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Pasolini, De Martino e le apocalissi culturali: due lottatori contro il nulla
Scritto da Lametino 5 Pubblicato in Francesco Bevilacqua© RIPRODUZIONE RISERVATA

Ieri sera a Lamezia Terme, nell’ambito di una rassegna dedicata a Pier Paolo Pasolini nel suo cinquantenario dalla morte, ho ascoltato il prof. Stefano De Matteis, che ha tenuto una conferenza sulle relazioni fra il pensiero di Pasolini e quello di Ernesto De Martino, due fra i maggiori intellettuali del ‘900. De Matteis è un importante antropologo che insegna all’Università di Roma 3 ed ha pubblicato diversi libri: ieri sera ho preso il suo “Gli sciamani non ci salveranno”, Elèuthera, sulla banalizzazione del pensiero primitivo e sulla sua importanza per la cura dell’umano e del naturale (mia interpretazione del contenuto del libro tratta dalle note di copertina, quindi passibile di fraintendimento). La conferenza avrebbe potuto intitolarsi “Pasolini/De Martino: assonanze e dissonanze” perché De Matteis ha cercato di trovare i punti di contatto (a mio parere molti) e quelli di contrasto (non ne ho visti di rilevanti, salvo la diversità strutturale dei loro diversi campi: De Martino antropologo e storico delle religioni; Pasolini poeta, narratore, regista e polemista). Ecco le mie impressioni. I due si conobbero, si stimarono e lessero almeno alcuni scritti l’uno dell’altro. Entrambi furono solidali verso le sorti delle “classi subalterne” (sottoproletariato urbano e contadini). Entrambi ritenevano essenziali le diversità culturali. Entrambi non avevano simpatia per una modernità intesa come cancellazione del passato e delle culture altre, come progressismo cieco. Entrambi sentivano il peso e la colpa – come appartenenti alla classe borghese – della colonizzazione e della distruzione di un certo mondo valoriale a cui il potere delle classi egemoni voleva sostituire una società senza valori. Intendiamoci, queste sono le mie sensazioni della conferenza (e delle mie letture di entrambi gli autori), ma non è detto che il prof. De Matteis la pensi esattamente così. Perché, come è noto, gli studiosi non amano le sensazioni ma catalogano le prove empiriche delle tesi che vogliono o possono sostenere. E questo, a me pare, costituisca un problema, in particolare, dell’antropologia moderna. Perché molti antropologi (non tutti, beninteso, e non lo penso del prof. De Matteis) sono assillati da una sorta di complesso di scientificità: non appena sprofondano nell’irrazionale di cui sono costellate le loro ricerche (soprattutto quelle entografiche) sentono il bisogno di prendere le distanze dall’irrazionale stesso (miti, riti, credenze, superstizioni etc.) e corrono ai ripari assicurando la loro adesione alla ragione ed al metodo scientifico. Che, viceversa, non può valere per ogni anfratto della realtà, anzi non basta affatto a descrivere la realtà, altrimenti cadremmo nel riduzionismo ontologico. Per cui ieri sera abbiamo sentito, ad esempio e fra molto altro, che sia Pasolini che De Martino erano di matrice “cristiana” ma subito dopo che erano pensatori (neo)illuministi.
Io, che leggo da semplice appassionato e penso da “umano”, mai da scienziato (non potrei anche perché non lo sono), sono convinto, invece, nel caso dei due grandi autori della conferenza, che entrambi, pur attenti (De Martino di più, Pasolini molto meno) ad affermare l’emancipazione degli uomini dal passato (e da tutto ciò che questo rappresenta, credenze incluse), sentivano però l’urgenza di fermare le “apocalissi culturali” che proprio da quell’emancipazione derivano. Furono, di fatto (e non esplicitamente) dei “conservatori” di sinistra, dei religiosi impegnati a mostrarsi atei, dei romantici troppo intenti a dirsi illuministi, dei pessimisti obbligati, talvolta, ad agire da ottimisti (Pasolini molto meno di De Martino).
De Martino, in “Furore, simbolo, valore”, in particolare nel saggio “Furore in Svezia”, commentando l’esplosione apparentemente immotivata di violenze di piazza a Stoccolma, ad un certo punto scrive: “il mondo è incamminato verso la democrazia laica e verso il riconoscimento di ideali interamente mondani: ma per una crisi di crescenza il nuovo umanesimo non ha ancora trovato il suo giusto equilibrio. Si è verificata una crisi delle credenze tradizionali, ma gli individui non trovano ancora nella società i modi adatti per partecipare attivamente all’esperienza morale che alimenta la democrazia laica, e per sentirsi protagonisti del suo destino. A una falsa libertà fondata sulla miseria si è creduto troppo spesso contrapporre una democrazia fondata esclusivamente sul benessere, mentre il problema centrale resta la partecipazione a un certo ordine di valori morali, un piano di controllo e di risoluzione culturale della vita istintiva.” Temo che la crisi di crescenza di cui parlava De Martino non abbia trovato soluzione, anzi sia fortemente peggiorata, vista all’attualità e con alta probabilità non troverà mai un equilibrio che sostituisca il precedente. Quanto a Pasolini mi piace ricordare qui un breve brano che proprio il prof. De Matteis ci ha suggerito ieri sera: È tratto da “Lettere luterane” in particolare da “Gennariello”: “Bisogna avere la forza della critica totale, del rifiuto, della denuncia disperata ed inutile”. Mi pare che, a suo modo, anche Pasolini non avesse alcuna fiducia in una soluzione futura dei guasti della “mutazione antropologica” da lui denunciata. Quel che ci resta senz’altro però, di entrambi, è la visione utopica del voler lottare contro il “nulla” che si avvicinava a grandi falcate e che già altri, prima di loro avevano ampiamente profetizzato.
