Calabria: 11 fermi cosca Patania nel vibonese, anche ex maresciallo Carabinieri

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Vibo Valentia - L’ex comandante della stazione dei carabinieri di Sant'Onofrio, il maresciallo Sebastiano Cannizzaro, radiato dall'arma nel febbraio scorso, è stato sottoposto a fermo insieme ad altre 10 persone dai carabinieri del Comando provinciale di Vibo Valentia su disposizione della Dda di Catanzaro. L'ex militare è accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. Avrebbe agevolato le attività della cosca Patania di Stefanaconi. Cannizzaro era già indagato, sospeso nel maggio 2012 e radiato nel febbraio scorso.

Oltre a Cannizzaro, portato nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere (Caserta), i carabinieri hanno fermato dieci tra presunti affiliati e fiancheggiatori della cosca Patania. Gli indagati sono accusati, a vario titolo, di associazione mafiosa di tipo mafioso, usura, estorsione, danneggiamento, porto, detenzione e cessione di armi, anche da guerra, possesso di segni distintivi contraffatti e favoreggiamento personale, commessi in concorso e con l'aggravante delle modalità mafiose. I fermi sono stati operati dai carabinieri del Comando provinciale di Vibo Valentia, insieme a quelli dello squadrone eliportato Caciatori Calabria, in provincia di Vibo e a Rozzano (Milano), Cantù (Como) e Carugo (Como). I fermati nell'operazione "Romanzo criminale" sono Bruno Patania, 39 anni; Alessandro Bartalotta (23); Antonio Sposato (38); Sebastiano Cannizzaro (59); Iliya Krastev (33), bulgaro; Maria Consiglia Lo Preiato (31); Caterina Caglioti (32); Alex Loielo (21); Natale Michele De Pace (62), domiciliato a Rozzano; Toni Mazzeo (38), residente a Carugo; Riccardo Cellura (32), di Cantù.

Procuratore DDA Lombardo: "Ex cc depistava indagini"

"L'ex comandante della stazione dei carabinieri di Sant'Onofrio, il maresciallo Sebastiano Cannizzaro, fermato insieme ad altri dieci esponenti della cosca della 'ndrangheta dei Patania, ha tentato in più occasioni di depistare le indagini". Lo ha detto il Procuratore della Dda di Catanzaro, Vincenzo Antonio Lombardo, nel corso della conferenza stampa per illustrare i particolari dell'operazione dei carabinieri 'Romanzo Criminale' eseguita stamani. "L'ex maresciallo Cannizzaro - ha aggiunto Lombardo - si faceva utilizzare dai Patania in una ossessione contro le cosche avverse dei Bartolotta e dei Bonavota. Cannizzaro, insieme all'ex parroco di Stefanaconi, don Salvatore Santaguida, in più occasioni avrebbero veicolato informazioni alla cosca, attraverso Loredana Patania. In particolare il forte interessamento dell'ex sottufficiale dei carabinieri e del sacerdote si è evidenziato nella ricerca del cadavere dell'assicuratore Michele Penna, scomparso nel 2007 e vittima della lupara bianca". Cannizzaro, secondo la ricostruzione della Dda di Catanzaro, avrebbe omesso anche di trasmettere all'autorità giudiziaria una serie di documenti, atti e denunce. Il tutto, secondo l'accusa, era finalizzato ad agevolare la cosca Patania. In occasione dell'omicidio di Michele Mario Fiorilli, avvenuto nel settembre del 2011, l'ex sottufficiale avrebbe anche falsificato la ricevuta di avvenuta trasmissione alla Procura della Repubblica di Vibo Valentia di cinque denunce presentate dalla vittima prima del delitto. In quelle denunce Fiorilli accusava la cosca Patania di continue vessazioni per vicende relative ad alcuni terreni. "I carabinieri - ha detto il procuratore aggiunto della Dda di Catanzaro, Giovanni Bombardieri - ed il sostituto Simona Rossi hanno fatto un ottimo lavoro. Non abbiamo guardato in faccia nessuno. L'ex maresciallo, con il suo comportamento, pensava di essere una sorta di arbitro al di fuori della legge favorendo di fatto la cosca dei Patania".

