Lamezia che non c’è

Scritto da  Pubblicato in Giovanni Iuffrida

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 Benvenuti a Lamezia che non c’è, sembra indicare un cartello arrugginito. Qualcuno commenta che non è mai esistita, come la fantomatica Lametia romana. Quella apparente è stata peraltro saccheggiata, depredata, spogliata a cominciare da quando è nata, con parto podalico.  La Lamezia di oggi è quella dei passeggeri che transitano, perché non è una città ma un aeroporto deciso da chi non abita i luoghi di quaggiù e realizzato dalla Cassa per il Mezzogiorno, oggi immerso in grumi di case sparse qua e là, raccordate da strade asfaltate che ripercorrono, stravolgendoli, antichi tratturi. La modernità sta tutta nell’autostrada decisa nei primi anni Sessanta e nelle ottocentesche linee ferrate, rigorosamente statali, anch’esse cioè figlie del governo centrale. Successivamente, le infrastrutture mentali locali non sembrano aver mai partorito opere proprie, degne di una città. Le convulse trasformazioni, degli ultimi anni, suggeriscono che Lamezia (ammesso che esista una città e che abbia un’identità) è un po' Cina e un po' Nordafrica. Nelle strade dei centri storici non si sente, “del posto”, nemmeno odore di sugo di pomodoro appena fatto, ma lingue sconosciute, in un nuovo condimento culturale. Le ragioni sono molte, sovranazionali, nazionali e, poi, locali. Intanto, c’è una ragione che parte da lontano, riguarda tutto l’Occidente e spiega l’impotenza di fronteggiare fenomeni governati dall’alta finanza e dalle lobbies, e che vedrà la Lamezia del 2050 come una città completamente diversa da quella lasciata dai nostri padri, soprattutto dal punto di vista sociodemografico. Spie e traditori della seconda guerra mondiale, tra i libri perduti e poco diffusi nonostante sia tradotto (il titolo originario è Spies and traitors of world war II) e pubblicato nel 1946 da De Carlo Editore, ha un valore eccezionale, perché anticipa con straordinaria lucidità le ragioni, allora segrete, di quanto accadrà negli anni successivi al conflitto e ancora oggi di drammatica attualità. La mancanza di note biografiche fa subito pensare a un autore di origine ebraica appartenente peraltro ai servizi segreti che, tra gli “ottimisti”, per dirla alla Billy Wilder, cerca rifugio in uno pseudonimo, presentandosi fittiziamente come giornalista con il nome di Kurt Singer, di fatto noto direttore dell’Opera di Berlino deceduto nel 1944, grazie alla cui attività si raccolsero molti intellettuali, a partire dal 1933, intorno alla tollerata (in un primo tempo) Kulturbund deutscher juden.

