Università del Sud poco ambite, in 10 anni calo di immatricolazioni di oltre il 20% in Calabria

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Roma - In Italia gli iscritti alle Università del Sud sono sempre meno numerosi: negli ultimi 10 anni si è registrato un calo importante, guidato da Abruzzo (-30,3%), Basilicata (-24,6%) e Calabria (-20,5%), mentre gli iscritti si spostano al Nord, soprattutto in Piemonte (+23,8%), Emilia-Romagna (+21,3%) e Lombardia (+17,9%). Sono i dati presentati dall'Anvur, l'Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca, che mettono a confronto il biennio 2011-12 con quello 2021-22. "Non possiamo obbligare gli studenti ad iscriversi dove vogliamo noi, ma possiamo creare le condizioni per diversificare la formazione degli studenti anche dal punto di vista geografico", ha affermato il ministro dell'Università e della Ricerca Anna Maria Bernini: "Per far questo, noi puntiamo su un programma Erasmus tutto italiano". Complessivamente, si registra un calo del 16,7% delle iscrizioni al Sud, nelle Isole arriva al 17,1%, controbilanciato dall'aumento nel Nord-Ovest del 17,2% e nel Nord-Est del 13,4%. Le regioni del Centro non registrano invece grandi variazioni, con una lieve diminuzione dello 0,9%. "Assistiamo ad una vera e propria migrazione degli studenti dal Sud al Nord Italia", dice Alessandra Celletti, vicepresidente dell'Anvur e membro del Consiglio direttivo.

"Servono azioni per rendere l'offerta formativa più attraente: l'idea proposta dal ministro Bernini è molto interessante, ma - aggiunge - dovrà essere ben strutturata per garantire il gemellaggio tra sedi universitarie". Il totale degli iscritti universitari, tuttavia, vede una cifra in aumento: +10,3%, per quasi 1 milione e 950mila studenti, con una forte crescita soprattutto delle università telematiche, alle quali oggi sceglie di iscriversi circa 1 universitario su 10, e una lieve decrescita degli atenei statali (-1,2%). Ad immatricolarsi all'università è il 60% dei diplomati. Di questi, il 62,1% arriva dai licei, il 23,5% dagli istituti tecnici e il 7,2% da quelli professionali. Tuttavia, i tassi di abbandono tra primo e secondo anno sono molto più elevati per questi ultimi due gruppi (rispettivamente 26,8% per i professionali e 21,1% per i tecnici), rispetto a chi ha frequentato un liceo (9,3%). "Quel 60% è un numero troppo basso - commenta ancora Bernini - anche perché i diplomati sono invece aumentati negli ultimi anni. Dobbiamo lavorare sull'orientamento, anche su quelle professioni che ancora non esistono. Dall'altro lato - prosegue il Ministro - gli abbandoni universitari sono invece troppo alti: non possiamo permetterci di far perdere tempo alla popolazione studentesca, portando l'iter formativo oltre un certo limite".

Sui tassi di abbandono dell'università ha fatto sentire il suo peso anche la pandemia di Covid-19: quelli tra primo e secondo anno sono balzati in alto a partire dal biennio 2019-2020 sia per i corsi a ciclo unico (+1,7%) sia per quelli triennali di primo (+2,8%) e secondo livello (+2,3%). Si inverte quindi l'andamento positivo di diminuzione dei tassi di abbandono universitario iniziato a partire dal 2011-12. La pandemia ha avuto un impatto negativo anche sul numero totale dei diplomi di laurea conseguiti: nonostante siano cresciuti del 15,6% in 10 anni, dal biennio 2019-20 a quello 2020-21 sono stati oltre 27mila in meno.

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