Lamezia Terme - Una macchina perfetta, una fra le opere più significative del tentativo di rilancio economico del Meridione, l’ex Zuccherificio di Sant’Eufemia-Lamezia nato in epoca fascista è oggi il simbolo eloquente di una mancata rinascita, o del rischio di un fallimento. Fondato nel 1941 dai fratelli Massari, originari di Limbadi, e inaugurato dall’allora Ministro dell’Agricoltura Giuseppe Tassinari, lo stabilimento, secondo le testimonianze di alcuni residenti, era considerato d’importanza assoluta: non per niente, dicono, “quella che allora era la via principale di Sant’Eufemia, il suo decumano, aveva volutamente sbocco proprio davanti ai cancelli della ditta”.
Oggi su quei cancelli, effettivamente visibili dal fondo di una strada di provincia, c’è solo ruggine, e un grosso segnale di pericolo: l’ex Zuccherificio, con la sua mole di gigante addormentato che custodisce nel suo ventre ogni sorta di degrado, è oggi per il territorio solo un problema. Eppure i suoi numeri sono Storia: 600 dipendenti all’attivo, un milione e duecentomila quintali di barbabietole da zucchero lavorate a stagione, per ventimila quintali al giorno. Fino al 1960, quando la produzione viene spostata nel Crotonese, a Strongoli. L’impianto è rimasto di proprietà della CISSEL (Compagnia Industriale Saccarificio Sant’Eufemia Lamezia) con la quale il comune, attraverso le varie amministrazioni, è in perenne trattativa per cercare di riqualificare lo stabile, o almeno di renderlo meno pericoloso: l’imponente copertura in amianto è crollata in molti punti liberando polveri, e l’intera struttura è soggetta a crolli.
Tuttavia, la vicinanza con la stazione ferroviaria e le falle nella recinzione hanno favorito negli anni l’utilizzo del luogo come riparo di fortuna per i clochard, i tossicodipendenti, le prostitute; lo hanno reso ricettacolo dei rifiuti più disparati, e – conseguenza facile da intuire – teatro di violenze: un tentativo di stupro nel 2018, una violenza sessuale di gruppo e addirittura un omicidio nel 2011. Tante da sempre le proposte di riconversione della struttura: inizialmente la più plausibile sembrava quella di ricavarne un albergo, sempre in funzione della vicinanza con la stazione. Ma non tutti avevano trovato consona la proposta, soprattutto all’interno del mondo associativo: infatti il valore storico dell’ex Zuccherificio avrebbe ampiamente giustificato un’opera di restauro, per renderlo visitabile al pari di un museo e trasformarlo in un esempio di archeologia industriale. Un’idea splendida, particolarmente condivisa durante l’amministrazione Speranza. Ma anche un’idea abbastanza dispendiosa, che purtroppo non ha mai trovato attuazione. Successiva, precisamente dell’ottobre 2019, la proposta di trasformarlo, almeno in parte, in un “hub intermodale”, secondo un progetto che prevede sia la creazione di uffici e magazzini, sia di un parcheggio per le auto, gli autobus e i pullman afferenti alla stazione, costretti tuttora a utilizzare un’area non adeguata in termini di spazio. Il tutto subordinato ad una cessione da parte di CISSEL.
Intanto, sempre nel 2019, a giugno, dopo un esposto in Procura da parte dell’attuale presidente del consiglio comunale Giancarlo Nicotera, era stata finalmente iniziata la bonifica dall’amianto e dagli altri materiali pericolosi presenti nell’area da parte di una ditta specializzata, con la sovrintendenza dell’Asp di Catanzaro, per il sollievo dei residenti, tendenti ad addebitare alle polveri l’incidenza di tumori in zona. Oggi, purtroppo, a distanza di quasi quattro anni, basta andare sul posto per rendersi conto che la copertura su gran parte del tetto è ancora presente, che la zona è abbandonata, sommersa dai rifiuti e dalla vegetazione, e che i cartelli che avvisano del rischio amianto sui cancelli arrugginiti sono sempre là. Per quanto sia possibile addebitare i ritardi al periodo Covid, rendere questo gigante addormentato perlomeno inoffensivo sarebbe un grande sollievo, non solo per i residenti ma per l’intera comunità cittadina.
Giulia De Sensi
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