Soveria Mannelli - Apre i battenti oggi pomeriggio, mercoledì 10 giugno, a Soveria Mannelli, la seconda edizione del Festival del lavoro nelle aree interne che, quest’anno avrà come leitmotiv quello delle produzioni e dei paesaggi nelle montagne del Mediterraneo. Il Festival promosso da Fondazione Appennino, Rubbettino e l’Associazione RESpro (Rete degli storici della Produzione), con il sostegno della Fondazione Carical, vedrà convogliare a Soveria Mannelli, la cittadina che sorge sulle giogaie della Sila, in Calabria, più di 70 studiosi provenienti da Università e centri di ricerca italiani e stranieri. Obiettivo del Festival è quello di favorire un percorso di studi e ricerche volto a superare alcuni stereotipi, che ormai da molto tempo caratterizzano il dibattito sulle aree interne, collocando al centro di ogni riflessione il tema del lavoro.
Con questa seconda edizione del Festival, informano in una nota “si vogliono inoltre smontare ulteriori retoriche, rispetto a quelle costruite intorno ad una certa visione dei borghi o sui ruoli che possono svolgere al loro interno i giovani, proponendo nuovi paradigmi economici e sociali. La dorsale appenninica non è soltanto il collante tra le regioni settentrionali e quelle meridionali del nostro paese; le tante comunità delle sue aree interne possono diventare, infatti, lo spazio ideale di un’inedita congiunzione tra Europa e Mediterraneo. In questa direzione, l’Appennino è davvero il cuore di un Mediterraneo circondato da estese catene montuose. L’Appennino è uno spazio concreto nel quale non solo si incontrano Nord e Sud, ma anche Occidente e Oriente. In questa prospettiva, inedite alleanze territoriali tra costa e montagna, paesi e città, insieme ad un ripensamento complessivo del sistema economico, attendono di essere ridefinite. Il Festival di Soveria Mannelli vuole essere il luogo dove iniziare questo impegnativo cammino.
Se dal punto di vista economico è indispensabile superare una visione incentrata esclusivamente sul turismo, a vantaggio delle tante articolazioni produttive delle comunità montane, da un punto di vista culturale si deve annullare ogni condizione di subalternità attribuita alle aree interne, soprattutto se collocate nel Meridione e nel contesto mediterraneo. È proprio in questa chiave che l’Appennino può recuperare la sua centralità, purché le persone, con le loro esigenze, siano ricollocate alla base di ogni relazione. L’apertura dell’Appennino e dei suoi paesi in direzione del Mediterraneo significa anche iniziare a ragionare in termini diversi di accoglienza, perché gli spazi che definiscono questo mare, indipendentemente dal loro posizionamento geografico, appartengono tutti ad un medesimo sistema territoriale, nonostante differenti articolazioni e complessità”.
“Un primo approdo del nostro percorso di ricerca – ha dichiarato il prof. Augusto Ciuffetti, Presidente del Comitato scientifico – è rappresentato dall’acquisizione di una chiara consapevolezza sulla necessità di superare ogni concetto di “internità". Solo in questo modo, è possibile garantire un solido avvenire agli spazi montani, al pari di tutti quelli classificati come marginali o periferici. Del resto, la storia ci insegna che gli spazi appenninici, con le loro tante comunità e le loro reti produttive capaci di coniugare le attività agricole e silvo-pastorali con quelle artigianali e manifatturiere, hanno sempre svolto una funzione centrale negli equilibri economici, sociali e culturali della nostra penisola, almeno fino alla seconda metà del Novecento. Alla luce delle crisi ambientali in atto e del mutamento climatico, ma anche di fronte alle evidenti difficoltà delle agglomerazioni urbane e dei sistemi economici, che continuano ad alimentare disuguaglianze e ingiustizie, l’Appennino può diventare, a tutti gli effetti, un laboratorio di futuro”.
“Dopo un primo riuscito esperimento dello scorso anno – è il pensiero di Gianni Lacorazza, vicepresidente di Fondazione Appennino – la seconda edizione guarda ancora più nitidamente al superamento di un’ottica che vuole le aree interne contrapposte ad aree più urbanizzate e antropizzate. Una logica cioè, che ci vede impegnati nel superamento di una “depressione” storica che oggi invece può trasformarsi in opportunità solo se le aree interne non ambiscano a creare modelli di sviluppo concorrenti ma integrati. È ciò che proviamo a fare “dall’interno delle aree interne” ed è quello che questa edizione del festival vuole rafforzare allargando a contributi e collaborazioni che operano nella nostra stessa direzione”.
Grande soddisfazione espressa infine da Florindo Rubbettino che ospita negli spazi dei suoi stabilimenti per il secondo anno consecutivo questo festival: “La nostra – dice – è una scommessa vinta. Quando mio padre, Rosario Rubbettino, fondò questa casa editrice e lo stabilimento tipografico a essa annesso apparve ai più un sognatore. Abbiamo invece superato da poco la boa del primo mezzo secolo di vita e di attività. Sono da sempre convinto che le aree interne rappresentino un’opportunità per il nostro Paese e non un problema, a patto che le si guardi senza pregiudizi e abbandonando la tentazione di trasformarle per forza in paesi-albergo e luoghi di svago. D’altro canto basta guardare alla storia economica del nostro Paese per vedere come in fondo i luoghi della produzione sono nati in aree un tempo considerate ‘interne’”. Il Festival si chiuderà con l’inaugurazione del Museo d’impresa Rubbettino dedicato al Libro e alla Tipografia.
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