Ciavole per la parete est: il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce

Scritto da  Pubblicato in Francesco Bevilacqua

© RIPRODUZIONE RISERVATA

bevilacqua_foto_blog_nuova.jpg

 “[…] quante coppe beve l’ape, la viziosa di rugiade!”: come l’ape di Emily Dickinson, anch’io, oggi, sono vizioso: ebbro del profumo di ginestre in fiore! L’aria ne è satura. Valicato Colle Marcione, apparsa la grande valle superiore del Raganello, un sentore m’invade. Più tenue ma non meno sensuale di quello dei gelsomini. Emana dai fiori turgidi, effimeri delle ginestre. Colate d’oro, gratuite e umili, sulle pendici dei monti, sino all’utero oscuro del fiume. Ogni fiore è una piccola vulva madida d’umore, da cui vespe suggono nettare odoroso. Umore che ubriaca. Mi domando come potessero resistergli contadini e pastori sperduti quassù dopo il freddo inverno. Arranchiamo fra i campi di grano e i pascoli, verso Rovitti. Dopo aver risalito in auto la strada malmessa che porta alle poche masserie sparse in queste solitudini di terra, rocce, boschi e acqua. E di sole, luce, vento ed aria. Anche le rose canine sono fiorite, con le loro piccole stelle bianco-rosa che costellano planetari di cespugli spalancati sul cosmo.

Guardo la grande, impervia parete est di Serra delle Ciavole, nella luce del primo mattino. Scruto le via di risalita: canaloni, pareti verticali, rupi, prati obliqui, comunità di pini loricati, pietraie. Immagino un possibile percorso. Ululoni dal ventre giallo diguazzano nelle pozze di fango. Ne prendiamo uno per pochi secondi, solo per mostrare il colore sgargiante del suo ventre. Gli anfibi hanno sulla pelle ghiandole mucose che consentono la traspirazione cutanea. E’ opportuno evitare di manipolarli. Acque sgorgano copiose come linfa vitale. A Rovitti perdiamo tempo a cercare il vecchio sentiero che va verso Piano di Fossa. Il bosco di faggi è ricresciuto rigoglioso e labirintico. Scorgo un mio vecchio segnale. A lungo saliamo obliquamente fra alberi e massi. La foresta è silente. Procedo a istinto, lasciando affiorare i ricordi. E finalmente ecco la pietraia sotto l’imponente parete. E’ uno stillicidio di crolli. Il terreno si fa infido e ripido, la salita sdrucciolevole e instabile. Un grande pino loricato è immerso nell’ombra.

Su per il tratto più esposto e pericoloso. Il tempo di godere delle evoluzioni in cielo di due capovaccai, che a lungo volteggiano sulle nostre teste. Ancora pini loricati e costoni. Poi su, lungo il canalone precipite sino alle rocce di cresta. Che segnano il confine fra due mondi: gli infidi abissi da cui proveniamo e la maestosa serenità dei Piani di Pollino dove scenderemo. Il pericolo, la fatica, la ricerca sono finiti. Forse siamo stati imprudenti. Ma il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce, dice Pascal. E qui, sono nel mio elemento, come sussurrai, in questo stesso luogo, undici anni fa, alla nascita di mia figlia, che per questa stessa via, da solo, venni a celebrare, come mistero di vita che si rinnova. Quel giorno il mio cuore mi disse che non era con coccarde, fiori e pasticcini che dovevo far festa a quella minuscola creatura uscita dal ventre materno. Ma con una erranza. L’uomo, dicono i filosofi, è l’unica creatura esposta al non-senso della vita. Perché solo lui, fra tutte le creature, sa di dover morire. Ma io non ho paura di morire. E in questi luoghi, camminando nella bellezza, contemplando la perfetta fusione di materia e spirito che da essi promana, assumo l’antidoto contro il dubbio che nulla abbia senso.

© RIPRODUZIONE RISERVATA