Destra, sinistra e governo del territorio

Scritto da  Pubblicato in Giovanni Iuffrida

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Iuffrida_matita-OK_0e788_db425_50701_ad838_a3ec4_50f5e_39a7a_13eda_4fdc6_624ba_cd20f_d090e_68191_ef208_86daa_446de_c41db_74bf5.jpgL’antropologia classica, partendo dall’assunto che gli esseri umani non sono uguali, si prefiggeva l’obbiettivo di valorizzarne le differenze, considerate una vera ricchezza. In pratica, non siamo identici, uguali, ma somiglianti, cioè diversi l’uno dall’altro e distinguibili in tribù ben distinte. Questa diversità, almeno in ambito politico, si può ritenere conclusa con il crollo dei “muri” ideologici.

È bene dire, però, che fino al fatidico 1989 vi era almeno la sensazione (forse, è meglio dire l’illusione) di una netta separazione tra le “tribù” di sinistra e quelle di destra, con un centro politico caratterizzato da una miriade di “tribù” fluide e permeabili che stavano, come Pinocchio, nella pancia della Balena bianca dalle mille teste: la Democrazia Cristiana.

Questo variegato universo politico, fluidificante, permeabile e caleidoscopico era caratterizzato da continui conflitti propri della diversità di pensiero alla base di ben definite posizioni, che costituivano di per sé un valore, rispetto, per esempio, alle tematiche relative alla gestione del territorio e ai propositi di buon governo delle città. Queste differenze politiche erano una vera ricchezza, il conflitto culturale una risorsa. I modelli di pianificazione frutto delle diverse posizioni ideologiche – la città pubblica di sinistra che si contrapponeva, per esempio, all’ideologia del libero mercato e, in poche parole, al liberismo – erano ben delineati a livello nazionale sul piano teorico, ma non trovavano conferma però, a livello locale, nella pratica urbanistica dei grandi come dei piccoli centri. Questi ultimi, frutto del municipalismo italiano, in realtà avevano anticipato da tempo quanto è accaduto dopo il 1989, quando il liberismo abbraccia ufficialmente il mondo intero e omologa i comportamenti politici.

Di fatto a livello locale, ancora prima che in ambito nazionale, si era già superata, a piè pari, la diversità culturale e ideologica; e (dopo una brevissima fase di somiglianza) l’”uguaglianza”, a lungo predicata in campo sociale dalla cultura comunista, veniva di fatto praticata con maggiore scioltezza soprattutto nelle prassi di governo del territorio. Infatti oggi – storia alla mano – è complicatissimo distinguere i modelli di governo del territorio, rispetto alle diverse postazioni politiche (destra o sinistra).

A livello locale questi aspetti venivano maggiormente esaltati, perché le tribù politiche tendevano spontaneamente ad abbandonare sul piano operativo le classiche differenze ideologiche, adattandosi alle “necessità” fluide del consenso elettorale e lasciando sventolare (abbandonate al vento del momento) le bandiere rosse, bianche o tricolori soltanto ai balconi delle sedi di partito: così – in tutto il contesto regionale – le teorie urbanistiche venivano relegate agli studi accademici, mentre nella pratica di governo del territorio diventava sempre più difficile distinguere la destra dalla sinistra. Peraltro a Lamezia (e un po' ovunque però) per non correre il rischio di tradire la posizione politica dichiarata all’interno delle sedi di partito (e sbandierata tronfiamente sulla stampa), dove fumosi dibattiti su principi astratti nascondevano le decisioni già assunte (scelte localizzative e progettisti, per intenderci), le fasi amministrative di responsabilità (adozioni e approvazioni) venivano quasi sempre “demandate” alle diverse gestioni commissariali che hanno punteggiato il governo della città per tutto il lungo dopoguerra fino ai nostri giorni. Scaturiva così una urbanistica commissariale che di fatto assecondava le decisioni politiche assunte precedentemente nelle segreterie di partito, in spregio alla cosiddetta base politica che aveva goduto soltanto dell’illusione di svolgere un ruolo attivo e condizionante.

Di conseguenza, tutta la qualità della successiva pianificazione attuativa risentiva dell’ibrida matrice “commissariale”, in cui di fatto confluivano, anche con evidenti conflitti localizzativi, le diverse opzioni politiche maturate in precedenza e in armonia con le “necessità” del consenso elettorale dei maggiorenti di partito.

Allo stesso percorso decisionale è, per esempio, da collegare la localizzazione delle aree da destinare a servizi pubblici, quasi sempre posizionate in zone fortemente scoscese, impervie e pressoché inutilizzabili, se non con elevati costi di urbanizzazione: un modello, questo, di pianificazione di “sinistra” gestito in molti comuni con grande soddisfazione anche nelle (peraltro poche e brevi) fasi di amministrazione di destra che per cultura propria, nella maggior parte dei casi, non ha il bisogno o l’urgenza di pianificare preventivamente lo sviluppo “ordinato” dell’assetto del territorio, ma di materializzare gli interventi singoli elasticizzando i labili confini normativi e previsionali dei piani, dove l’”ordine” urbano di sinistra non è poi dissimile da quello di destra.

Senza entrare nell’ampia casistica urbanistica, il “piano casa” rimane un esempio emblematico di questo approccio al governo del territorio, in cui si è inserita la destra politica completando il processo di svuotamento della pianificazione avviato dalla sinistra con la più volte rimaneggiata e confusa legge urbanistica regionale, che rappresenta una reale minaccia per la salvaguardia del territorio.

Al di là della consolidata fratellanza, trasformatasi nell’ultimo trentennio nell’“uguaglianza” tra destra e sinistra, la recente sentenza della Corte costituzionale relativa al “piano casa” conferma l’esistenza del problema dell’attuale architettura istituzionale, che dovrebbe spingere verso l’eliminazione delle Regioni, restituendo tutte le competenze allo Stato e puntando sul consolidamento delle funzioni delle Province, indispensabili per il governo dei servizi sovracomunali. Purtroppo, destra e sinistra si trovano, ancora una volta, solidali nel lasciare le cose immutate.

Del resto – nell’attuale panorama politico nazionale, che sembra aver rigenerato una “grande” Democrazia Cristiana, presa a modello a qualsiasi livello territoriale, in cui i diversi partiti che fanno parte del governo sembrano aver ricostituito il vecchio correntismo di centro – si può cogliere una qualche differenza tra modelli di governo del territorio di destra da quelli, per così dire, di sinistra? L’antropologia moderna può aiutarci a trovare una qualche differenza tra le pratiche urbanistiche delle “tribù” di sinistra da quelle di destra?

C’è la netta convinzione che si sia persa da tempo la ricchezza culturale delle differenze politiche e si sia realizzata l’uguaglianza “ideologica”, prima causa dell’astensionismo elettorale e del depauperamento del territorio.

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