Incendi e inondazioni: servono nuovi modelli economici per la sostenibilità ambientale

Scritto da  Pubblicato in Pino Gullà

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Al contrario, nubifragi in Lombardia; nel Comasco il paesaggio del lago più bello del mondo è rimasto deturpato da esondazioni, smottamenti e frane; inondati Laglio, Cernobbio, Brienno; richiesto lo stato di emergenza dalla Regione Lombardia per le province di Como, Varese, Lecco, Sondrio, Cremona e Mantova. Grandinate in Piemonte e nel Nord-Est. Nella nostra Penisola grossi scontri di alta e bassa pressione. L’Italia “divisa” in due: perturbazioni violente al Nord; caldo africano al Sud.

Dall’altra parte del mondo, negli Stati Uniti, nei giorni scorsi un incendio, causato da un fulmine, ha distrutto in California una famosa zona turistica sul Lago Tahoe meta di escursionisti. I focolai sono diventati incendi propagandosi rapidamente attraverso il Nevada e divorando chilometri quadrati di boschi. Intere comunità sono state evacuate. La stessa rapidità delle fiamme in Siberia; intere foreste distrutte; rase al suolo 800 mila ettari di conifere e tundra. Nel distretto di Gorny è stato registrato un caldo record, 39 gradi; pochissima pioggia. Diluvio in Germania, alluvioni in Cina, monsoni violenti nell’India occidentale. Foreste distrutte dal fuoco in Turchia e in Grecia; le fiamme minacciano le zone turistiche; evacuazione immediata via mare. Le immagini dei telegiornali sembrano quelle dei film catastrofici; invece sono riprese televisive di una realtà drammatica globale.

Ho letto con interesse l’articolo apparso sul Corriere.it, a firma di Carlotta Lombardo che riporta i risultati dell’Earth System Science Center secondo cui la frequenza degli eventi climatici violenti dipende dalla “corrente a getto” (jet stream). Flussi di aria canalizzati guidano le perturbazioni, generando campi di alta e bassa pressione e, conseguentemente, fenomeni climatici estremi. Dove si crea alta pressione, ondate di calore; nella bassa pressione, inondazioni. Sulla base delle ricerche dell’Earth System Science della Pennsylvania State University “il mondo si è riscaldato in media di circa 1,2°C dai tempi preindustriali”; ma il riscaldamento non avviene in maniera uniforme: “[Nella] regione artica si riscalda tre volte più velocemente rispetto al resto del mondo. Anche se non tutti i fenomeni meteorologici sono da ricondurre “alla corrente a getto”, la causa è dovuta al cambiamento climatico globale e al riscaldamento del Pianeta.

 E’ urgente la decarbonizzazione industriale. Qualche giorno fa è arrivata la notizia a cui, purtroppo, ci siamo ormai abituati: La Terra ha già esaurito le sue risorse naturali disponibili per il 2021. Per tutta risposta il G20 di quest’anno a Napoli, a presidenza italiana per la prima volta, non è andato oltre gli accordi di Parigi del 2015: “Mantenere nella prossima decade la temperatura del Pianeta entro i due gradi rispetto ai livelli preindustriali, invece di stare sotto 1,5°, eliminando il carbone dalla produzione energetica nel 2025”. Su questi due punti importanti non si è raggiunta una mediazione per l’atteggiamento contrario di Cina, India e Russia; fermo restando il comunicato congiunto dei ministri dell’ambiente del G20 sulla biodiversità, sull’uso efficiente delle risorse ed economia circolare, sulla finanza sostenibile. Sa di politichese la dichiarazione di Roberto Cingolani, ministro italiano della Transizione ecologica: “C’è un disallineamento sull’accelerazione”. Tradotto in linguaggio comune: nessun patto sulla eliminazione del carbone e sul riscaldamento. Nella sostanza, Cina e India non vogliono privarsi delle “fonti fossili”; inoltre le economie di altri Stati, come per esempio quelle della Russia e dell’Arabia Saudita, dipendono dagli idrocarburi; di conseguenza, sui punti anzidetti, si è creata politicamente una situazione di stallo, ferma agli accordi di Parigi che prevedono un percorso lento di crescita sostenibile.

