“Election Day”: andare al seggio informati e consapevoli il 20 e il 21 settembre

Scritto da  Pubblicato in Pino Gullà

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 Le due parole in inglese, “Election Day”, sono entrate nel linguaggio giornalistico nostrano per indicare (il giorno o i giorni) in cui vengono accorpati diversi appuntamenti elettorali come quelli del 20 e 21 settembre prossimi quando si voterà per le elezioni regionali e le amministrative parziali; nelle stesse giornate è stato inserito anche il referendum confermativo sul taglio dei parlamentari. Sono pseudo-anglicismi perché hanno assunto per i media italiani un significato proprio diverso da quello britannico (nel Regno Unito, in minuscolo, vuol dire giornata elettorale in senso generico) e da quello statunitense (negli Usa, in maiuscolo, indica il giorno in cui si tengono le elezioni nazionali). Da noi sarebbe più corretto chiamarle giornate elettorali. In concomitanza la consultazione referendaria senza quorum: se prevarrà il “sì”, ci sarà la riduzione dei parlamentari, da 630 a 400 deputati e da 315 a 200 senatori con conseguente modifica degli articoli 56 (secondo comma della Costituzione), 57 (secondo comma) e 59 (non ci potranno essere in Aula più di 5 senatori a vita nominati per altissimi meriti da parte del Presidente della Repubblica). Le elezioni settembrine si sarebbero dovute svolgere il 29 marzo scorso, ma il maledetto coronavirus ha costretto il Parlamento al rinvio. A breve dovrà essere approvato il testo base della legge elettorale già calendarizzato per il 28 settembre; è il cosiddetto Germanicum (sul modello tedesco per la soglia di sbarramento) o Brescellum (dal nome del primo firmatario, il Pentastellato onorevole Giuseppe Brescia, presidente della I Commissione Affari Costituzionali), secondo la tradizione del latinorum inaugurata da Giovanni Sartori con il Mattarellum. Questa riforma di legge elettorale apporta i seguenti cambiamenti a quella attualmente in vigore, il Rosatellum (altro latinorum, dal nome del suo relatore, onorevole Ettore Rosato di Italia Viva): eliminazione dei collegi uninominali, lo sbarramento al 5% e il diritto di tribuna (alla Camera saranno i candidati di quelle formazioni politiche che otterranno tre quozienti in almeno in 2 regioni, al Senato almeno un quoziente nella circoscrizione regionale). Il 25 settembre comincerà l’esame della proposta di legge costituzionale dell’onorevole Federico Fornaro di Liberi e Uguali concernente la modifica degli articoli 57 e 83 in materia di base territoriale per i senatori e di riduzione del numero dei delegati regionali per l’elezione del Presidente della Repubblica.

Un gran da fare per Parlamento, Commissioni, Governo, partiti che finora non hanno completamente coinvolto l’elettorato, specialmente per il referendum. A tal riguardo riporto il parere di sondaggisti alquanto accreditati.  Per Nicola Piepoli l’affluenza generale sarà tra il 25 e il 33%. Anche Alessandra Ghisleri prevede affluenza alle urne in calo. L’effetto Covid potrebbe condizionare la partecipazione democratica: evitare le file ai seggi o di entrare nella cabina elettorale. Un nuovo tipo di astensionismo causato dalla paura del contagio si aggiungerebbe agli altri, quelli per pigrizia o per protesta. E ancora, gli elettori italiani hanno altro a cui pensare (difficoltà economiche, riapertura delle scuole) e potrebbero disertare le urne. Sempre per effetto del coronavirus. Un comportamento presente anche prima della crisi pandemica. L’ho letto ne La partecipazione politica di Francesco Raniolo (ed. il Mulino, 2002). Il docente dell’Università della Calabria riporta un virgolettato del sondaggista Mannheimer: “… ci troviamo di fronte a dei cittadini che vedono la politica come qualcosa di remoto, di assai poco importante rispetto ad altri aspetti della vita come quelli relativi al lavoro, alla famiglia, alla salute, alla religione, al sesso, allo sport, alle relazioni personali” (p.193).

Da mettere in conto, inoltre, la volatilità dell’opinione pubblica che va di pari passo con l’instabilità del Parlamento.  Nella fattispecie del referendum, la modifica costituzionale è stata approvata a larghissima maggioranza (553 sì, 14 no, due astenuti). Ma alcuni deputati e senatori che hanno votato per la riduzione dei parlamentari si sono defilati o hanno preso le distanze. Non ci si può, allora, meravigliare dell’astensionismo e della folta schiera degli indecisi nell’opinione pubblica se anche i parlamentari assumono comportamenti ondivaghi. Da decenni si assiste a percentuali preoccupanti di disaffezione al voto nelle tornate elettorali. Lo scarso coinvolgimento civico durante le elezioni e i referendum significa sfiducia verso certa politica. Il 20 e il 21 settembre forse sarà meno evidente nelle località in cui si svolgono elezioni regionali e amministrative insieme alle referendarie.  Ma c’è il rischio che vengano disertate le urne là dove ci sarà soltanto la consultazione referendaria. Se avverrà questo, il deficit democratico risulterà evidente. Il benessere di una democrazia trae linfa salutare dalla partecipazione al voto e alla buona politica.

Per adesso la riduzione dei parlamentari; subito dopo il Parlamento dovrà pensare al superamento del bicameralismo paritario e al resto delle riforme per adeguare le istituzioni alla modernità. Interessante quanto scritto in questi giorni sul referendum (da Stefano Folli, Stefano Ceccanti, Gianfranco Pasquino…). Analisi accurate e opinioni differenti secondo lo spirito critico e la tradizione democratica pluralista. Ma i dati che ho letto nell’articolo di Tito Boeri e Roberto Perotti, entrambi economisti, potrebbero essere di aiuto per le scelte referendarie che andremo a fare fra qualche settimana. Hanno scritto su la Repubblica: “Nella passata legislatura il 40% dei deputati e il 30% dei senatori hanno disertato più di un terzo delle votazioni; l’attività legislativa si è concentrata su poco più del 10% dei parlamentari che hanno sommato tra loro più di un incarico, mentre due terzi non hanno coperto alcun ruolo. Molti di loro in cinque anni non sono mai stati né promotori né relatori di un singolo provvedimento”. Bisogna andare al seggio avendo contezza che il nostro Parlamento ha problemi in termini di efficienza e di rappresentanza qualitativa.

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