“Questo è per te!”

Scritto da  Pubblicato in Angelo Tedeschi

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angelo-tedeschi_2167e_d8d10_549ff.jpg(Terza puntata)

Insomma, l’esercizio della pertica era una scommessa. Per affrontare meglio  la prova adottai un piccolo stratagemma: conoscendo in anticipo il mio turno, appena prima di essere chiamato dal professore umettai con la saliva l’interno delle ginocchia per una maggiore presa al legno. Ricordo lo stupore dei miei compagni quando videro che mi slanciavo con sicurezza nonostante il sovrappeso. E io stesso, dopo uno sforzo intenso, raggiunta la cima, guardai sudato e compiaciuto le teste sollevate dei compagni i quali avevano fatto il tifo per me. Da allora superai senza intoppi quella prova tanto che il professore mi additava alla classe come esempio di tenacia vincente.

Ma, in questa carrellata di docenti, occupa un posto scolpito nella pietra la professoressa Zagli. Fin da subito era apparsa diversa dagli altri insegnanti intravisti lungo il corridoio sul quale si affacciava l’ala della scuola riservata alle sezioni  maschili. Portamento eretto, molto distinta nel suo tailleur-gonna color rosa pallido, borsetta in tinta all’avambraccio, il primo giorno di scuola entrò in aula accompagnata da una sottile scia di profumo aspro e sedette dietro alla cattedra posta sulla pedana di legno grigio scuro.

Non saprei indicare con precisione la sua età. D’altronde, per noi studenti di prima media inferiore, tutti gli adulti sembravano avere un’età indecifrabile. Anche di noi stessi, proiettati  nel tempo, avevamo un’idea da sindrome di Matusalemme. Pensando ad un futuro lontano commentavamo desolati: “Nel Duemila avremo quarantatré anni: saremo vecchi!”

Della professoressa ricordo bene alcuni particolari. Ricordo la penna dorata con la quale sondava il registro scolastico alla ricerca di uno studente da interrogare. Rivivo il silenzio teso dell’aula, interrotto solo da qualche colpo di tosse soffocato. Rammento i nostri occhi focalizzati sulla sua mano curata, intenta a scorrere in alto, in basso e poi ancora su,  le righe con i nomi degli studenti riportati nel registro dalla copertina rigida color smeraldo. Ricordo la sua fronte spaziosa corrugata, le labbra serrate, l’espressione del viso concentrata. Attimi interminabili nei quali trattenevo il respiro, specie quando la penna indugiava  sulle parti basse del registro.

Alla pronuncia del nome, la tensione si tramutava in qualcos’altro: in un mezzo sospiro di sollievo se veniva chiamato un compagno di classe o in un tonfo sordo al centro del petto se toccava a me. Nell’udire il mio nome, avvertivo una reazione emotiva che mi spingeva ad alzarmi di scatto dal banco e a raggiungere deciso il lato della cattedra. Era solo un attimo perché poi, a poco a poco, i battiti del cuore si calmavano e restavo attento per tutta la durata dell’interrogazione. 

In ogni caso, al di là di questi riti procedurali, più o meno comuni anche ad altri docenti in procinto di  interrogare, su un punto c’era identità di vedute tra noi studenti: la professoressa Zagli era molto brava. Le sue lezioni non erano frutto d’improvvisazione ma pianificate con cura. Si vedeva che profondeva il massimo impegno nell’insegnamento per cui il suo parametro di valutazione discendeva anche dall’essere fatta in un certo modo. A questo riguardo, circolavano alcune voci: si diceva che proveniva dal nord; si vociferava che durante la guerra era stata una staffetta partigiana; si ipotizzava che era sposata ma non aveva avuto figli e questa privazione dolorosa l’aveva indurita. Insomma, una pluralità di costruzioni mentali volte a spiegare i perché di una personalità quadrata.

Dunque, come si può arguire, con un corpo docenti di tal fatta, i compiti da svolgere a casa erano infiniti. Ricordo i pomeriggi e le serate intere a studiare francese, matematica, epica, italiano, latino, storia, geografia e via dicendo. Un’interminabile lista di argomenti rispetto ai quali mia madre aveva preferito affidarmi alle cure di sua sorella, impegnata negli studi universitari di Pedagogia. Nelle prime ore del pomeriggio scendevo al primo piano dello stabile, salutavo mia nonna e prendevo posto accanto a zia, al tavolo tondo foderato con un panno verde di poliestere avente un elastico perfettamente tirato sotto al piano.  Un tavolo da studio, e non certo da gioco, la  cui posta in palio era la realizzazione di comuni sogni di cambiamento sociale attraverso una preparazione scolastica il più possibile conforme alle inclinazioni individuali.

di Angelo Tedeschi 

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