Lamezia: l’antropologo Vito Teti presenta “Fine Pasto”, tra tradizione e modernità

TETI-3.jpg

Lamezia Terme – È stato presentato a Lamezia Terme, presso un noto hotel cittadino, il libro dell’antropologo Vito Teti  “Fine pasto, il cibo che verrà” edito Einaudi. L’incontro, che ha visto una gremita presenza, è stato organizzato e promosso dall’associazione culturale Felice Mastroianni, presieduta da Serenella Mastroianni. Vito Teti è uno dei maggiori conoscitori della Calabria, antropologo calabrese di caratura nazionale ed internazionale, che dopo innumerevoli viaggi, è ritornato nella sua terra, nel suo piccolo paese d’origine San Nicola da Crissa. “Quella di Vito Teti è un’antropologia scientifica, dei luoghi e dei sensi, ma la sua ricerca è anche letteraria e poetica, e la sua scrittura è affascinante ed avvolgente” – introduce così l’autore, Serenella Mastroianni. L’antropologo di ‘Terra Inquieta’, altro libro di recente presentato a Lamezia, indaga in ‘Fine Pasto’ sull’onda delle scienze alimentari che da giovane lo portarono ad una tesi sul ‘cibo degli abitanti del proprio paese’, sul rapporto che intercorre tra ‘cibo e parole’, su un rapporto che intercetta una comunicazione diversificata nel corso del tempo.

TETI2.jpg

A leggere alcuni brani tratti dal libro l’attore Dario Natale di Scenari Visibili, le cui letture scelte sono indirizzate a mettere in evidenza la ‘sacralità’ del cibo, il circuito naturale le lega tutti gli esseri viventi al cibo, persone, animali, piante, l’apertura alla socialità di alcuni paesi oggi. L’avvocato Francesco Bevilacqua, scrittore e paesaggista, mette a fuoco le due chiavi di letture: “Si è passati dal troppo vuoto al troppo pieno, dalla fine della pancia vuota all’inizio della pancia piena”.  Emergono in Fine Pasto due scuole di pensiero contrapposti tra loro. La prima è quella del ‘bioconservatorismo’ all’interno della quale la tradizione è tutta bella ed intoccabile, immodificabile. La seconda è quella del ‘futurismo post umanistico’ per cui grazie alla modernità non si ha più bisogno di nulla. A ben vedere, dunque, il trauma è tra ‘tradizione e innovazione’. Un ragionamento, quello di Bevilacqua, che porta a riflettere su come sia necessario, e in questo occorre molta attenzione, non mimetizzare il passato.

E Vito Teti sembra proprio inserirlo in ogni cosa, oltre che nelle lezioni rivolte ai suoi attenti studenti all’Unical, il discorso sulla rilevanza della ‘trasmissione’ della tradizione, quindi di un passato che appare difficile ma non lo è se lo si ‘comunica’ al presente, se viene rielaborato al presente attraverso le nuove generazioni. Un passato dal quale occorre ‘selezionare’ solo poche e buone cose, un passato che non si può ereditare ma va riconquistato giorno per giorno. “Parlare di cibo è un pretesto per parlare di noi” – continua Francesco Bevilacqua. Fine Pasto, infatti, nasce da ricordi personali dell’autore che partono dalla narrazione, con al centro la trasmissione orale della conoscenza. Una critica al cibo e all’oralità che passa dai media, dai cuochi televisivi e dalle vetrine e dagli stand costruiti a Milano per l’Expo, dove fra le altre cose, la fame dei molti, la fame degli immigrati nei nostri mari, viene fatta notare ma non viene colmata. Il titolo ‘Fine pasto’ guarda al passato, ad un pasto concluso, finito. Il sottotitolo guarda invece al futuro ‘Il cibo che verrà’, il che lascia intendere che per trovare la strada del cambiamento occorre l’impegno di tutti, maggiormente quello dei giovani, come più volte sottolinea Bevilacqua. Per Vito Teti il cibo è un fenomeno sociale, ma oggi nell’attuale contingenza il cibo si colloca in un posto vuoto di comunicabilità, vuoto di scambio e di linguaggio. “L’alimentazione non è solo dover ingerire del cibo, ma comprende una serie di cose: usi, abitudini, rapporti, comunicazione, ha a che fare con la filosofia, con la medicina – spiega Teti – parlare di cibo significa affrontare paradossi, perversioni, paure, speranze”. Teti parla di ‘tracciabilità’ nel mondo tradizionale, del fatto di come le persone sapessero quanto costasse il cibo, quale fosse la sua provenienza, e per quanto i contadini patissero la fame, questi erano protagonisti di un grande momento di ‘passaggio’ e di trasformazione, verso la modernità.

TETI-1.jpg

La sacralità messa più volte in luce da Teti è una sacralità legata in passato alla necessità (si raccoglievano le molliche da terra). La modernità per Teti non arriva tutta d’un fiato. Il problema di maggior impatto risolutivo sembra essere ‘fame/abbondanza’.  Non c’è alcuna mediazione. “Quelli che prima erano malati di magrezza ora sono malati di grassezza, ma sono sempre i poveri” – continua Teti. Oggi si parla di più di quanto si mangia. È necessario recuperare ciò che di buono arriva dal passato. C’è qualcosa di più terribile dell’uomo che muore di fame, ed è l’uomo che mangia da solo. “L’invito alla sobrietà è un invito a salvarci” – conclude Vito Teti. Il problema del cibo è ‘politico’. La sacralità del cibo ha a che fare con lo sviluppo dell’etica della natura. “L’uomo deve smetterla di sentirsi al centro del mondo. L’uomo deve essere amico degli animali, delle piante e sentirsi insieme parte di un unico mondo”. Cambiamento e permanenza si danno insieme, necessariamente intrecciati “Qualcosa deve pur cambiare, qualcosa deve invece ripetersi” (Costabile). Così, là dove sembra esserci il vuoto, può paradossalmente esserci il pieno. 

V.D.

© RIPRODUZIONE RISERVATA