 I venti Paesi più industrializzati, le maggiori economie del mondo, il 90% del PIL (prodotto interno lordo), affrontano nel G20 di quest’anno l’emergenza sanitaria, economica e sociale; devono mettere in atto misure efficaci di contrasto alle pandemie; evitare i rischi di una recessione economica; nel contempo operare per una ripresa attraverso un percorso di crescita sostenibile. Un lavoro complesso.  Tappa conclusiva del G20 (tra i più importati forum di politica internazionale) sarà il vertice dei Capi di Stato e di Governo il 30 e il 31 prossimi a Roma.

 Gli argomenti e le problematiche in questione sono state commentati più volte dal sottoscritto facendo riferimento all’ecologia Laudato si’ di Papa Francesco, a La Filosofia della Complessità di Edgar Morinai Beni Comuni di Enrico Mattei, a L’Utopia Sostenibile di Enrico Giovannini. Ritorno a Giovannini (v. articolo del 1° giugno dell’anno scorso); docente di Statistica economica all’Università di Roma Tor Vergata e Public Management alla Luiss, ha fondato l’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile, è stato ministro del Lavoro nel governo Letta ed oggi, con Draghi presidente del Consiglio, è ministro delle Infrastrutture e della mobilità. Rispetto alle precedenti citazioni, ho scelto le prime pagine de L’Utopia Sostenibile: “Numerose analisi ci segnalano che alcuni fenomeni  fortemente destabilizzanti (si pensi al cambiamento climatico, alle migrazioni o all’aumento delle disuguaglianze) stanno verificandosi  con una velocità e un’intensità superiore a quella prevista solo alcuni anni fa proprio perché, quando l’instabilità cresce, le interazioni esistenti tra le sue diverse componenti provocano un’accelerazione dei singoli processi. Da tempo gli esperti hanno cercato di misurare i “Limiti del Pianeta” (planetary boundaries); hanno notato come la frequenza con cui si verificano eventi estremi (si pensi ai fenomeni atmosferici) sia un segnale che ci si sta avvicinando alle soglie oltre le quali l’intero sistema diviene instabile” (pp.3-4).

Gli incontri di questi giorni e i mancati accordi sul clima e la decarbonizzazione dimostrano il ritardo della politica e delle istituzioni internazionali: “Senza interventi correttivi la temperatura media del Pianeta potrebbe aumentare entro questo secolo anche di sei gradi, con conseguenze disastrose a causa della desertificazione di vaste aree attualmente abitate dell’innalzamento del livello dei mari, dell’aumento dei fenomeni meteorologici estremi” (pp.19-20). Nell’introduzione l’autore sottolinea l’importanza del lavoro fatto: “Il libro, che si basa anche sulle diverse attività che ho svolto negli ultimi 15 anni su questi temi in Italia e presso varie istituzioni internazionali, dedica molto spazio a cosa si potrebbe fare per portare il nostro Paese su un sentiero di maggiore sostenibilità economica, sociale e ambientale” (p.XI). La prima edizione del libro è del 2018; l’autore prende come esempio alcuni fenomeni climatici avvenuti nel 2017 in Portogallo, Spagna e Irlanda, Paesi industrializzati in precedenza non a rischio di inondazioni, incendi, uragani. Lo stesso tipo di evento inaspettato è successo poco tempo fa in Germania e in altre regioni del mondo. Giovannini, monitorando i fenomeni, si è reso conto che è importante trovare “un sentiero di maggiore sostenibilità economica”.

 Ancora una volta si evince che la ricerca ha le idee chiare sulla insostenibilità dell’attuale modello di sviluppo. E’ già avanti nel prendere in considerazione l’approccio alternativo dello sviluppo sostenibile. La politica responsabile dovrebbe fare propri i nuovi modelli. Bisognerebbe, poi, diffondere la cultura della sostenibilità tra le popolazioni degli Stati di tutto il mondo. Forse questo è il problema più complesso di cui dovrebbero farsi carico i mass-media, la scuola, le università: cambiare la mentalità attraverso l’apprendimento di nuovi modelli. Nelle ultime pagine del libro, Giovannini parla di “benessere collettivo” da cui “dipende il nostro futuro”. E ancora, evidenzia: “[I] costi sanitari legati alle malattie dovute all’inquinamento e [gli] investimenti per la decarbonizzazione delle attività economiche, [gli] interventi per ridurre il rischio idrogeologico e per riparare i danni dai disastri ambientali” (p.156). Quanto scritto deve uscire dal libro e diventare patrimonio culturale per una politica responsabile e concreta che realizzi modelli alternativi di sviluppo sostenibile. E bisogna fare presto. Non c’è tempo da perdere.

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