Intervista ad Antonio Nicaso: “Il primo codice della picciotteria trovato a Nicastro”

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di Claudia Strangis.

Lamezia Terme - Giornalista, saggista, scrittore, professore universitario, considerato uno dei massimi esperti a livello internazionale di criminalità organizzata, Antonio Nicaso insegna Storia delle Organizzazioni Criminali in università americane e canadesi, tra cui la Queen’s University di Kingston (Canada). È autore di oltre 30 libri sul crimine organizzato, tradotti in sei lingue e con Nicola Gratteri, procuratore capo a Catanzaro, nonché suo amico storico, è autore di diversi libri sulla ndrangheta e le sue evoluzioni. Recentemente proprio con lui è stato protagonista di un documentario andato in onda sulla Rai, chiamato “Infinito Crimine”.

Con lui abbiamo toccato diversi argomenti, cercando di capire proprio l’evoluzione di quella che è considerata una delle più potenti organizzazioni criminali, che conta diramazioni in tutto il mondo. 

Come ha fatto la ‘ndrangheta a diventare “la più potente holding criminale al mondo”?

“La ‘ndrangheta nasce come fenomeno criminale nella seconda metà dell’ottocento, inizialmente a Reggio, poi si diffonde un po’ dappertutto e i centri particolarmente importanti di questo nuovo fenomeno, sono la Piana di Gioia, Reggio, la locride, Nicastro e Monteleone. Queste sono le zone intorno alla quale si svilupperà la ‘ndrangheta, che poi si riunirà a Polsi e si determinerà in termini di struttura unitaria. La sua è una storia che si evolve, questa 'ndrangheta che è forte nella zona di Lamezia, della locride, del vibonese, comincia a cambiare pelle, e passare dal racket delle estorsioni, al contrabbando delle sigarette e ai sequestri di persona. C’è una prima fase in cui gli ‘ndranghetisti taglieggiano imprenditori ed una seconda fase dove diventano imprenditori.

A cambiare quelle che sono le abitudini e i costumi della ‘ndrangheta sono anche i sequestri di persona. Uno degli altri grandi cambiamenti di quegli anni riguarda proprio la struttura dell’organizzazione perché, quando arrivano i fondi per la cassa del Mezzogiorno, la ‘ndrangheta decide di dotarsi di una struttura familistica, contrariamente a prima quando la famiglia non era il nucleo centrale dell’organizzazione. Si ragiona in termini “egoistici”, nasce quella 'ndrangheta di oggi, quella che ha al centro le famiglie. In questa ottica, tutti i soldi che vengono rastrellati e guadagnati con queste attività, cioè i sequestri di persona o il contrabbando di sigarette, verranno poi successivamente investiti nel traffico di cocaina ed eroina, e la ‘ndrangheta, sottovalutata per tantissimo tempo, ignorata, considerata una mafia stracciona rispetto a Cosa Nostra, cresce nel silenzio e diventa l’organizzazione che è sotto gli occhi di tutti”.

Concentrandosi sulla zona di Lamezia e del lametino, lei parlava di una mafia storica di Nicastro, si può equiparare alle “storiche” calabresi, e qual è, secondo lei la situazione oggi? Si è andata indebolendo?

Se dovessimo valutare dai processi per associazioni di malfattori prima e a delinquere poi, Nicastro si può considerare centrale. È qui, infatti, che viene trovato il primo codice della picciotteria, risalente alla fine del 1880, anche se ci rimane notizia dagli incartamenti giudiziari, ne abbiamo una trascrizione, e non abbiamo l’originale. A Nicastro si scoprono legami degli ‘ndranghetisti del luogo con i più potenti camorristi, come Ciccio Cappuccio a Napoli. Quindi Nicastro è tutt’altro che marginale in quegli anni, anzi è uno dei circondari in cui la picciotteria si diffonde con forza e mette radici. E anche se si guardano i processi di quegli anni, Nicastro è sempre presente. Diventa forte anche durante il fascismo: a Bella di Nicastro, c’è testimonianza di una forte aggressione sica nei confronti dei carabinieri, a testimonianza di una ‘ndrangheta che spara anche contro le forze dell’ordine.

C’è una sorta di continuità che poi ritroviamo anche negli anni ‘60, o ancora nel periodo dei sequestri. Ci sono tantissimi lametini che vengono coinvolti proprio in attività legate ai sequestri, come quello della giovane Cristiana Mazzotti. E poi, non dimentichiamo gli omicidi, come quello del giudice Ferlaino. Non è una storia di secondo piano, di second’ordine. Non è una ‘ndrangheta di serie B, purtroppo. Per quanto riguarda la situazione attuale, a parte l’ottimo lavoro della Direzione Antimafia che ha più volte colpito la ‘ndrangheta lametina, si nota anche questo numero rilevante di collaboratori di giustizia. C’è da dire che nella storia della ‘ndrangheta, i collaboratori sono stati sempre in numero rilevante, dall’ottocento fino agli anni ‘60, ed è grazie ai collaboratori, alle loro testimonianze, che conosciamo la sua storia. Non c’era omertà come si è sempre voluto dire.

C’è stato chi ha collaborato, chi per evitare il carcere, chi per altri motivi, ma la storia della ‘ndrangheta è stata fortemente caratterizzata da testimoni. Potrebbe sembrare un controsenso, se andiamo ad esaminare tutti i processi dalla seconda metà dell’ottocento in poi, troviamo sempre dei grandi collaboratori di giustizia, come Francesco Albanese, detto Tarra, boss di Gioia Tauro che diventa testimone chiave nel primo maxi processo alla picciotteria, Serafino Castagna negli anni ‘50, Buda di Bagnara, tutti i processi sono stati istruiti grazie a testimoni e collaboratori. Le cose sono cambiate quando la ‘ndrangheta ha cominciato a cambiare pelle, con strutture familistiche, perché lì pentirsi significava tradire i familiari. 

