L’illusione della sobrietà

Scritto da  Pubblicato in Francesco Bevilacqua

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 francesco-bevilacqua-foto-blog-nuova_80da1_19973_ea258_59f1c_e96f0_cec4f_df014_db513_eb6b5_f8fb1_2c83a_da5cd_ac61d-1_c49d8_8565a_1a702_73902_90cc3_d8d69_c1afb_508ed_14fbf_1602e_c1835_27877_1f47f_c6130_553d9_7ee8b_d4abb___.jpgQualcosa non torna del comportamento dei media in questi giorni, sino all’epilogo della notte dell’ultimo dell’anno. Da mesi tg e talk show ci martellano con il giusto cordoglio per i morti da Covid, con i numeri dei contagi e degli ospedali in affanno. A ciò si aggiunga la critica verso tutti quegli “imprudenti” che pretenderebbero di continuare la vita godereccia di sempre. Quella stessa vita, però, che dal secondo dopoguerra in avanti, tutti indistintamente – salvo rare eccezioni – hanno propagandato come la migliore possibile. Inducendoci a consumare sempre di più, a produrre sempre più beni, a creare più ricchezza, ad aumentare il PIL. Insomma, per settant’anni ci è stato ingiunto di adorare il superfluo ed ora, in pochi mesi, ci si vorrebbe convertire tutti alla sobrietà. 

Beh, mi sarei atteso, per l’ultimo dell’anno, un po’di coerenza mediatica! E invece, facendo zapping sui canali tv in attesa della fatidica mezzanotte, ovunque era un’esplosione di feste, assembramenti, baci, abbracci, sghignazzate, canti, balli, pubblicità (chilometrica quella della TIM!), conti alla rovescia, panettoni, spumanti, paillettes e cotillons. Come se i morti, i malati, gli ospedali in affanno fossero svaniti nel nulla. Ci aveva avvertiti, sin dai primi anni settanta, Pierpaolo Pasolini, che era in corso una vera e propria “mutazione antropologica” (quelle tesi sono raccolte, fra l’altro, in “Scritti corsari”). Ci aveva spiegato che eravamo tutti impegnati a trasformarci da un popolo amante della sobrietà in uno adoratore del superfluo. E c’era la contemporanea lezione psico-sociologica di Eric Fromm (esposta in “Avere o essere” del 1976), secondo cui è vero che il consumo placa l’ansia perché ciò che possiedi non ti può essere ripreso, ma è pur vero che, nel contempo, quello stesso consumo ti rende eternamente insoddisfatto perché ti abitua a desiderare sempre di più. Ma nessuno si è mai curato di quegli avvertimenti. Anzi, quasi tutto l’establishment intellettuale - di destra e di sinistra che fosse - fu pronto, più tardi, a deridere un economista eretico come Serge Latouche, quando questi provò a spiegare che una crescita economica infinita in un mondo fatto di risorse finite era una contraddizione in termini. È bastato un virus, invece, - originato guarda caso da un abuso di consumi alimentari - a far insorgere i moralisti buoni per ogni stagione. I quali si meravigliano ora che sia così arduo convincere la gente ad abbandonare le sue “insane” abitudini.

Naturalmente, quasi tutti i soloni che sentiamo pontificare dai media e sui social, appena l’anno scorso erano intenti anche loro a partecipare alla sagra delle futilità, fra un centro commerciale ed un longue bar, fra un concerto rock ed una discoteca, fra un cinema ed uno stadio di calcio, fra un viaggio in paesi esotici ed uno sfoggio muscolare in palestra. Ora no. Ora tutti barricati in casa a tuonare contro l’isteria collettiva. Ora tutti trasformati in novelli – e tardivi - Pasolini, Fromm e Latouche! Salvo a guardare, compiaciuti, gli show di fine anno in tv, fra una barzelletta ed una tetta debordante, una canzonetta ed un polpettone hollywoodiano (Indipendence Day, dato su Italia Uno) dove gli alieni (il virus) vengono sconfitti dall’aeronautica americana. E non c’è da prendersela nemmeno con l’attuale classe dirigente. Perché dietro i divieti, le restrizioni, le raccomandazioni – strumentali all’impreparazione del sistema - si nasconde la piena adesione morale alla filosofia dei comportamenti che, invece, oggi si vorrebbero inibire. Ammoniva Pasolini: “Il modello culturale offerto agli italiani (e a tutti gli uomini del globo, del resto) è unico. La conformazione a tale modello si ha prima di tutto nel vissuto, nell’esistenziale: e quindi nel corpo e nel comportamento. È qui che si vivono […] i valori della civiltà dei consumi, cioè del nuovo e del più repressivo totalitarismo che si sia mai visto”.

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