Simona dalla Chiesa agli studenti dell’IC Sant’Eufemia: rifiutate il qualunquismo

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Lamezia Terme – “Arrivare in una scuola e sentire dei ragazzi suonare l’inno d’Italia è stato un piacevole colpo al cuore, siete stati bravissimi”. Simona dalla Chiesa, figlia del generale Carlo Alberto, saluta così gli studenti dell’istituto comprensivo Sant’Eufemia Lamezia che l’hanno accolta per una delle giornate conclusive del progetto “Legalità e cittadinanza”. La serie di incontri, promossi dal centro “Riforme, democrazia e diritti” con presidente Costantino Fittante, ha infatti coinvolto gli insegnanti e gli alunni della scuola primaria e secondaria di secondo grado, attraverso un percorso didattico fatto di approfondimenti, in particolare sulla costituzione italiana, l’unione europea, la criminalità organizzata e il suo radicamento sul territorio. Affiancata dall’imprenditore lametino e testimone di giustizia Rocco Mangiardi, Simona dalla Chiesa, terzogenita del prefetto di Palermo ucciso in un agguato mafioso nel 1982, ha risposto alle tante domande degli studenti dell’istituto diretto da Fiorella Careri.

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Ai giovani ha ribadito soprattutto l’importanza di battersi per la democrazia e credere nelle istituzioni, proprio come le ha insegnato il padre. “Papà mi ha sempre detto che tutta la sua stima e il suo rispetto andavano alle istituzioni, per lui sacre. Solo con gli anni mi sono resa conto di cosa volesse dire: abbiamo visto cambiare tante facce, ma le istituzioni non vanno toccate, dobbiamo ricordarci sempre di rispettare le regole”. Una “vittima di mafia” e un testimone di giustizia oggi quindi voluti per il penultimo appuntamento del progetto, da Costantino Fittante, che ha tenuto a ribadire agli studenti: “Come abbiamo sostenuto durante tutti gli incontri, la legalità non è un fatto astratto o un rispetto formale delle regole, dobbiamo fare in modo che non vengano cancellate dalla vostra memoria le tante storie  che in questo percorso vi abbiamo raccontato”. Un progetto, quello portato avanti, che anche la direttrice Fiorella Careri ha definito “non un progetto fatto solo di tavole rotonde, ma un percorso per far capire ai ragazzi che cosa significa davvero vivere secondo legalità e nel rispetto degli altri”.

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E agli studenti, Simona dalla Chiesa ha raccontato soprattutto le ore successive all’omicidio del padre e spiegato come la sua famiglia sia riuscita a trovare la forza di reagire. “La chiesa ai funerali era gremita di palermitani sconosciuti. C’erano anche i politici, ma non ce la siamo sentita di andare a stringere le mani alle persone che lo avevano lasciato senza protezione, non ci sembrava giusto. La forza di reagire l’abbiamo trovata nell’immenso patrimonio di ottimismo che ci ha lasciato. Come figlia non puoi pensare che tutto finisca con la sua assenza, ci ha dato talmente tanto che ci ha donato anche la forza di affrontare quei momenti così dolorosi”. E sulla lotta alla criminalità organizzata e alla corruzione, ha invitato i ragazzi a mantenere sempre vivo il ricordo e la memoria delle persone che sono state da esempio, in una società che galoppa sempre troppo veloce e  all’interno della quale si tenta di fare di tutta l’erba un fascio. “Anche quando c’è scoraggiamento e stanchezza perché le cose non vanno come devono, occorre rifiutare il qualunquismo, non siamo tutti uguali ed è necessario ragionare, giudicare e scegliere con la propria testa”. Si sono mostrati sensibili e preoccupati anche per l’ambiente gli studenti dell’istituto, ai quali infine la Dalla Chiesa ha tenuto a precisare: “deve crescere ancor più nella comunità una cultura ambientalista, tenete gli occhi aperti sui beni che vi circondano, non consentite a nessuno di sporcare le vostre spiagge, il vostro mare, il vostro territorio”. 

Fondamentale, per le battute finali del progetto didattico sulla legalità anche la testimonianza di Rocco Mangiardi, l’imprenditore lametino che ha detto no al pizzo e che ha raccontato agli studenti la sua esperienza personale e l’importanza della denuncia. “Non mi sento un testimone di giustizia ma un cittadino responsabile, ho fatto la cosa più giusta per la mia vita e la mia attività, perché la vita non dobbiamo viverla da turisti ma abitarla. Non c’è miglior cosa - conclude - che puntare il dito nell’aula di tribunale, perché quel dito è più potente delle loro armi”. 

Alessandra Renda

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