Per una politica della migrazione sostenibile

Scritto da  Pubblicato in Pino Gullà

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Sono state le analisi degli studiosi a convincermi che accoglienza e integrazione sono possibili e portano ricchezza concreta come già si riscontra dai rapporti sull’economia dell’immigrazione della Fondazione Leone Moressa. Bisogna andare oltre la politica dei respingimenti e dell’accoglienza “sopportata”. Gli studi indicano un futuro di integrazione, in particolare le indagini di Massimo Livi Bacci citate negli articoli passati. Il professore di demografia all’Università di Firenze arriva a soluzioni concrete. La sua “storia minima della popolazione del mondo” (ed. Il Mulino) viene adottata nelle migliori Università italiane, europee ed extraeuropee. In Migrazioni. Vademecum per un riformista, pubblicato dall’ associazione Neodemos nel 2012, il demografo fiorentino va oltre le ideologie o gli schieramenti politici; alle poche certezze della Destra e al buonismo, a volte incerto e ambiguo, della Sinistra contrappone una nuova politica riformista, pragmatica e adeguata alle sfide del Terzo Millennio, quella del governo delle migrazioni. Lo afferma chiaramente nella premessa del vademecum: “le politiche migratorie hanno come protagonisti oltre al migrante anche le persone della società di partenza e di quella di arrivo, [e coinvolgono i rispettivi Stati]”. I Paesi interessati sono inseriti nel sistema complesso del mondo globale: l’Italia si trova in mezzo “all’umanità migrante” che non mette in moto “flussi unidirezionali”, bensì correnti migratorie in continuo e “mutevole movimento”. Come già scritto nel precedente articolo on line, da noi (e in Europa) si assiste ad una graduale diminuzione della popolazione (autoctona) delle nuove generazioni e ad un aumento degli anziani; quindi della mortalità maggiormente marcata senza il necessario (e completo) ricambio che può avvenire tramite l’immigrazione. Anche in Germania e in altri Paesi dell’Ue si verificano gli stessi fenomeni di invecchiamento della popolazione. In Italia l’opinione pubblica non ha ancora piena consapevolezza del cambiamento epocale che c’è stato negli ultimi decenni: da una parte meno forza lavoro giovane in loco e, come se non bastasse, alcuni vanno all’estero alla ricerca di una occupazione; dall’altra nuovi arrivi extracomunitari con numerosi giovani, laureati e non. La risposta della politica riformista dovrà essere orientata nell’inserimento di tale immigrazione regolare. Livi Bacci sposa la chiarezza: “Il terzomondismo della sinistra, l’ecumenismo cattolico, il solidarismo del terzo settore hanno assegnato alle politiche migratorie una funzione umanitaria che non possono sostenere”. Invece è realistico inserirle in una logica di sviluppo economico, sociale e culturale. Per lo studioso bisogna favorire una politica migratoria utilitaria che risponda a criteri di scelta e di selezione “democraticamente condivisi”. Si potrebbero razionalizzare i flussi privilegiando alcune professioni.

