Sinodo sull’Amazzonia: ritornano attuali gli studi di Lévi-Strauss

Scritto da  Pubblicato in Pino Gullà

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pino_gulla_36604_1ab0c_3f558.jpgInteressante l’intervista di Stefania Falasca per Avvenire.it ad Anna Casella, docente di Antropologia culturale all’Università Cattolica di Milano, in occasione del Sinodo sull’Amazzonia. Un passaggio della docente: “Per gli antropologi non esistono i primitivi. Il giudizio di primitività è dato dall’idea etnocentrica che la civiltà sia solo la nostra, cioè civiltà tecnologica, di economia, di mercato, individualista (…) Il loro pensiero, scrive Lévi-Strauss, è metaforico, analogico empatico”. Etnocentrismo vuol dire giudicare le altre culture sulla base dei criteri con cui valutiamo quella occidentale a cui apparteniamo. Da qui nascono i pregiudizi razziali a causa del rifiuto verso chi fa parte di una società altra, considerata inferiore. Ho letto sul “peccato ecologico”, laddove si auspica da parte dei vescovi del Sinodo “una conversione ecologica che faccia percepire la gravità del peccato contro l’ambiente alla stregua di un peccato contro Dio, contro il prossimo e le future generazioni”. Nel corso del dibattito è emersa la proposta di aggiungere tale peccato a quelli tradizionali. Questa rappresenta senz’altro una delle novità del Sinodo e si spera in una svolta concreta, nel senso di un approfondimento teologico nel prosieguo dei lavori che termineranno il 27 ottobre prossimo. Nel momento in cui sto scrivendo mancano ancora alcuni giorni.

Leggendo le domande e le risposte dell’intervista i miei occhi si sono fermati su un nome che conosco molto bene: Claude Lévi-Strauss, antropologo e filosofo francese, teorico dello strutturalismo (la ricerca di strutture che sottintendono l’essenza della realtà) applicato alla etnologia (lo studio delle culture umane e dei loro processi di trasformazione). L’antropologo è l’autore scelto per la mia tesi di laurea, scritta più di 40 anni fa. Sono andato a prenderla. Un tuffo nei ricordi degli anni universitari. Restava solo l’esame di Storia contemporanea. Allora mi presentai dal professore Girolamo Cotroneo per la tesi. Pensavo di farla su Hegel; avevo già sostenuto l’esame sulla Fenomenologia dello Spirito, ma anche Kant sarebbe stato di mio gradimento avendo già dato Critica del Giudizio. Niente di tutto questo perché tanti studenti si stavano dedicando agli autori che io desideravo affrontare. Voleva cambiare, proponendomi un autore diverso. Il docente di Storia della Filosofia della Università degli Studi di Messina, che, qualche anno dopo, diventerà Presidente della Società Filosofica Italiana, mi propose Claude Lévi-Strauss. “Mah, chi è costui…”, pensai tra me e me. Quasi come don Abbondio de I Promessi Sposi; al posto di Carneade una frase irripetibile. Ciò nonostante, non volevo rinunciare alla Grande Firma (del professore Cotroneo). E così accettai. Ero un po’ spiazzato e in difficoltà. Ma vennero in soccorso due amici cari, dalle infinite curiosità intellettuali; mi diedero una primissima bibliografia, qualche rivista e un libro, tanto per iniziare. Il professore Francesco Vescio, allora animatore del Centro Servizi culturali, andò a spulciare nella vasta biblioteca e mi trovò le prime riviste: Aut aut e Quaderni di Sociologia. Il professore Antonio Milano mi diede Antropologia funzionale di Carlo Tullio-Altan (Ed. Bompiani), negli anni ’70 docente di antropologia culturale all’Università di Pavia. E cominciai a capirci qualcosa.