Gli aspetti interessanti del libro sono due, legati entrambi all’evidente conoscenza dell’autore di documenti segreti e di avvenimenti che ruotano intorno a una figura misconosciuta ma importantissima per la macrostoria mondiale i cui riflessi sono facilmente individuabili ancora oggi nelle dinamiche sociodemografiche ed economiche. Il personaggio è Wilhelm Canaris, direttore dell’organizzazione spionistica tedesca, rimasto abilmente sempre nell’ombra. Un’attività internazionale, la sua, che, attraverso figure insospettabili (in Iran, per esempio, assolda il noto archeologo Max von Hoppenheim), incita rivolte, fornisce armi e fomenta nel Medio Oriente disordini. In particolare, risulta che frequentò anche l’Italia per contribuire alla disperata resistenza delle forze tedesche impegnate nella penisola, organizzando una rete di spionaggio e di atti di sabotaggio anche nella zona liberata. Non è lontano dalla verità che sia proprio il servizio segreto tedesco a sollecitare e ad armare nel 1943 la “resistenza fascista” di Nicastro e Sambiase che, esibito pubblicamente come moto spontaneo ma in realtà collegato al più ampio movimento clandestino coordinato dal principe Valerio Pignatelli, confluirà – come è noto – nel “processo degli ottantotto”, risolvendosi dal punto di vista giudiziario come semplice sommatoria di azioni riconducibili a una comune associazione a delinquere con sfumature persino goliardiche, soprattutto perché la maggior parte dei protagonisti erano studenti liceali. In ambito internazionale, invece, può sembrare assolutamente inimmaginabile che, al fine di creare le condizioni di nuovi conflitti, la fitta rete dello spionaggio tedesco-giapponese avesse addirittura tentato – ma infruttuosamente – di dare forma a organizzazioni fasciste della “razza negra” negli Stati Uniti, proponendo ad ogni volontario di colore somme che variavano da mille a seimila dollari, con il preciso scopo di suscitare un’insurrezione razziale. L’obiettivo era chiaro: la rivolta armata di negri, inquadrata nella teoria delle insurrezioni razziali del Mein Kampft di Hitler, avrebbe dovuto appoggiare lo sbarco e l’invasione giapponese del territorio americano, così come i servizi segreti americani si adoperarono per ottenere l’appoggio della mafia al fine di occupare, con facilità, la Sicilia. Di fatto, per i tedeschi, non andò come era nelle intenzioni perché la propaganda non ebbe l’efficacia sperata, non riuscendo di fatto a far abboccare la gente di colore. Si presentò certamente più facile, da parte americana, contrattare i futuri vantaggi del sistema mafioso siciliano che per i tedeschi convincere la popolazione di colore che “le razze di pelle scura dovessero distruggere la razza bianca”, o per il filippino Giorgio Cruz provare a diffondere e inculcare, per le finalità tedesche, lo slogan “Il mondo appartiene alle razze di colore. Uniamoci e daremo l’inferno al mondo bianco!”

Nel capitolo XXV, Il piano segreto del movimento clandestino fascista, risulta che nel 1945 i tedeschi avevano in territorio argentino circa quattrocento cellule organizzate con lo scopo di provocare la terza guerra di vendetta, ovvero la Terza guerra mondiale, sul presupposto che il fascismo, come idea, potesse sopravvivere a tutto e a tutti. Il movimento clandestino avrebbe dovuto diffondere nei vari paesi una nuova “quinta colonna”, guidata ovviamente da tedeschi, organizzando campagne di odio razziale “contro i negri, gli ebrei, gli italiani ed alte minoranze, allo scopo di dividere e conquistare”. Di fatto i tedeschi avevano depositato miliardi di dollari nelle banche svizzere con la complicità di funzionari americani e britannici; fondi che avrebbero dovuto finanziare l’operazione Odessa, avviata già nel ‘44 con la finalità di sostenere il futuro movimento clandestino tedesco. Il Memorandum del servizio segreto tedesco di sessanta pagine, incentrato sul funzionamento del movimento clandestino, è un’utile chiave interpretativa di quanto sta accadendo oggi. Alcuni passaggi preannunciano, per esempio, con incredibile lucidità quanto di fatto accadrà negli anni successivi a proposito della Germania e delle tensioni disgregatrici europee e internazionali: “Dopo la guerra saremo in grado di assicurarci un margine di superiorità economica e demografica persino più grande della superiorità che abbiamo goduta prima del 1939. Anche questa guerra si rivelerà utile per noi: ci consentirà, entro i prossini venticinque anni, di condurre un’altra guerra, ma meglio organizzata […]. Dobbiamo cercare di introdurre nella pace i semi dei futuri dissensi […]. Dobbiamo fare del nostro meglio per seminare nella futura vita internazionale i semi della discordia. Queste sono le condizioni che porteranno alla nostra vittoria”. In queste parole va individuata la chiave di lettura di molti degli avvenimenti che caratterizzeranno la storia dal dopoguerra ad oggi, in cui si muovono personaggi, lobbies e mafie, dallo stragismo alle tensioni sociali e agli squilibri creati attraverso, ad esempio, l’arma della guerra finanziaria e delle attuali migrazioni di massa. La Lamezia del 2050, impotente, sarà anche il risultato di tutto questo.

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