Processo Andromeda, la storia criminale di Lamezia nel racconto di Giampà: "Ci dissero che se non usciva bara di Perri non ci sarebbe stata la pace"

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Lamezia Terme - Giuseppe Giampà, collegato in videoconferenza, è il primo collaboratore di giustizia a testimoniare nell’ambito del processo Andromeda, nell’aula Garofalo del tribunale lametino davanti al Presidente Carè e, a latere, i giudici Prignani e Loscanna. Rispondendo alle domande del Pm Elio Romano, il collaboratore ha ripercorso i suoi trascorsi nella cosca Giampà che riferisce essere stata composta “da 40-50 soggetti” di cui ne è diventato poi capo. Parla anche della scissione con la cosca Torcasio. Da qui inizia un nuovo periodo con la cosca in nuova formazione. Giuseppe Giampà parla anche del padre, Francesco detto “u professori” che, “era detenuto dal ’93, era un simbolo, non potendo essere operativo: una figura storica”.

Giampà parla anche del “gruppo di fuoco”, “dal 2002 l’ho sempre gestito io”. Per quanto riguarda la droga, il traffico di armi, le estorsioni, “io me ne sono occupato nell’ultimo periodo”. Soffermandosi sul punto, evidenzia il fatto che “dal carcere si lamentavano che non arrivavano soldi ai detenuti siccome la bacinella delle estorsioni serviva per il mantenimento dei detenuti e per pagare gli avvocati”. “Quindi ho chiesto ad Angelo Torcasio di intervenire per rimpolpare la bacinella delle estorsioni sottraendole a mio zio”.

Giuseppe Giampà racconta poi dei rapporti con quello che chiama “gruppo dei sambiasini”: con loro “c’era un accordo legato alle estorsioni e avevamo l’obiettivo di eliminare i Cerra-Torcasio-Gualtieri”. Con il nome “gruppo dei sambiasini” precisa poi su domanda del Pm, si intendeno i Iannazzo-Cannizzaro-Daponte che controllavano Sambiase e la zona costiera. In quel periodo, si riferisce al 2010-2011, Giampà racconta di alcune riunioni: “Avevano rapporti con Vincenzo Iannazzo e Antonio Provenzano”, “gli incontri avvenivano in una discoteca”. In quelle riunioni, riferisce “si parlava di fatti estorsivi, di uccisioni ma ognuna era indipendente come cosca”.

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Il Pm gli chiede se conosce Vincenzino Strangis: “era sotto estorsione da parte nostra e da parte dei Iannazzo”. Parlando di alcuni imprenditori sottoposti ad estorsione “da parte nostra e da parte dei Iannazzo” Giampà arriva a citare “l’attentato a Marcello Perri: dovevamo gambizzarlo”. Il Pubblico Ministero Romano chiede al collaboratore se conosce Franco Perri, “personalmente - dice - non lo conosco”. Di lui, riferisce, “il fatto che mi è rimasto più impresso è che gli è stato ucciso il padre nei primi anni del 2000”. E, aggiunge “nel 2007 tutte le famiglie locali si stavano interessando per la pace. La famiglia Iannazzo mise una clausola: se non usciva la bara di Perri non si arrivava ad un verdetto di pace”. Il collaboratore parla così di questi Summit dove partecipavano le varie famiglie “io non ero presente ma mi riferivano i vertici della cosca”. Da qui, Giampà dichiara come avrebbe dedotto che “faceva parte proprio della famiglia Iannazzo”. Poi parla anche di alcune rapine di auto “mandavano le imbasciate - dice - per vedere di fermare questi furti di auto”. 

Giampà: “Ok a gambizzazione così Perri doveva legarsi anche con noi essendoci in mezzo il sangue”

Il Pm chiede di approfondire la vicenda di Marcello Perri “sempre tra il 2010 e il 2011 Angelo Torcasio mi disse che Franco Perri voleva che gambizzavamo il fratello per dargli una lezione”. “Io gli dissi che da li a breve sarebbe stato fatto”. Giuseppe Giampà, precisa ancora nel corso dell’esame, che poi ci furano delle azioni omicida “abbiamo ucciso i Carrà”, “non si diede quindi seguito alla gambizzazione”. “Torcasio Angelo lo aveva detto a Cosentino e lui mi chiese uno scooter ma a me serviva per uccidere i Carrà così ho messo da parte queste cose più leggere”. Per la gambizzazione, inoltre, dichiara che “Angelo Torcasio diede una pistola a Cosentino”. “Io - aggiunge - avevo l’omicidio dei Carrà in testa”. Perché deste il vostro assenso per la gambizzazione?, gli chiede infine il Pm “così ci legavamo anche noi a Perri, doveva legarsi anche con noi quando c’è in mezzo il sangue… ci doveva favorire fare le stesse cose che faceva ai Iannazzo, come lavori, a livello di appalti...”.

Racconta poi di un episodio di una bottiglia incendiaria sempre nel 2010-11 “la richiesta proveniva dai Iannazzo, mi sembra che aveva parlato con Angelo Torcasio. L’atto - precisa - serviva per non destare sospetti agli inquirenti: che Perri era sempre sotto intimidazione anche se invece non era vero”.

Imputati nel processo che si sta celebrando a Lamezia con il rito ordinario sono: Franco Perri, Domenico Cannizzaro, Vincenzo Bonaddio, Rocco Tavella, Mariantonia Santoro, Vasyl Koval, Raffaele Caparello e Nadia Jannate. Il processo è scaturito dall’omonima operazione “Andromeda” scattata il 14 maggio 2015 contro i Iannazzo-Cannizzaro-Daponte. Si sono costitute parti civili in questo processo: il Comune di Lamezia Terme (avvocato Caterina Restuccia), l'ALA (avvocato Carlo Carere), Marcello Perri (avvocato Rossella Bonaddio) e Vincenzino Strangis. Il processo è stato poi rinviato per la continuazione dell’esame e del contro esame del collaboratore di giustizia, Giuseppe Giampà, a gennaio 2019.

R.V.

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