Lamezia: sequestrati beni per oltre 1 milione e mezzo al clan Giampà, individuati anche due “prestanome” - VIDEO

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Lamezia Terme - Beni per 1,5 milioni di euro sono stati sequestrati dai finanzieri del Gruppo di Lamezia Terme, diretto dal ten. col. Fabio Bianco, nei confronti di Francesco Giampà "il professore", ritenuto il boss dell'omonima cosca ed al cognato Vincenzo Bonaddio. Le misure patrimoniali sono state attuate non solo nei confronti dei vertici del clan “Giampa’”, ma anche verso due “prestanome” Francesco Maria Stranges e Tonino Stranges. Vincenzo Bonaddio è indagato per estorsione per avere imposto la sua ditta per la costruzione di una casa. Il provvedimento della magistratura è stato emesso dal tribunale di Catanzaro su richiesta del procuratore distrettuale antimafia di Catanzaro, Antonio Lombardo.

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Il sequestro ha riguardato Vincenzo Bonaddio, che, oltre al lussuoso immobile dove viveva con il suo nucleo familiare in via Piro, avrebbe realizzato altri due fabbricati: una villa in montagna nel comune di Conflenti ed un appartamento nel comune di Feroleto che formalmente aveva intestato a due parenti, nei confronti dei quali questa mattina sono state eseguite perquisizioni ed ai medesimi è stato recapitato l’avviso di garanzia emesso dalla D.d.a. di Catanzaro, poiche’ indagati per intestazione fittizia di beni.   

I beni sequestrati

  • l’intero edificio di quattro piani, constituito da quattro lussuosi appartamenti, adibiti a civili e lussuose abitazioni del Francesco Giampà e dei suoi figli a Lamezia Terme
  • l’intero edificio di tre piani, adibito a civile e lussuosa abitazione di Vincenzo Bonaddio a Lamezia Terme;
  • una grande villa, in via di costruzione, ubicata nel comune di Conflenti, nella disponibilità di Vincenzo Bonaddio.
  • un lussuoso appartamento ubicato nel comune di Feroleto, nella disponibilità di Vincenzo Bonaddio;
  • un terreno edificabile ubicato nel comune di Feroleto Antico di Vincenzo Bonaddio;
  • due autovetture di piccola cilindrata;
  • disponibilità finanziarie per un ammontare complessivo di 50 mila euro.

 

Dimostrare la riconduzione degli immobili confiscati alla disponibilità dei prevenuti è stato alquanto complesso, in particolar modo per Vincenzo Bonaddio, poiche’ è stato ben attento a non lasciare tracce che potessero consentire di ricondurre alcuni degli immobili alla sua persona, lasciando l’intestazione giuridica degli immobili ai suoi prestanome. Nell’ambito delle proposte di applicazione di misure di prevenzione, la guardia di finanza ha proposto al Procuratore della Repubblica, l’applicazione della sorveglianza speciale per 5 anni, con obbligo di soggiorno nel comune di residenza per la moglie e le figlie di Francesco Giampà “il professore”: Pasqualina Bonaddio, Rosa Giampà, Vanessa Giampà, misura sulla quale il tribunale di Catanzaro dovrà determinarsi al termine del procedimento avviato. Contestualmente ai sequestri dei beni, la guardia di finanza, in esecuzione di provvedimenti emessi dalla D.d.a. di Catanzaro ha effettuato anche una perquisizioni presso l’abitazione di Vincenzo Bonaddio, il quale, oltre alle misure cautelari reali, si è visto recapitare in carcere un altro avviso di garanzia.

Il sost. proc. Elio Romano, della direzione distrettuale antimafia, infatti, sulla base delle indagini delle fiamme gialle, contesta a Bonaddio un’estorsione a danno di un imprenditore locale. I finanzieri di Lamezia Terme, infatti, nel corso delle indagini hanno riscontrato che Vincenzo Bonaddio nel 2007 aveva avviato un’impresa di costruzioni attraverso la quale, secondo gli inquirenti, intendeva riciclarsi nello settore imprenditoriale, allo scopo di costruire intorno alla sua figura di ‘ndranghetista una struttura economico-finanziaria tale, da poter eventualmente giustificare i suoi averi e/o il suo tenore di vita. Secondo la ricostruzione della vicenda, Bonaddio avrebbe imposto ad un imprenditore locale di affidare dei lavori di edificazione di un fabbricato alla sua impresa a costi superiori rispetto a quelli che la vittima avrebbe potuto sostenere commissionando le opere ad altra ditta. Secondo la Dda è ravvisabile il reato di estorsione commesso con modalità mafiose in quanto la vittima non avrebbe opposto rifiuto alla richiesta, conscia dell’appartenenza di Vincenzo Bonaddio alla cosca di ‘ndrangheta dei Giampà, quindi temendo che un suo eventuale rifiuto alle richieste dell’indagato avrebbe potuto far scaturire ritorsioni nei suoi riguardi, avendo in passato già subito danneggiamenti a scopo di estorsione da parte dell’organizzazione criminale, che sono state già oggetto del processo “Medusa”.  

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