Lamezia, la strage dei netturbini e i misteri del caso Aversa a trent'anni dall'omicidio raccontati a Trame: “La città ha bisogno di verità”

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Lamezia Terme – Due ferite ancora aperte, un dolore mai sopito che ha segnato la città nel periodo più buio della sua storia. Apre la terza giornata del festival Trame.11 l’evento, a cura dell’associazione Antiracket Lamezia, “Le vittime innocenti di 'ndrangheta a Lamezia. Trent'anni dall'omicidio Aversa e la riapertura del caso della strage dei netturbini”. Nella cornice di Palazzo Nicotera, a parlare dei drammatici casi, Paolo Aversa (uno dei figli dei coniugi), Maurizio Agricola (Questore di Catanzaro) insieme allo scrittore e oggi giornalista de il Lametino, Antonio Cannone. A moderare l’incontro, Pasqualino Rettura de Il Quotidiano del Sud. Erano gli anni del primo scioglimento del consiglio comunale per infiltrazioni mafiose, avvenuto nel 1991 e del delitto dei netturbini, Pasquale Cristiano e Francesco Tramonte uccisi all’alba del 24 maggio del 1991 nel quartiere Miraglia. Cominciava proprio da Lamezia, con il duplice omicidio del sovrintendente di polizia Salvatore Aversa e della moglie, l’insegnante lametina Lucia Precenzano, (avvenuto il 4 gennaio del 1992), la più lunga e tragica stagione della storia italiana proseguita con le stragi di Capaci e Via d’Amelio.

Rettura esordisce con il ricordo degli altri caduti lametini della Polizia di Stato come Caligiuri e Diano. Aversa dice, “era dedito a far rispettare le regole e ha pagato con la vita”. Un delitto che ha unito “la Sacra corona unita passando per San Luca arrivando a Lamezia” dice il Questore Agricola rivolgendo un pensiero a Walter, Paolo e Giulia, “i tre figli dei coniugi Aversa che da giovani hanno dovuto subire questa grandissima perdita così come la famiglia della Polizia di Stato. Oggi dobbiamo ricordarli per chi erano e per cosa hanno simboleggiato”. Il questore riporta le parole di Paolo in un’intervista: ‘mio padre era una persona che non si sarebbe mai tirato indietro’… quel senso del dovere alla base del suo agire. “Agire nel senso di fare, affinché alle parole si possano unire i fatti come faceva Aversa”. Poi ricorda la moglie: “Lucia ha avuto una sola colpa: aver condiviso gli ideali del marito fino all’ultimo istante. Lei insegnava e insegnare vuol dire imprimere nella mente. Sono le fondamenta della cultura. La scuola apre la mente alla riflessione al coraggio, alla tolleranza”. Questa è  “la testimonianza dei coniugi che ci hanno lasciato affinché il loro sacrificio non sia stato vano. Non deve essere un ricordo scandito annualmente ma un costante impegno sociale per migliorare la società".

Paolo Aversa, anche non essendo lametino ha scelto di restare nella città, quel dolore lo porterà sempre, in qualsiasi luogo. “Quello che è successo è un rammarico costante - dice evidenziano come - noi la giustizia l’abbiamo avuta così come la vicinanza da parte della gente ma ci sono delle cose che restano nella città, che non ha espresso e che forse non si possono esprimere. Sono vicende che hanno fatto la storia del territorio. La politica forse un po' di responsabilità ce l’ha”.

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I misteri del caso Aversa e la richiesta di riapertura indagini per il delitto dei netturbini

Cannone, spiega poi com’è nato il libro. “Ho scritto il volume per un senso civico, abitando in questa città ne ho seguito le vicende. Si trattò infatti di un omicidio legato soprattutto alla mala gestione della politica. Aversa seguiva determinate questioni legate al controllo del territorio”. L’autore pone l’attenzione sul legame tra i due casi: quello Aversa e dei netturbini. “Anche oggi chiediamo che si aprano le indagini, magari lanciando un appello al procuratore Gratteri che stasera sarà ospite di Trame”.  Un delitto ancora impunito perpetrato per dare un chiaro segnale della potenza criminale nell’ambito della lotta per il controllo degli appalti sulla nettezza urbana. Continua, infatti, anche la petizione lanciata proprio dal Festival dei libri sulle mafie lo scorso anno. Il Questore Agricola ha parlato di “vittime del dovere, con 22 colpi di kalashnikov si può parlare di una vera e propria strage dei netturbini”. Tra il pubblico c’è anche la terza persona rimasta ferita quell’alba di 31 anni fa.

Rettura chiede al Questore cosa serva affinché si riapra il caso dei netturbini: “31 anni sono un gap storico importante. Certo la tecnologia di oggi sarebbe stata utile, basti pensare al Dna... ma è un lasso di tempo così grande... Bisognerebbe visionare le tracce e cosa è rimasto dal punto di vista scientifico. Una volta si lavorava con collaboratori. Un pentimento sarebbe lo strumento più efficace per riaprire le indagini. Il movente è stato individuato e sicuramente Aversa lo aveva capito e aveva capito anche la questione dei patrimoni... che bisognava guardare a dove i soldi confluivano”.

