Antonio Pennacchi e Lamezia

Scritto da  Pubblicato in Giovanni Iuffrida

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Iuffrida_matita-OK_0e788_db425_50701_ad838_a3ec4_50f5e_39a7a_13eda_4fdc6_624ba_cd20f_d090e_68191.jpgTrovare le parole giuste per scrivere di Antonio Pennacchi (1950-2021), premio Strega 2010, morto all’età di 71 anni, non è facile. Sono troppe le (apparenti) contraddizioni di un poliedrico personaggio che rifiutava l’assolutezza come paradigma della sua vulcanica vita. Dal punto di vista politico, ora fascista, ora comunista, ora socialista. Dal punto di vista umano, ora graffiante e caparbio, ora commovente (con le lacrime agli occhi) quando descriveva le esperienze delle migrazioni nel periodo fascista. La voce tradiva sempre l’alternarsi della turbolenza dei suoi sentimenti. Un’animosità composita, che nasceva dalla complessità e profondità del suo vissuto.

Toni alti e moderati, trovavano in un delicato equilibrio diritto di cittadinanza. “Canale Mussolini”, era una sorta di metafora della sua vita, di per sé sempre sorprendente e imprevedibile, che tentava di racchiudere in argini definiti. Ora operaio, ora intellettuale: un tutt’uno inscindibile.

Un incontro nel mondo del lavoro di fabbrica. Antonio Pennacchi nell’Alcatel del suo Agro Pontino, io studente-operaio alla Molkerei, alle porte di Zurigo, nella piena convinzione che il lavoro rende liberi. Un incontro che prosegue poi nella passione per la storia.

Antonio Pennacchi, con il suo alto rilievo nazionale, andrebbe ricordato anche dai lametini perché conosceva la storia di Lamezia più della pletora di intellettuali, di filosofi, di letterati e recitatori di storia locale, che popola la città. Conosceva, per esempio, il libro di Filippo Masci, dal titolo “Lamezia”, edito nel 1940 e ristampato da Rubbettino nel 2002, che molti professori di storia locale hanno mai letto, come pure il volume “Di terra e di mare” (che ha avuto spazio su Rai 1) e che nessun improvvisato “divulgatore” locale di tonnare ha mai citato.

Una lezione di vita la sua che lo ha reso combattivo, tagliente ma nello stesso tempo bonario. Contraddizioni proprie di una vita complessa, risposta al dolore e alla sua sensibilità. Da qui, a volte, la sua urgenza di far fronte al proprio impeto e alla difesa da un mondo esterno, spesso ostile e mai amico, fraterno. Un impeto che evidenziava quella fragilità che lo ha reso ancora più grande e ricco di profonda umanità. Risuona ancora la sua voce narrante nella tempesta emotiva che lo caratterizzava.

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