In indagini su cosca fu indagato parroco

Anche l'ex parroco di Stefanaconi, don Salvatore Santaguida, fu coinvolto in uno dei filoni delle indagini della Dda di Catanzaro sulla cosca della 'ndrangheta dei Patania. Nel dicembre del 2012 il sacerdote, che è stato trasferito dal suo incarico, fu sottoposto ad una perquisizione disposta dall'allora procuratore aggiunto della Dda di Catanzaro, Giuseppe Borrelli, e dal sostituto Simona Rossi. Il parroco, secondo l'accusa, avrebbe fornito informazioni ad esponenti della cosca Patania. A Stefanaconi, la mattina del giorno di Pasqua, si svolge la processione de 'l'Affruntata', la sacra rappresentazione della rivelazione del Cristo alla Madonna dopo la resurrezione. Nella processione c'è la statua di San Giovanni che, nell' immaginario collettivo e nella ricostruzione degli inquirenti, simboleggia la "detenzione del potere mafioso". Il boss Fortunato Patania, ritenuto a capo dell'omonima cosca, ucciso nel settembre del 2011 nella faida tra cosche della 'ndrangheta vibonesi, avrebbe sempre finanziato la processione decidendo chi erano coloro che doveva portare a spalle la statua di San Giovanni che appunto rappresentava il potere dell'organizzazione criminale. La Dda di Catanzaro ha raccolto i filmati delle processioni del 2009 e del 2010 dalle quali si evince che le nuove leve ed i vertici della cosca avevano il "potere assoluto - sostengono i magistrati - sul trasporto della statua di San Giovanni".

Comune fece manifesto condoglianze a boss

Il Comune di Stefanaconi decise di esprimere con un manifesto il suo cordoglio e le condoglianze alla famiglia Patania per la morte di Fortunato Patania, ritenuto il boss dell'omonima cosca della 'ndrangheta ucciso nel settembre del 2011. E' quanto emerge dal provvedimento di fermo emesso dalla Dda di Catanzaro ed eseguito dai carabinieri del Comando provinciale di Vibo Valentia nei confronti di 11 persone. Nelle oltre settecento pagine del provvedimento la Dda di Catanzaro ha riportato anche la foto del manifesto di condoglianze fatto affiggere dal Comune di Stefanaconi. Nel manifesto è scritto: "Il Comune di Stefanaconi partecipa al dolore che ha colpito la famiglia Patania per la perdita del caro Fortunato". La Dda ha deciso di includere il documento nel provvedimento di fermo per dimostrare l'influenza ed il potere esercitato dalla cosca Patania anche rispetto al mondo istituzionale.

Quattro pentiti hanno contribuito a indagini

Sono quattro i collaboratori di giustizia che hanno contribuito alle indagini della Dda di Catanzaro e dei carabinieri di Vibo Valentia che stamane hanno fermato undici esponenti della cosca della 'ndrangheta dei Patania. Le indagini dei carabinieri, dirette dal sostituto procuratore della Dda di Catanzaro, Simona Rossi, hanno consentito di ricostruire la struttura dell'organizzazione criminale e di individuare una serie di altri reati come usura, estorsioni e detenzione di armi. Le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, secondo quanto è stato riferito dagli inquirenti durante la conferenza stampa, sono state tutte riscontrate. "Si è fatto luce - ha affermato il comandante provinciale dei carabinieri di Vibo Valentia, col. Daniele Scardecchia - su uno scenario di guerra che tra il 2011 ed il 2012 aveva portato ad una vera e propria faida tra le cosche del vibonese. C'è stato poi un provvedimento su scala gerarchica che ha portato prima a sospendere l'ex maresciallo Sebastiano Cannizzaro e poi la successiva radiazione". Le mancate indagini sui Patania, avvenute nel corso degli anni con la complicità di esponenti delle istituzioni infedeli, hanno portato anche ad agevolare la cosca dei Mancuso di Limbadi. Secondo gli inquirenti, infatti, le cosche dei Patania e dei Mancuso sono alleate e le mancate indagini hanno consentito che "potessero continuare indisturbate nelle loro attività illecite".