Ora stiamo scoprendo che quando la magistratura è credibile, quando le istituzioni cominciano a fare le cose seriamente, i collaboratori si trovano, è una questione di credibilità. Purtroppo lo Stato nella lotta contro le mafie, non sempre è stato credibile nelle sue tante articolazioni territoriali, non è stato capace di dare continuità alla lotta alla mafia, e per questa ragione molti hanno preferito non collaborare, stare alla larga. Il fatto che ora nel lametino ci siano collaboratori di giustizia anche di una certa rilevanza, è una testimonianza della bontà, della serietà dell’azione di contrasto. Più è seria l’azione di contrasto, più sono seri i rappresentanti dello Stato che operano sul territorio, più i risultati sono concreti e visibili”. 

Nel corso di un processo a Reggio, sulla 'ndrangheta stragista, un pentito di Cosa Nostra ha parlato di legami solidi della massoneria in Calabria, considerato un centro nevralgico per la massoneria. Lei, tra l’altro, si è occupato del rapporto ‘ndrangheta e massoneria deviata: come si è evoluto questo rapporto?

“C’è sempre stato un rapporto tra ‘ndrangheta e classe dirigente, non necessariamente tra ‘ndrangheta e massoneria ma, siccome la classe dirigente faceva parte della massoneria, ci sono stati dei rapporti. Ci sono state delle evoluzioni, e abbiamo visto che, in un determinato momento, nell’ambito della ‘ndrangheta si sente il bisogno di cambiare un po’ le regole, si crea una nuova dote che è quella Santa, che consente la doppia affiliazione, alla massoneria deviata e alla ‘ndrangheta, però, storicamente, non c’è mai stata una ‘ndrangheta fuori dagli schemi della reciprocità funzionale, c’è sempre stata una ‘ndrangheta che ha sempre cercato la sponda della politica e la politica che ha cercato la sponda della ‘ndrangheta, per questioni di potere. Magari c’era la necessità di vincere una elezione, molte famiglie, che potevano essere legate alla massoneria, utilizzavano e a volte pagavano gli ‘ndranghetisti per ottenere consenso e convincere la gente a votare per uno schieramento piuttosto che per un altro. Quindi, diciamo che questo rapporto c’è sempre stato, poi è chiaro che ci sono delle evoluzioni, che sono al vaglio della magistratura. Ci sono stati rapporti e c’è da dire che in Calabria c’è una fortissima presenza massonica. Calabria o Sicilia sono regioni che contano più logge massoniche e questo è un dato.

La massoneria è una organizzazione filantropica, che è una cosa positiva, se poi si trasforma in lobby di potere allora può diventare una cosa negativa. Ma tutto dipende dagli uomini che la compongono. Originariamente non doveva essere una lobby di potere ma purtroppo lo è diventata nel tempo, ed è sempre una questione di uomini, perché ci sono delle derive che sono riconducibili ad alcuni individui e in quel caso, la massoneria ha assunto, in alcuni contesti, delle derive pericolose. C’è una sottile linea di confine, bisogna capire dove finisce l’uno e comincia l’altro”. 

In Calabria c’è il triste record dei consigli comunali sciolti, e diversi per infiltrazioni mafioseCosa vuole significare questo dato e qual è la sua opinione rispetto alla legge sulla quale tanto si è dibattuto?

“Che la legge sia perfettibile è chiaro, può essere migliorata. Bisognerebbe fare una valutazione complessiva. Cercare di istituire un gruppo di lavoro per approfondire tutti gli aspetti che sono migliorabili della legge. Quello che sembra evidente, è che lo stesso criterio di scioglimento non viene utilizzato in altre regioni. Per esempio in Calabria si sciolgono i consigli comunali con maggiore facilità rispetto ad altre regioni, bisognerebbe creare dei criteri buoni per tutti, quindi annullare l’aspetto discrezionale che porta a sciogliere il consiglio in un posto, piuttosto che in un altro.

Mi viene in mente Fondi, dove c’erano delle richieste di scioglimento del consiglio e non venne fatto perché all’epoca l’amministrazione era dello stesso colore del Ministro che avrebbe dovuto firmare lo scioglimento. Ci sono delle cose che andrebbero migliorate ma non è facile individuare i punti. Vediamo sempre più mafie che fanno meno ricorso alla violenza, e quindi bisogna fare una valutazione complessiva del fenomeno e delle normative seriamente, non alla luce di reazioni emotive in seguito a fatti eclatanti, e apportare correttive necessarie”. 

E rispetto a Lamezia, che vive il terzo scioglimento?

“Spesso quando si compongono le liste andrebbero fatte delle valutazioni sui candidati che spesso non vengono eseguite, così si possono verificare situazioni che portano allo scioglimento del consiglio. Purtroppo noi facciamo poco a livello politico e affidiamo tutto nelle mani della magistratura. Invece, bisognerebbe portare la morale al centro della politica, ragionare in termini non aritmetici. La politica fa poco per moralizzare l’ambiente, fa poco per selezionare e cercare circoli virtuosi e poi si lamenta quando è la magistratura a metterci il naso. Purtroppo quando ci sono le elezioni l’obiettivo è quello di vincere, ad ogni costo. Mentre tutti i partiti dovrebbero ragionare in termini di scrematura e selezione attenta. Se lo facciamo fare alla magistratura la politica perde centralità e prestigio”.

 

La versione integrale dell'intervista sull'edizione cartacea de Il Lametino 242 in edicola

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