Calabria Angioina: società ed economia

Scritto da  Pubblicato in Francesco Vescio

© RIPRODUZIONE RISERVATA

francesco_vescio.jpg

 La sconfitta di Manfredi, figlio di Federico II di Svevia, da parte di Carlo d’Angiò nella battaglia di Benevento (1266) segnò la fine della dominazione normanno-sveva nell’Italia meridionale; la Calabria fece parte del nuovo Regno e l’avvento al potere della dinastia angioina ne influenzarono sia la struttura sociale sia quella economica. In questa sede, dopo aver delineato, negli aspetti generali, le peculiarità più rilevanti della monarchia angioina e dell’affermazione nell’Italia meridionale delle forme sociali del feudalesimo, si passerà a tratteggiare i tratti caratteristici dell’assetto sociale ed economico della regione in quel periodo storico. In Calabria inizialmente vi fu una forte resistenza contro il nuovo regnante e soltanto dopo che, il 29 agosto 1268, fu giustiziato Corradino, l’ultimo sovrano svevo, che si era opposto a Carlo d’Angiò, la resistenza sveva cessò; seguì la confisca dei feudi di coloro che si erano opposti al nuovo sovrano, che vi insediò feudatari francesi del suo seguito (Salvatore Fodale, La Calabria Angioino-Aragonese, in ‘Storia della Calabria Medievale-I Quadri Generali’, Gangemi Editore, Roma- Reggio Cal., 2001, pp.185-187). La politica dei sovrani angioini favorì i feudatari (laici o ecclesiastici) nei modi enei termini delineati nel brano successivo: “Con l’avvento degli Angioini l’assetto sociale ed economico accentuò la spinta al conservatorismo non più per opera della monarchia ma dei grandi feudatari. Sta di fatto che le generose elargizioni di feudi e privilegi, che si verificarono sotto la monarchia angioina, tolsero il vigoroso freno allo sviluppo della potenza feudale laica ed ecclesiastica ed accentuarono la conservazione di interessi e privilegi attraverso la violenza, i contratti agrari e la gerarchia feudale. Ogni feudatario vigilava affinché la società del suo piccolo regno non progredisse tanto da minacciare la stabilità della propria potenza. Cessato il freno delle provvide leggi della monarchia normanno-sveva, i feudatari manifestarono tosto indisciplina, turbolenza e una spiccata tendenza anarchica che rispecchiava la mancanza di una coscienza del supremo bene del Regno “ (Giuseppe Brasacchio, Storia Economica della Calabria – Dal III Secolo dopo Cristo Alla Dominazione Angioina- 1442, vol.2, Edizioni EffeEmme, Chiaravalle Centrale, 1977, p.276 ).

 Al fine di delineare in modo più esplicito la situazione calabrese in merito al sistema feudale dell’epoca angioina pare opportuno riportare il passo seguente: “Avvenne così che molti feudatari di alto lignaggio acquistarono grandissima potenza, con proprietà sterminate, veri e propri staterelli nello Stato, con poteri illimitati non solo verso le cose ma anche le persone che vivevano nei feudi. Risorsero i poderosi castelli e le fortezze dei baroni che già Federico II aveva fatto abbattere e i rampolli di grandi casate i Ruffo, i Sanseverino, i Caracciolo ed altri – furono i veri protagonisti della storia calabrese nel Trecento e nel Quattrocento. Grande potenza acquistò altresì la Chiesa, la quale per i patti della investitura poté ingrandire i propri beni sia per atti di donazione che di acquisto. A incrementare il patrimonio ecclesiastico concorsero molti fattori: primo fra tutti la possibilità del libero acquisto ed il divieto di alienazione; l’esenzione fiscale che induceva molti piccoli proprietari, per sfuggire al gravame fiscale, a donare i propri beni alla Chiesa per riaverli poi a titolo di censo, livello o con altre forme contrattuali di cui si dirà più avanti. Nei registri angioini troviamo numerosi documenti che illustrano il favore della monarchia verso la Chiesa: molti rescritti reali furono emanati per restituire ai monasteri, alle abbazie e ai vescovati della Calabria beni che al tempo della prima ribellione antiangioina e durante la guerra del Vespro erano stati usurpati […] Il graduale disfrenarsi  della feudalità ,lo scaduto prestigio della monarchia, la debolezza stessa dei feudatari ecclesiastici rispetto a quelli laici e la turbolenza dei tempi fecero sì che i bersagli preferiti dell’invadenza dei baroni fossero proprio le terre della Chiesa e quelle demaniali di cui si dirà tra poco” (Giuseppe Brasacchio, op.cit., pp.295 – 296 ).