Moglie boss, grazie Madonna per morte rivale

Al vertice della cosca della 'ndrangheta c'era Fortunato Patania, il capo famiglia, l'uomo che solo con la sua presenza incuteva timore e paura. Fedelissimo della cosca dei Mancuso, Patania era il "padrone" non solo di Stefanaconi, ma anche a Sant'Angelo di Gerocarne, suo paese di origine. E' quanto scrivono i magistrati della Dda di Catanzaro nel provvedimento di fermo nei confronti di 11 persone eseguito stamane dai carabinieri di Vibo Valentia. Fortunato Patania fu ucciso nel settembre del 2011 mentre giocava a carte. Il delitto avrebbe scatenato la reazione rabbiosa della moglie, Giuseppina Iacopetta, la quale, secondo quanto racconta la collaboratrice di giustizia Loredana Patania, aveva dato "ordine ai suoi figli di fare in modo che il sangue dei rivali scorresse fin davanti la porta della sua abitazione". Giuseppina Iacopetta, la sera dell'omicidio di Francesco Scrugli, ritenuto l'autore dell'omicidio di Fortunato Patania, dopo aver appreso la notizia si inginocchiò e ringraziò la Madonna. "Ero a casa di mia zia con Daniele - racconta la pentita - ed eravamo io Daniele e mia zia, perché quasi sempre la sera eravamo noi tre. Eravamo vicino al caminetto ed è arrivato mio cugino Pino il quale disse 'Mamma è fatta, è stata fatta'. Sua mamma a quel punto si è inginocchiata e gli ha detto: 'Quindi chi ha ucciso papà è morto?' Giuseppe gli fa: 'Eh...', gli fa mio cugino Pino, '...lo hanno ucciso, gli altri due forse sono feriti però quello che ha ucciso papà è morto'. Lei si è inginocchiata e ha ringraziato la Madonna dicendo proprio: 'Finalmente si è verificato quello che io volevo'. E me lo ricordo di preciso anche perché si è inginocchiata davanti a me". Dopo la morte di Fortunato Patania era stata proprio Giuseppina Iacopetta, secondo l'accusa, a prendere le redini del clan insieme ai figli. A loro spettava il potere di decidere il compimento delle azioni delittuose della cosca, gli obiettivi da eliminare con gli omicidi di compiere, di dirimere controversie tra gli affiliati, di gestire il controllo del territorio. "Loro - conclude la pentita - avevano potere di vita o di morte sui rivali”.

Cosca aveva un 'grande fratello criminale'

Tutto quello che avveniva a Stefanaconi, la cosca della 'ndrangheta dei Patania lo doveva sapere, quasi come se esistesse una sorta di ''grande fratello criminale'' dove le telecamere erano gli occhi degli affiliati che si appoggiavano all'ex maresciallo Sebastiano Cannizzaro e all'ex parroco Salvatore Santaguida. E' questa la ricostruzione fatta dalla pentita Loredana Patania negli interrogatori al sostituto procuratore della Dda di Catanzaro, Simona Rossi. Giuseppina Iacopetta, moglie di Fortunato Patania, era "stabilmente deputata - racconta la pentita - ad acquisire presso il parroco della Chiesa di Stefanaconi che, a sua volta, le apprendeva dal comandante della Stazione dei Carabinieri, informazioni funzionali a garantire l'operatività del sodalizio nel territorio di riferimento, con particolare riguardo a notizie circa gli intestatari dei veicoli che venivano visti transitare nel territorio del comune di Stefanaconi". Se passava "qualche macchina non di Stefanaconi, Giuseppe o Saverio Patania (suoi cugini, ndr) - prosegue la pentita - prendevano il numero della targa, la portavano al sacerdote in chiesa, a Don Salvatore, che lo dava subito al maresciallo Cannizzaro il quale forniva gli intestatari". Una cosa, questa, che sarebbe avvenuta "cinque-sei volte: abbiamo scritto la targa nel fogliettino e mia zia Giuseppina Iacopetta andava in chiesa. Io ero presente, per questo sto dicendo, per questo sono sicura perché io ero presente".

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