Lamezia, ‘Indovina chi viene in classe?’: don Giacomo Panizza intervistato dai ragazzi dell’Ic “Nicotera-Costabile”

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Lamezia Terme - L’ospite della Terza A per un nuovo appuntamento del progetto ‘Indovina chi viene in classe?’  è don Giacomo Panizza, il prete che ha sfidato la ‘ndrangheta. “Inizia a farsi davvero significativa – si legge in una nota - l’esperienza che i ragazzi della scuola Nicotera-Costabile stanno vivendo incontrando e dialogando dal vivo numerosi personaggi della città di Lamezia così attivamente impegnati nella costruzione quotidiana e faticosa di una cosa pubblica civile e sostenibile”. 

Roberta dà il benvenuto in classe a don Giacomo: “Siamo felicissimi di averla qui con noi oggi, e vogliamo farle alcune domande, con la speranza di conoscerla meglio. Al termine delle domande le chiederemo un favore speciale: vorremmo chiederle spiegazioni su una parola che abbiamo scelto e che lei dovrà spiegarci in circa un minuto. Dopodiché…esprimeremo la nostra gioia dandole un voto! Ora i miei compagni le faranno delle domande alzando la mano. Partiamo! In bocca al lupo! - aggiunge Gino”.

 Ilaria: Ci può raccontare quando e come è nata la decisione di lasciare il suo paese natale per venire a Lamezia? Sente nostalgia del suo paese? Ci torna ogni tanto?

“Io ho nostalgia del mio paese, ma conosco due tipi di nostalgie: una negativa che ti fa stare male, una che ti fa dire sì. Ma guarda com'è stato bello: sono venuto qua per fare delle cose insieme a dei giovani che stavano in carrozzina, per costruire delle cose che a loro servivano. Erano tutti molto giovani, il più anziano ero io che avevo 28 anni. Non io per loro, ma io con loro. Come i vostri insegnanti, non potrebbero fare scuola senza di voi, io avevo bisogno di loro. Da lì è partito tutto”. 

Francesca: lei si occupa da sempre di disabilità. Possiamo chiederle cosa l’ha spinta, quali sono stati i suoi primi passi, insomma come e quando ha iniziato? 

“Nel 1975 io ho iniziato ad occuparmi di disabilità. La scuola non era ancora attrezzata, quindi ho insegnato ai ragazzi disabili che mi venivano affidati a leggere e a scrivere, di pomeriggio. E ho usato parole ed esempi adatti alla loro condizione e alla loro età per insegnare la matematica e l'italiano. Insieme, sempre in gruppo. Insegnavo loro a fare delle cose per sé, ma anche per gli altri, per farli crescere. Così si capiva che la scuola non è solo “per te”, ma è per te che devi diventare padre madre, per te che devi diventare insegnante o politica, responsabilità. La scuola era mescolata a questi pensieri e i pensieri erano mescolati alla scuola”.

Natale: ci può spiegare in sintesi come è strutturata la Comunità Progetto Sud? Quali attività vi si svolgono? Quante sedi ha?

“La comunità progetto Sud si occupa delle disabilità. E le sedi sono tante, io sono il presidente e abbiamo circa 200 dipendenti Insegno anche all'Università nel corso di Laurea in Servizi Sociali, in cui insegno delle pratiche di lavoro sociale; non si lavora sul muro o sul legno si lavora con le persone, io lavoro con qualcuno.  Giro anche per l'Italia e aiuto le associazioni e le cooperative a nascere. Svolgiamo attività con chi è disabile, con chi viene maltrattato, con chi non ha una casa. Altri fanno attività con noi, ma poi rientrano alla sera nelle loro case. Ad altri diamo la possibilità di andare a vivere da soli, per provare a diventare indipendenti”. 

Aurora: sappiamo che durante il suo cammino e impegno sociale lei si è scontrato e si scontra con la ‘ndrangheta, da cui ha ricevuto e riceve molte minacce. Dove trova ogni giorno la forza e il coraggio per resistere e sfidarla?

“In realtà io non sfido la mafia. Purtroppo è vero, ho avuto degli scontri con i mafiosi, perché il mio agire gli ha dato fastidio, e mi hanno minacciato, ma io sono andato avanti per la mia strada, non potevo fare altrimenti, perché avrei dovuto rinunciare al mio modo di essere, e questo non è possibile. Ecco, diciamo che è la mafia che è “anti me”, e quindi io per forza di cose, per continuare il mio cammino ho dovuto e devo resistere a minacce e provocazioni, perché non farlo vorrebbe dire rinunciare ad essere me stesso”.

Pietro: che uso fa dei social, a livello personale e come comunità, cosa pensa in generale dei social e come giudica tutte quelle persone che li usano per sfogare il loro odio, i cosiddetti haters?

“Bisogna stare attenti a come si usano i vari canali o strumenti. Per quanto riguarda il telefono, io fino a poco tempo fa lo usavo appunto solo per telefonare. Poi, da poco tempo, mi hanno regalato questo qui, lo smartphone, con cui si possono fare tante cose belle, inviare messaggi, foto, cercare notizie… e quindi l’ho accettato e piano piano sto imparando ad usarlo, ma non ne faccio un uso eccessivo, ecco”.

Melissa I.:  lei è anche uno scrittore, ci può dire qual è il libro a cui è più affezionato e perché?

“Sì, è vero, ho scritto dei libri, alcuni hanno anche venduto molto, come ad esempio Cattivi maestri. Scrivo anche perché come ho detto insegno all’Università e quindi scrivo per gli studenti. Sono affezionato a tutti i miei scritti, ma se dovessi scegliere direi che quello a cui sono più legato è una specie di diario, in cui parlo di me, della mia vita, delle persone che hanno vissuto e vivono con me, aiutandomi nel mio lavoro ed esprimo i miei pensieri più veri sui temi più vari: la religione, la politica, la cultura, la paternità…”.

Giusy: se lei potesse tornare indietro nel tempo rifarebbe esattamente tutto quello che ha fatto o c’è qualcosa che cambierebbe? Le è mai venuta meno la forza o qualche volta ha pensato di mollare?

In linea generale credo di sì, rifarei tutto quello che ho fatto, perché ho sempre agito seguendo i miei princìpi, le mie idee, e non avrei potuto fare altrimenti. Forse col senno di poi magari in alcune occasioni avrei meno fretta, sarei meno impaziente di realizzare le cose, perché l’esperienza mi ha insegnato che ogni cosa ha i suoi tempi. La voglia di mollare no, non mi è mai venuta, anche se periodi di stanchezza ne ho avuto tanti”.

La parola che i ragazzi hanno scelto per Don Panizza e hanno scritto alla lavagna è stata “libertà”.  “È una bellissima parola - risponde don Giacomo - e se ve la devo spiegare in poco, pochissimo tempo, ecco, direi che la libertà è soprattutto essere liberi dai condizionamenti, quindi in definitiva essere sempre se stessi, poter decidere cosa fare, dove andare, come agire. Non bisogna mai prendere le decisioni condizionati dalla paura, dal giudizio degli altri, ma sempre, sempre, essere se stessi”.

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