Lamezia, lettera del comitato Sant'Eufemia: “Siamo stanchi di sentirci ai margini città”

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Lamezia Terme – Il comitato per il bene comune del quartiere Sant'Eufemia Lamezia si esprime, con una lettera aperta, in merito alla condizione della zona lamentando uno stato di abbandono.

“Lamezia è stata riunificata ben 50 anni fa - dicono - ma noi ancora oggi ci sentiamo cittadini di serie B, distanti dal centro e forse anche distanti dagli interessi della città, quella stessa città di cui siamo centro e snodo nevralgico. Siamo il luogo di passaggio, di sosta, dove approda chi arriva in Calabria per le vacanze o per lavoro, ma siamo una pessima vetrina. Siamo un polo con un potenziale di sviluppo importante, ma stiamo sempre più diventando un mero dormitorio. Siamo il golfo più ampio della regione eppure non possiamo usufruire del nostro mare. E abbiamo finito per identificarci con il nostro territorio: siamo diventati noi stessi contraddizione, ci siamo convinti che essere ‘meno’ è normale, siamo quasi assuefatti alle mancanze e siamo diventati indifferenti a ciò che ci riguarda. E di questo non siamo i soli responsabili: le povertà infrastrutturali generano impoverimento anche culturale e la mancanza di attenzione da parte delle istituzioni crea disinteresse alla vita sociale”.

“Abbiamo parlato del problema dei rifiuti - aggiungono - abbiamo discusso del degrado generale, del problema delle buche sulle strade, della scarsa illuminazione, della presenza del fenomeno della prostituzione, della condizione di incuria dei parchi gioco, della presenza del verde pubblico incolto. Abbiamo trattato temi che non possiamo risolvere da soli. Noi possiamo portare l’attenzione sul problema, possiamo avanzare proposte di risoluzione, possiamo dimostrarci collaborativi, ma non possiamo e non vogliamo sostituirci a chi di competenza. Crediamo nelle istituzioni e chiediamo che queste credano in noi. Perché molti di noi purtroppo iniziano a non credere più che qui si possa scrivere il futuro. Siamo stanchi ormai di sentirci ai margini della nostra città: è il momento di riprenderci i nostri luoghi. È nostro dovere di cittadini quello di ridare valore a quei luoghi che lo hanno perso da tempo, per interrompere questa onda che sta portando via il nostro senso civico. Prima di tutti lo Zuccherificio, un tempo motivo di nascita e di sviluppo del quartiere ora ecomostro ed emblema di degrado. Poi è toccato a tutti gli spazi di ritrovo, i parchi e le piazze, lasciate al vandalismo, all'incuria e al silenzio”.

“Per ultimo è toccato alla chiesa di San Francesco - evidenziano - dichiarata inagibile e chiusa al culto. Dei sigilli e un cartello sanciscono che quel bene non è più utilizzabile. È passato più di un mese e nessuno dal comune è venuto a fare un sopralluogo, nessuno ha dato risposte a chi chiede di avere in donazione quel bene per poterlo mettere in sicurezza e ristrutturare, nessuno si interessa, ma a noi interessa! Così il nostro quartiere viene privato non sono di un luogo sacro, ma anche del simbolo della cultura popolare del nostro quartiere perché culla del suo sviluppo e custode della tradizionale devozione del nostro popolo al santo patrono Francesco. Siamo un dormitorio senza servizi, siamo piazze vuote, siamo parchi vandalizzati, siamo chiese chiuse. Ricerchiamo spesso le ragioni di questa situazione, e c’entrano le volontà politiche, c’entrano le ragioni antropologiche, ma c’entriamo anche noi che abitiamo questi luoghi ora. Siamo un popolo senza storia, senza identità, senza senso di appartenenza. Questo perché siamo un quartiere relativamente giovane e abitato da gente che permane qui qualche anno o perché vi è nata ma non ha intenzione di viverci, o perché ci arriva per lavoro e aspetta giusto il tempo del prossimo trasferimento. Ma c’è chi ha messo le radici, chi ha investito su di sè e crede ancora che qui qualcosa sia possibile. Siamo noi queste persone che si preoccupano, nel senso di occuparsi delle cose che ci riguardano e pure il territorio è tra queste, non è un posto da sfruttare, ma un luogo dal quale prendere e al quale restituire, perché lo scambio non si esaurisca mai. E vogliamo fare la nostra parte perché ci sia un futuro nel nostro quartiere, perché vogliamo poter crescere i nostri figli dove siamo cresciuti noi, perché non vogliamo pensare che la nostra giornata sia scandita da momenti e da spazi vuoti; dobbiamo prenderci cura, anzi curare il nostro posto nel mondo”.

“Non possiamo permetterci di perdere la speranza - concludono- è nostro dovere fermare questa onda che sta divorando tutto e sta trasformando ogni luogo in un non-luogo e finirà con il farci diventare non-cittadini”.

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