La funzione umanitaria, invece, riguarda i rifugiati. Le politiche dei richiedenti asilo hanno a che fare con la generosità e non sono selettive. Bisogna essere pronti ad accogliere e proteggere i perseguitati e chi scappa dalle guerre. Alcuni giornali e certa politica creano un megafono esagerato e distorto: parlano di invasione dei richiedenti asilo e costruiscono artificialmente nella gente un “percepito” lontano dalla realtà; questo bombardamento mediatico rischia di essere pericoloso perché innesta insicurezze e paure. In proposito lo studio dell’Istituto Cattaneo pubblicato qualche settimana fa: “Gli intervistati italiani sono quelli che mostrano un maggior distacco (…) tra la percentuale di immigrati non UE realmente presenti in Italia (7%) (…) e quella percepita, pari al 25%. Il livello di percezione è il più alto tra tutti i Paesi dell’Unione europea”. A giugno 2016, i dati dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) registravano 131 mila rifugiati (su 60 milioni di abitanti). Nessuna invasione dunque, solo il 2 per mille della popolazione italiana. Secondo l’Istituto di politica internazionale dal 2017: “si assiste ad un netto calo delle domande presentate”. Da Italia Oggi: “Nei primi cinque mesi del 2018 (…) è stato concesso lo status di rifugiato a 2.644 richiedenti asilo su 40.123 [richiedenti], circa il 6,5% (5% nel 2015, 5,4% nel 2016, 8% nel 2017)”. Nella speranza che numeri e percentuali non abbiano appesantito la lettura del pezzo, si comprende che non c’è nessuna invasione verso Italia. Solo allarmismi in funzione elettorale che purtroppo diffondono diffidenza, paura, razzismo difensivo verso “l’altro”. Tornando all’argomento in questione, dovrebbe essere chiara la distinzione tra immigrazione legale sottoposta a criteri di scelta e/o selezione in vista di opportunità lavorative e politica migratoria dell’asilo per i rifugiati che fuggono dalle guerre, dalle persecuzioni e dalle violenze, come stabiliscono la nostra Carta costituzionale e la normativa internazionale. Sulla prima forma di immigrazione sarà compito dell’Ue intervenire, non solo dell’Italia; per il resto si dovrà applicare la normativa nazionale e internazionale. E’ necessario, di conseguenza, creare un’organizzazione ben strutturata in grado di distinguere i migranti economici dai rifugiati.

Livi Bacci sostiene che le migrazioni sono fenomeni complessi. I migranti hanno motivazioni tra le più svariate, ma quelle prevalenti riguardano il miglioramento delle proprie condizioni economiche. Lo studioso ha una conoscenza storica globale del fenomeno e pone degli esempi di riscontro che si riferiscono a realtà dell’Europa continentale e d’Oltreoceano: gli ispano-americani (50 milioni) che vivono negli USA sono le generazioni successive dei lavoratori stagionali agricoli nel periodo della II guerra mondiale; in Germania i residenti stranieri sono i discendenti dei lavoratori ospiti (Gastarbeiter) degli anni ’60-’70. Non ha dubbi il professore di demografia: “Nel nostro Paese l’immigrazione è strutturale e tende a diventare (…) di insediamento e di popolamento”. I migranti che sono in Italia da più di 5 anni hanno ormai coperto i settori lavorativi dove c’era offerta. Sono badanti, muratori, artigiani, imprenditori, operai, impiegati. Non sono soltanto lavoratori stranieri. Appartengono alla nostra società. La maggioranza ha raggiunto l’obiettivo importante della cittadinanza. La politica migratoria deve far tesoro di questa nuova situazione. Prima di tutto comprendere che il mercato del lavoro è molteplice e complesso (oggi soffre di precarietà o di difficoltà di inserimento). Sarebbe opportuno prendere in considerazione la migrazione regolare a lungo periodo e puntare sul desiderio di integrazione da parte del lavoratore. Gli immigrati regolari di lungo periodo devono godere dei diritti civili e politici. La cittadinanza deve diventare una tappa importante; allo stesso modo lo ius soli che bisogna adottare una volta per tutte per i nati in Italia da genitori stranieri, ma anche per i figli di stranieri nati all’estero con formazione e scolarizzazione nel nostro Paese. Alla domanda di lavoro, in Italia e in Europa, andrebbero adeguati i flussi. Programmazione dei flussi migratori e andamento economico dei vari Paesi dell’UE vanno di pari passo. Questo vale per l’immigrazione regolare. Se, invece, c’è un flusso incontrollato di immigrati irregolari in entrata, il sistema Paese o il sistema Europa rischia di saltare. Quindi bisogna “prevenire la migrazione illegale” come scritto nel documento del Consiglio europeo di fine giugno. Poi occorre programmare i flussi legali alla ricerca di un continuo equilibrio e riequilibro economico e sociale. Infine il “piano Marshall” per l’Africa (v. artt. precedenti): sarà la vera scommessa dei prossimi decenni per risolvere, almeno in parte, il problema migratorio.

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