Lamezia, Rodolfo Ruperti su Rai 3 racconta l'effetto "domino" dei pentiti nella caduta del clan Giampà

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Lamezia Terme – “Effetto domino”: è il titolo della puntata del programma di Rai 3 “Commissari - Sulle tracce del male” andato in onda sabato in seconda serata, ma è anche come ha definito l’ex capo della Squadra Mobile di Catanzaro, attualmente a Palermo, Rodolfo Ruperti, il fenomeno del pentitismo a Lamezia.

Ed è proprio un pezzo di storia di ‘ndrangheta lametina quella che è stata raccontata nel programma della Rai con la conduzione di Giuseppe Rinaldi: un racconto delle indagini che hanno portato a termine alcuni investigatori di Polizia su fatti di cronaca che hanno segnato profondamente il loro lato umano.

E Ruperti, 52enne originario di Crotone, ha raccontato come è arrivato a decapitare la cosca Giampà che, fino agli arresti del 2011, perpetrava il suo potere su Lamezia.

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Tutto parte da due omicidi: quello di Vincenzo e Francesco Torcasio, padre e figlio, uccisi ad un mese di distanza l’uno dall’altro nel 2011. A Lamezia erano gli anni di quella che Ruperti ha definito “la mattanza”: una vera e propria guerra di mafia dove cadevano tutti sotto i colpi di pistola piano a piano e senza regole.

Una città sotto scacco delle estorsioni, dove, come ha commentato l’ex capo della Mobile “le persone ci parlavano con gli occhi”.

Da lì, Ruperti porta a segno una serie di arresti, tra cui il figlio del boss, all’epoca reggente della cosca, Giuseppe Giampà. Quello che poteva essere un buco nell’acqua, alla fine si è rivelato fondamentale: Giuseppe Giampà fu arrestato per estorsione, insieme a tre dei suoi sodali, tra cui Angelo Torcasio “Porchetta”.

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Sarà proprio lui il primo dei collaboratori di giustizia. Da lui partirà il cosiddetto “effetto domino”. Nomi, cognomi, fatti, estorsioni, omicidi, ricostruzione capillare dell’organigramma della cosca. Angelo Torcasio comincia la sua collaborazione e lo fa mettendo a disposizione delle Forze dell’ordine tutto ciò di cui è a conoscenza. Il suo pentimento scatena arresti e operazioni fondamentali che metteranno sotto scacco la cosca dei Giampà.

Angelo Torcasio è solo il primo, lo seguiranno altri fedelissimi: Battista Cosentino, Rosario e Saverio Cappello, della “montagna”. “Avevamo una marea di informazioni” ha detto Rodolfo Ruperti, che da lì a poco arresterà i sodali dei Giampà nell’operazione madre “Medusa”. In quell’operazione furono arrestate anche le donne della cosca: per riuscire a portarle fuori di casa ci vollero cinque ore.

Le persone inveivano contro gli agenti della Polizia, nessuno pensava che potessero essere arrestate anche le donne, “loro si sentivano intoccabili”. “Si capisce la caratura criminale di una città – commenta il dottor Scittarelli, funzionario della squadra di Ruperti all’epoca – quando qualcuno si prende la briga di difendere i mafiosi”.

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L’effetto domino è arrivato fino a lui: Giuseppe Giampà, “un fatto assolutamente isolato il pentimento del figlio del boss”, convinto anche perché la moglie era d’accordo nel suo pentimento.

“Giampà aveva un modo di gestire il clan assolutamente paranoico” ha commentato Giuseppe Borrelli, all’epoca procuratore aggiunto della Dda di Catanzaro. Il boss poco più che trentenne, svela quello che fino ad allora non era stato svelato. Racconta tutto dal suo punto di vista, quello del capo, che spiega come ordinava gli omicidi e come organizzava il lavoro della cosca.

Cita anche il suo killer di fiducia, Francesco Vasile, arrestato poi a Novara. Un insospettabile, “uno che faceva granite”: nel corso del processo “Perseo” a Lamezia, Angelo Torcasio raccontò che Vincenzo Bonaddio, zio di Giampà e persona ritenuta di spicco nella cosca, aveva detto che per lui "commettere un omicidio è come fumare una sigaretta".

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Giuseppe Giampà ha poi confessato agli inquirenti anche che in carcere qualcuno del gruppo dei crotonesi gli aveva mostrato la sua disponibilità per un possibile atto nei suoi confronti: anche lui era nel mirino, “allora era particolarmente esposto”.

Dopo Medusa, arrivò l’operazione Perseo, e dopo Andromeda contro i Iannazzo-Cannizzaro Daponte. Oltre 150 arresti con alcune condanne divenute definitive. “Il ritorno – ha spiegato Ruperti – è stata la fiducia da parte delle persone”, anche se poi ha chiosato che “Le indagini di mafia non si concludono mai”.

C.S.

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https://www.raiplay.it/video/2018/03/Commissari---Sulle-tracce-del-Male-0cf5629f-471d-4978-a5cd-27c2ecca74a8.html

 

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