Carmine Abate, quando vince un calabrese

Scritto da  Pubblicato in Filippo Veltri

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filippo_veltriDi Filippo Veltri

Carmine Abate con il romanzo "La collina del vento" (Mondadori) è stato, come e’ noto,il vincitore della 50/ma edizione del Premio Campiello, il piu’ prestigioso dei riconoscimenti del nostro paese, consegnato ormai una settimana fa al Teatro La Fenice di Venezia. Lo scrittore ha avuto 98 voti sui 273 voti arrivati della giuria dei lettori. Al secondo posto Francesca Melandri con "Più alto del mare" (Rizzoli), che ha avuto 58 voti e al terzo Marcello Fois con "Nel tempo di mezzo" (Einaudi), 49 voti. Al quarto Marco Missiroli con "Il senso dell'elefante" (Guanda), e all'ultimo Giovanni Montanaro con "Tutti i colori del mondo" (Feltrinelli), con 32 voti.

Carmine e’ un calabrese di Carfizzi, nel crotonese, e’ andato via come uno dei tanti emigranti tanti e tanti fa, ha vissuto in Germania ed ora vive e insegna nelle scuole del Trentino, con la moglie e i suoi due figli. In Calabria viene spesso, ci passa lunghi periodi, finche’ viveva il padre (figura di riferimento di quest’ultimo libro) in estate lo aiutava nei raccolti di campagna. Insieme a Cataldo Perri di Cariati gira in lungo e in largo la nostra regione copn apprezzati reading sui suoi libri e nei suoi libri, in tutti i suoi libri, c’e’ la Calabria.

E’, pertanto, assai bello e significativo che un calabrese abbia cinto un premio con un libro che parla della Calabria. Questo e’ uno dei passaggi del volume: «Egregio Prof. Orsi, mi chiamo Michelangelo Arcuri e Vi scrivo questa lettera a nome della mia famiglia. Noi viviamo a Spillace, vicino a Cirò, e siamo padroni del Rossarco, dove Voi avete fatto degli scavi due primavere fa. Vi ricordate? Io sono il ragazzo che chiamavate “il piccolo custode della collina”. Vi scrivo per sapere quando avete intenzione di continuare gli scavi, come ci avete promesso. E soprattutto Vi scrivo siccome Voi avevate detto alla mamma di farlo con urgenza se c’erano novità che riguardavano l’antica Krimisa. Ora è successo un fatto molto importante: il nonno ha trovato un vasetto di terracotta con dentro trentatré monete antiche, che vorrebbe vendere a Voi, sapendo che siete una persona onesta e competente».

La collina del vento di Abate racconta, con ritmo serrato e linguaggio veloce, le vicende della famiglia Arcuri attraverso le generazioni che si susseguono per tutto l’arco del Novecento. Ne emerge, come in alcune altre recenti saghe familiari di autori nostrani, la Calabria contadina, dai fortissimi vincoli familiari e appassionatamente legata al proprio pezzo di terra: «La verità è che i luoghi esigono fedeltà assoluta come degli amanti gelosi: se li abbandoni, prima o poi si fanno vivi per ricattarti con la storia segreta che ti lega a loro; se li tradisci, la liberano nel vento, sicuri che ti raggiungerà ovunque, anche in capo al mondo».  Con due note, però, di particolare originalità. L’una – ha notato la critica Maria Franco, su Zoomsud - è lo spazio dato a Paolo Orsi e a Umberto Zanotti-Bianco, al loro appassionato lavoro di recupero del grande passato magno-greco della Calabria, le campagne di scavo, il rapporto di rispetto e d’amore con una terra adottata come propria, la consapevolezza, ben esplicitata dal secondo, che «qui c’è bisogno di pane e lavoro, d’istruzione e di cultura. Occorre partire da azioni concrete per creare le basi di un mondo nuovo. (…) Tutti i mondi nuovi sono costruiti con questi frantumi di stelle, di sogni».

L’altra è che il libro può essere letto quasi come un noir. C’è un delitto, di cui si parla nelle prime pagine e il cui autore si scopre solo alla fine del romanzo. In mezzo c’è la storia della famiglia ricostruita dall’ultimo erede, per adempiere ad una richiesta del padre: «Ascoltami, figlio, so che per te non sarà facile mettere il dito nelle nostre piaghe o riassaporare la felicità di allora senza rimpianti, ma devi conoscere la verità prima che io muoia e questa storia nostra muoia con me. E un giorno sarai tu a raccontarla ai figli tuoi. Me lo prometti? ». Quasi segno d’una Calabria – conclude la Franco – ‘’che avverte sempre più la necessità di raccontarsi senza fronzoli, affrontando tutto il vento che l’ha attraversata, con i suoi profumi di paradiso e tutte le sue nuvole nere’’.

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