Due casi intrecciati, quindi, che il giornalista Cannone ha racchiuso in un volume dal titolo “Il caso Aversa tra rivelazioni e misteri” uscito nel 2017, tutti i passi giudiziari, tra misteri e rivelazioni, il caso. Un duplice omicidio avvenuto in via dei Campioni (oggi intitolata alle due vittime), due giorni prima dell’Epifania. Il ‘superpoliziotto’ che indagava sui rapporti mafia-politica e poi anche sull’assassinio di due netturbini. 

E se ancora la città chiede giustizia per Tramonte e Cristiano, ci sono voluti tre procedimenti giudiziari prima di arrivare a ricostruire la verità (arrivata definitivamente solo nel 2009) sul delitto dei coniugi Aversa, appunto, come sottolinea Cannone nel suo libro, tra misteri e rivelazioni. Durante le indagini, spuntò infatti una supertestimone, una giovane lametina che accusò quelli che furono arrestati come presunti autori materiali del duplice omicidio. I due furono condannati per questo omicidio nel 1994 e poi assolti. Assolti perché, intanto, le dichiarazioni della superteste si erano rivelate false. Il libro percorre la vicenda a partire dalle dichiarazioni dei due pentiti della Sacra Corona Unita, Chirico e Speciale che si auto-accusarono del duplice omicidio Aversa e Precenzano che sarebbero stati ingaggiati dalle 'ndrine di Lamezia. Due mesi dopo il delitto la loro tomba nel cimitero di Castrolibero, venne profanata da ignoti. Una storia travagliata ancora piena di ombre e lati oscuri.

“Sono contento - afferma Cannone - di trovarmi qua nel trentennale della morte di Falcone e Borsellino. Ma noi - ricorda - abbiamo anche i nostri morti ed è giusto ricordarli”.

Analizzando il caso giudiziario emerge, nel corso dell’incontro che “il Pm dell’epoca fu anche condannato. Quello del caso Aversa - dice Cannone - è un’indagine fatta male”.

E, ricorda: “se non fosse poi stato per i pentiti a quest’ora due innocenti erano in carcere. I mandanti di Lamezia si rivolsero alla cosca di San Luca. I due killer ingaggiati avevano un debito di droga e si sdebitarono commettendo il delitto. Tentarono una volta sotto casa di Aversa. Poi ci riuscirono il 4 gennaio con la complicità delle cosche locali”. Secondo Cannone, “Aversa aveva sicuro individuato la matrice dell’omicidio dei netturbini. Aveva il fiuto del poliziotto”.

Paolo aveva 27 anni e “gli insegnamenti dei miei genitori restano e ci sorreggono a me e ai miei fratelli. Momenti come Trame - afferma - sono eventi dove la gente ci sta vicino... Mi auguro che il processo ci sia anche per la vicenda dei netturbini. Io avevo creduto in prima persona alla Cerminara, la sentivo convinta nella voce. Con la prima condanna sembrava di aver avuto la verità. Poi il gelo... c’erano persone innocenti in carcere... poi lo Stato ha fatto sì che venisse restituita giustizia e questo è importante”.

“Con Paolo Aversa stiamo lavorando insieme per un nuovo libro con aspetti che ancora non sono emersi”, svela infine Cannone.

Lamezia trent’anni dopo

La memoria, protagonista di eventi come quello di oggi, punta, infatti, a sensibilizzare ed evitare che accadano ancora simili stragi. La recente memoria riporta alla luce la storia di altri due scioglimenti per infiltrazioni mafiose (nel 2002 e il terzo nel 2017) o la sparatoria avvenuta in strada, in pieno centro e in un’ora di punta lo scorso 7 marzo. “La città ha bisogno della verità – conclude Cannone – perché le cosche non sono morte”.

Rettura ricorda come “a Lamezia ci sono stati più di 20 pentiti che hanno svelato tanti omicidi ma che è nata anche una delle prime associazioni Antiracket, c’è Trame ma poi ci sono stati altri omicidi, c’è stato il terzo scioglimento”. È il Questore a rispondere: “a Lamezia è stato fatto molto, tante operazioni di Polizia e Carabinieri che hanno disarticolato le cosche locali, operazioni con nomi importanti e mitologici ma dietro c’è molto di più. l’associazionismo è importante per scuotere le coscienze. Ma deve essere seguito. Gli imprenditori devono essere pronti a denunciare. Mi auguro che anche in terra di Calabria ci sia un riscatto importante che parta anche dai giovani”. Secondo Paolo Aversa: “Oggi non c’è paragone con 30 anni fa. Questi ragazzi con la maglia rossa sono la speranza. 30 anni fa c’era buio anche di giorno”.

“Le attività investigative sono costanti e ci sono - rassicura il Questore - la ‘ndrangheta resta l’associazione più potente al mondo nel traffico di cocaina. È pericolosa e insidiosa, bisogna tenere alta la soglia dell’attenzione perché il denaro ha bisogno di essere lavato e i fondi del Pnrr non devono essere strumento per riciclare il denaro che arriva”.

Ramona Villella

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