Fu un viatico importante. Poi le letture interminabili, consigliate da Cotroneo; i testi dello strutturalista d’Oltralpe che si occupava dei selvaggi: Le strutture elementari della parentela (Ed. Feltrinelli); Tristi Tropici, Il pensiero selvaggio, Il crudo e il cotto, Dal miele alle ceneri, Antropologia strutturale (tutti editi da Mondadori, Il Saggiatore); La vita sociale e familiare degli Indiani Nambikwara, Razza e storia e altri studi di antropologia, entrambi edizioni Einaudi. Tralascio le altre pubblicazioni di approfondimento, in gran numero, per evitare una elencazione noiosa. Leggevo e non scrivevo; era tutto interessante; i cosiddetti primitivi non venivano considerati inferiori dall’antropologo francese; avevano la loro regole, la loro cultura. Nuove interpretazioni del mondo, altri modelli, nuovi, originali e diversi da quelli studiati fino a quel momento.  C’era ancora tanto da apprendere e comprendere. Leggevo e non scrivevo; passavano le settimane, i mesi senza mettere nero su bianco; neanche una frase, un rigo della mia tesi. All’improvviso, dopo aver letto quasi tutta la bibliografia in mio possesso, cominciai a scrivere. La scrittura scorreva facile facile; completai la tesi alquanto corposa, 245 pagine, in pochissimo tempo. Apprezzamenti da parte del relatore per il lavoro svolto. Proprio allora capii com’è importane leggere per scrivere; sembra una frase fatta, scontata, forse lo è; ma allora mi resi conto dell’importanza della lettura prima di tutto. E ancora oggi, diventato anziano, continuo a leggere.

Spero che questa digressione spontanea, generata da Amarcord, possa far venire la voglia di leggere a chi trascura i libri, preferendo lo smartphone. In particolare consiglio ai giovani (ma anche agli adulti curiosi e agli anziani che non mollano) Razza e storia e altri studi di antropologia scritto dall’etnologo transalpino in occasione della Conferenza generale dell’Unesco (acronimo inglese: United Nation Educational, Scientific and Cultural Organization; in italiano: Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura). In origine, nel 1949, era un contributo per la Conferenza generale concernente la lotta contro i pregiudizi razziali; la prima edizione è del 1952, seguirono le altre. Non parla di razze ma di culture. Si ritiene la propria superiore alle altre e si sminuisce quella dei cosiddetti primitivi considerati barbari. In realtà siamo ingannati da un falso evoluzionismo, nel senso che riteniamo di essere più avanti, ma lo siamo dal punto di vista tecnologico (es. gli Indios e/o le tribù indigene dell’Amazzonia sono più progrediti di noi per ciò che concerne il rapporto con l’ambiente; restano indietro per quanto attiene alla tecnologia che però produce tanto inquinamento).

Per Lévi-Strauss “Il progresso procede a salti, a balzi, o, come direbbero i biologi, per mutazioni”. Per noi occidentali sviluppo si identifica, nella maggior parte dei casi, con progresso. Ma oggi abbiamo il riscontro che spesso provoca disastri, soprattutto ambientali; è sempre pronto a depredare l’ambiente con tecniche e strumenti sempre meno etici. Le popolazioni indigene ribaltano il rapporto uomo-natura così come viene considerato dagli occidentali. In Razza e Storia (ed. del 1962) l’antropologo francese parla di storia cumulativa e storia stazionaria: “Consideriamo così cumulativa ogni cultura che si sviluppasse in senso analogo al nostro (…) mentre le altre culture ci apparirebbero stazionarie (…) perché la loro linea di sviluppo non significa niente per noi”. Ma precisa che “il progresso possiamo trovarlo in ogni tipo di cultura (…) ogni storia è cumulativa con differenze di grado”. Viene puntualizzato meglio il concetto ne Il pensiero selvaggio: “…chiamiamo, per necessità, le società fredde e le società calde di cui le prime cercano (…) di annullare (…) l’effetto che i fattori storici potrebbero avere sul loro equilibrio e sulla loro continuità; le altre interiorizzano il divenire storico per farne il motore del loro sviluppo”. La nostra cultura occidentale si è incamminata nello sviluppismo che oggi non si fa scrupolo di fare scempio dell’Amazzonia, Il più grande polmone verde del Pianeta. A ciò si oppongono gli Indios, cosiddetti primitivi che dimostrano di avere una cultura più progredita della nostra che sembra a molti invece decadente. Oggi le ricerche etnografiche ed etnologiche di Lévi-Strauss possono essere di valido aiuto per un cambio di paradigma nel rapporto uomo-natura, considerati i guasti del neoliberismo.

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