Ma oltre ai conflitti tra feudatari, o tra feudatari e contadini la dominazione angioina fu caratterizzata da un sistema amministrativo molto carente, in tanti casi arrogante e spesso corrotto, a mo’ d’esempio si riporta il testo successivo: “Non bisogna dimenticare gli abusi e gli eccessi a cui trascendevano i pubblici ufficiali, le estorsioni de’ quali in generale rimanevano ignote al governo centrale. Senza dubbio a Cosenza e né casali di Rovito, S. Lucido e nell’oppido di Fuscaldo s’era dovuto oltrepassare ogni misura, se il governo fu costretto, nel 1277, ad ordinare una inchiesta, della quale, però, s’ignorano le risultanze e i provvedimenti, se pure, come avviene a’ nostri giorni, non fu messa anche allora a tacere. La confisca de’ beni e il diritto che il governo s’attribuì  di poter rivendicare la proprietà confiscata per reati politici anche se in possesso d’altri fra il volger di venti anni, mentre non si ammetteva prescrizione di tempo per rivendicarla dal condannato o dagli eredi, aumentò le vastissime proprietà demaniali. Tanta proprietà demaniale trasse seco la cattiva amministrazione per parte del fisco; ma oltre l’opera dannosa della Corte, le usurpazioni delle terre demaniali da parte de’ baroni, delle Chiese, de’ monasteri, le alienazioni o concessioni d’esse, aggravarono sempre più la condizione generale della popolazione” (Oreste Dito, La Storia Calabrese E la Dimora degli Ebrei in Calabria Dal Secolo V alla Seconda Metà del Secolo XVI- Nuovo Contributo per la Storia della Quistione Meridionale, Edizioni Brenner, Cosenza, 1979 – Ristampa, pp.123 -124 ).

Certamente dure erano le condizioni di vita della gran parte della popolazione della regione, ma orribilmente oppressiva doveva essere la tirannica arroganza feudale, per come si può evincere dal passo successivo: “La prepotenza feudale non ebbe più freno quando il barone alla sua qualità di proprietario del feudo aggiunse la potestà politica, giudiziaria e militare. Egli divenne il vero sovrano, superiore a ogni legge umana e divina, padrone di tutto” (Giuseppe Brasacchio, op.cit., p.149). Eppure in Calabria vi erano, nonostante tutto quello sopra riportato, delle forze così attive da produrre beni da esportare fuori regione ad esempio la seta, o anche all’estero, per come indicato nel brano seguente: “Diretti nel regno di Tunisi, attraverso i porti siciliani erano trasportati vino e frutta secca del Principato, vini calabresi del Golfo di Sant’Eufemia, portati dai catalani, drappi portati dai genovesi, ma buoni affari si facevano principalmente nei momenti di carestia a Tunisi o Bugia, con la vendita del frumento, nella quale tra la fine del XIII secolo e il 1340 fu predominante il ruolo dei fiorentini (tra cui Bardi e i Peruzzi) che con i loro partner si avvantaggiarono più di altri dei profitti in oro […] Era in particolare la costa tirrenica calabrese a fornire i carichi di vino: è significativo, infatti, che già prima del XIII secolo il barile di Amantea costituisse la misura del vino donato annualmente dall’imperatore all’arcivescovo di Palermo. Nella seconda metà del secolo quella stessa misura è indicata come misura di vino da fornire agli scuterii; inoltre una pratica di ambiente pisano (1278), più antica e semplice di quella del Pegoletti attesta che vini genericamente detti <<di Calabria>> o più precisamente di Scalea erano esportati a Tunisi, informazione completata dalla pratica dello stesso Pegoletti, con riferimento alle misure di Tropea e Scalea a Tunisi” (Maria Rosaria Salerno, Circolazione di Persone e di Beni fra il Mezzogiorno d’Italia e il Maghreb in ‘La Calabria nel Mediterraneo – Flussi di Persone, Idee e Risorse, a cura di Giovanna De Sensi Sestito, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2013, pp. 281-282). Da quanto innanzi esposto si può inferire che in quel periodo storico, per tanti versi così negativo per la maggioranza della popolazione, principalmente per quella sottoposta a feudatari tirannici, in Calabria vi erano prodotti richiesti sul mercato dell’area mediterranea e legami commerciali con regioni diverse, che oltrepassavano la durata delle dinastie di volta in volta regnanti.

© RIPRODUZIONE RISERVATA