Lamezia: “Dai campi di prigionia nazisti a Salò”, presentato il diario di Antonio Bruni

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Lamezia Terme – “Dai campi di prigionia nazisti a Salò” è il titolo del diario del preside Antonio Bruni, presentato questa sera presso il Seminario vescovile di Lamezia Terme. Un diario dai racconti intensi ed emotivi, che racchiude il viaggio dei viaggi che il preside Bruni ebbe a scrivere durante gli anni di prigionia che lo videro affrontare la seconda guerra mondiale e che la famiglia custodì gelosamente come un tesoro divenuto oggi una interessante pubblicazione sulla quale hanno lavorato studiosi di storia contemporanea da più parti d’Italia.

A partecipare alla tavola rotonda Pantaleone Sergi e Gaetano Montalto – che insieme a Bruni ha portato avanti dall’82 ai nostri giorni la rassegna teatrale dei “Ragazzi in gamba” – hanno preso parte Brunello Mantelli che ne ha curato la prefazione, Giuseppe Ferraro che invece ne ha curato complessivamente la raccolta fino alla pubblicazione e Giuseppe Masi, direttore dell’istituto “Storia della patria”. 

I dati che riportano la mancanza del riconoscimento di prigionieri di guerra, nella Germania nazista, contano circa 650.000 persone di cui 20.000 ufficiali, persone alle quali non veniva riconosciuto alcun diritto, continuamente sfruttate. Di cosa si tratta? Di memorie riportate in quaderni che il preside Bruni leggerà nell’intimo silenzio e nella sofferenza della sua malattia. “Un uomo di profonda, istintiva e laica religiosità – così lo descrive Gaetano Montalto – un uomo di scuola”. Ed è proprio la scuola, il luogo in cui Bruni dopo gli anni dei campi di concentramento riesce ad essere un valido educatore, facendo innamorare i ragazzi anche attraverso attività interdisciplinari come il teatro, al punto tale che “La campanella non dava alcun segnale di fuga” – dice Montalto. Il ‘69 e il ‘70 sono gli anni in cui viene battezzata la scuola di “Bella” – ora Scuola Manzoni Augruso – e sono gli anni della speranza e della rinascita. Eternatrice del bello e del buono, Bruni realizza così un’officina curriculare, in cui dare libero sfogo alla sperimentazione e alla libertà trasmessa da ogni bambino.

“L’istituto della patria antifascista, fondato 35 anni fa, e che da sempre si occupa di testi di ricerca meridionalistica, non si era mai imbattuto in una testimonianza del genere” commenta Masi. Un’opera che appare, dunque, come una possibilità di meditazione verso esperienze volte a nuove generazioni: “Il professor Masi – racconta il dottore di ricerca di San Marino Giuseppe Ferraro – è la prima persona ad avermi parlato di Bruni, il quale, attraverso questo diario, ci ha lasciato una fonte primaria”. Si evince un lavoro approfondito di squadra senza il quale, secondo Ferraro, non si sarebbe arrivati al risultato attuale.

Ma di cosa parla il diario? Antonio Bruni – restando dietro le linee gotiche della seconda guerra mondiale e della propaganda fascista – parte per difendere la propria patria. Si sente investito di un compito più grande di lui ma egli decide di partire per una verità importante. Bruni è fatto prigioniero dagli ex alleati internati militari italiani. E tra 650.000 persone anche lui è destinato ai campi. Scrittura di sofferenza, di isolamento, di malattia, è quella delineata dal diario, in luoghi in cui le risorse di uno possono servire a un altro, ma non basta. Antonio Bruni costretto ad aderire, da ultimo, alla Repubblica Sovietica dove però riuscirà a costruirsi anche una possibile via di fuga.

Un diario, come corrisponde dall’intervento di Sergi, che costituisce certamente un fondamentale tassello per capire cosa successe dopo la seconda guerra mondiale, e da cui prendere in esame il sentimento d’identità collettiva. Un’esperienza servita al riconoscimento di un’Europa libera, di un impegno sociale e concreto.

V.D.

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