La mezzanotte è a mezzogiorno. Dove sbocciano le rose a dicembre

Scritto da  Pubblicato in Francesco Bevilacqua

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Giovedì 31 dicembre. Alle 4 ho gli occhi sbarrati, come sempre. Mi alzo. Attizzo il fuoco nel camino, che langue dalla sera precedente. Guizza la fiamma, calda, rassicurante. Preparo la colazione. Leggo il libro di Paolo Franzese e Milena Magnano sull’archivio ritrovato del santuario-orfanotrofio di Santa Maria dell’Armi. Antico luogo di culto rupestre, abbarbicato al Monte Sellaro di Cerchiara: bellezza, povertà, spiritualità, memoria. Preparo il mio discorso per la presentazione che faremo il 5 di gennaio. Alle 8 sento il richiamo della via. L’ultimo dell’anno vuol essere santificato. Mi metto in cammino. Da Ievoli verso la montagna. Attraverso orti, case dirute, stalle, che occhieggiano sulla Piana di Sant’Eufemia e sul Tirreno. Le cascate della Fiumarella di Ievoli sono in magra. L’aria e diaccia. Il vento lancia folate gelide.

Il sole brilla nel cielo d’un azzurro smagliante. Salgo fra le eriche. Sotto la volta del castagneto da frutto che ha sfamato generazioni di uomini e di animali. La montagna è terrazzata, con mirabili muretti a secco. Sbuco tra i cerri e gli ontani. Case Carbonara, Case Mancini, Case Fagheto, Case Tinchi. Datemi un nome e creerò una storia, diceva Tolkien. Qui, la storia è scritta in una civiltà non ancora perduta. Belati, muggiti, abbai, scampanellii. Una donna torna a casa, avvolta in uno scialle, con un pane caldo. Ecco Polidonte e Case Serre, oltre le quali si valica per Serrastretta, il capoluogo. L’antica via di transito del popolo dei boschi. Giro a sinistra, per rientrare lungo un altro sentiero. Ancora rovine, ancora cerri, ancora ontani, ancora castagni. Un’edicola campestre mostra i suoi santi. Hanno preso il posto delle antiche divinità dei viandanti. Sui pianori del grano la vista è immensa. Abbraccia i due mari, lo Ionio e il Tirreno. La fontana-lavatoio restaurata. Scendo a Ievoli, sul sagrato della chiesa. Accanto, la scuola costruita durante il fascismo. Due donne si riparano dal freddo. Una è tornata dall’Australia, per le feste. Parla del villaggio avito con gli occhi umidi di commozione. Ora è vuoto, dice. Ci abitano solo i superstiti. L’amministrazione comunale ha ricostruito il sagrato della chiesa, che era franato, ha realizzato un campo di calcetto. Fumo di legna che arde. Odore di terra. Un maiale grugnisce dal suo riparo. Ai margini della strada un roseto fiorito. Un’altra donna esce dall’orto, con un paniere di uova tiepide. Sorride. Chiede. Augura. La mia fine dell’anno è qui: alla fine del mondo.

Non udrò stasera, i botti, le urla, la musica, il cianciare della TV. La mia fine dell’anno è qui: alla fine del mondo. Non ascolterò parlar male dell’anno che muore e confidare in quello che viene. La mia fine dell’anno è qui: alla fine del mondo. Non attenderò la mezzanotte. La mia fine dell’anno è ora: nel mezzogiorno luminoso, dove sbocciano le rose a dicembre.       

 

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