato a Itapiranga – dato che davanti a me avevo i difensori titolari che erano molto forti. Un po' ci rimasi male ugualmente, ma non più di tanto. Sono nato in un paese distante circa due ore di macchina, un’inezia per quanto è grande il Brasile, da Chapeco’, dove arrivai a fine 2011 - inizio 2012. Iniziai con l’under 17, quindi under 20 e l’approdo in prima squadra nella quale giocai un paio di anni. Per la precisione a partire da gennaio 2016. Anche se fino al momento della tragedia avevo fatto soltanto un paio di presenze e, per il resto, tanta panchina e tribuna, ero ormai in pianta stabile nella prima squadra. Avevo un buon rapporto con tutti i compagni. Cleber Santana era il calciatore più rappresentativo della nostra rosa avendo in precedenza giocato con Santos, San Paolo e Flamengo. Nello spogliatoio il mio armadietto era accanto al suo, e quindi avevamo parecchio legato. Nonostante i suoi trascorsi importanti, era una persona molto umile e semplice, come, d’altronde, l’intero nostro gruppo”.

La "Chape", come viene comunemente chiamata, è un club giovane, nato nel 1973. Nel 2009 giocava ancora nella serie D brasiliana. Un'ascesa verticale e continua lo ha portato, già nel 2014, ai vertici del massimo campionato. “Il segreto di quest’incredibile scalata calcistica? Avendola vissuta dall’interno, dato che quando sono arrivato la prima squadra giocava proprio in D, posso dire che era in primis legato ad una dirigenza composta da gente seria e perbene. Persone con i piedi per terra e competenti. Purtroppo una buona parte era su quell’aereo assieme alla squadra”. Lucas ricorda così le ore immediatamente seguenti alla tragedia. “Non essendo stato convocato per la trasferta, ne approfittai per tornare a casa dei miei genitori. La mattina presto mio padre mi svegliò invitandomi ad andare a vedere la tv che stava già ampiamente parlando del fatto, successo nella tarda serata precedente. Le notizie erano ancora confuse. Con il passare delle ore purtroppo emerse la portata della sciagura. Tra l’altro avevamo una chat squadra-tecnici-dirigenza e, vedendo che tutti coloro che erano su quell’aereo non rispondevano, fu tutto tremendamente chiaro a noi in primis”.

Grande fu la commozione in tutto il paese carioca, con le bare delle vittime vegliate sul campo dove fino a qualche giorno prima avevano giocato e si erano allenate. Il 21 gennaio 2017, davanti a migliaia di tifosi commossi, tornò in campo la Chapecoense, nell’occasione composta da calciatori prestati da altri club, per disputare un’amichevole con il Palmeiras. “Non giocai quella gara – ricorda il difensore vigorino – ma ero presente. Al termine, ai miei tre compagni sopravvissuti fu consegnata la Copa Sudamericana, assegnataci d’ufficio dalla Federazione su proposta dell’Atlético Nacional”. La ripartenza non fu semplice. “Continuai a vestire la maglia del club fino a metà 2017. Dopo alcuni mesi di riabilitazione, riprese a giocare con noi uno dei tre sopravvissuti, Alan Rushel. Per un po' ci provò anche Neto, ma alla fine dovette arrendersi per i dolori retaggio delle varie fratture subite nello schianto. La carriera agonistica del restante miracolato, Jackson Follmann, invece s’interruppe proprio a causa della tragedia, visto che dovette subire l’amputazione di una gamba. Nel torneo seguente la Chapecoense partecipò in forma neutra al campionato, cioe’ senza correre il rischio di poter retrocedere. Retrocessione che, sul campo, maturò poi l’anno successivo”.

Lucas Scalon si sente un po' un miracolato? “Sono credente. A volte ci penso. Certo ha fatto rabbia scoprire, al termine delle indagini, che l’aereo è precipitato per la mancanza di carburante dovuto al tentativo dell’allora compagnia boliviana di risparmiare sul combustibile, essendo in grave crisi economica. Purtroppo dei seri problemi finanziari della LaMia si seppe solo a tragedia avvenuta, basti pensare che quello stesso aereo poco tempo prima era stato preso anche dalla nazionale Argentina di Messi. Altra cosa grave è che ancora oggi ci sono molti familiari delle vittime che non hanno ricevuto neanche un minimo risarcimento economico”.

La carriera del centrale brasiliano si è poi sviluppata in Europa. “Essendo in possesso di passaporto italiano, dato che i miei genitori hanno origini venete, il mio sogno è stato sempre quello di venire qui. Anche mio padre desiderava vedermi giocare in Italia. Così, dopo un’esperienza lampo in India, mi si è offerta la possibilità di firmare per il Silva, formazione spagnola di serie D. Sono venuto di corsa anche per via della lingua, abbastanza simile al brasiliano. L’anno seguente sono quindi arrivato a Fiuggi, e non mi sono più mosso dall’Italia”.

Dopo tanta serie D, prima esperienza in Eccellenza con la Vigor. “Sinceramente non avevo intenzione di scendere di categoria. Solo che poi ho ricevuto la telefonata del direttore Morelli e del dirigente Augello, i quali hanno insistito affinchè venissi a conoscere l’ambiente. Ed effettivamente, una volta avuto contezza di ciò e del progetto importante che ha la società, ho subito firmato. Se il primo posto è ancora raggiungibile? Non dipende soltanto da noi visti gli otto punti di divario. Come ci ripete sempre il mister, il nostro obiettivo da qui alla fine dovrà essere solo quello di lavorare e concentrarci al massimo in ogni singolo impegno”.

Ferdinando Gaetano

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