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L’orso bianco era nero. Storia e leggenda della parola
Scritto da Lametino16 Pubblicato in Pino Gullà© RIPRODUZIONE RISERVATA
Canticchio alcuni versi in musica di Roberto Vecchioni; soltanto i primi versi: “Stanotte parto davvero/ con un vento leggero che mi soffia alle spalle”; Tratti dalla canzone: Il pianeta delle donne. Il motivo mi richiama a tanti anni fa in un momento di crisi esistenziale. Canto sottovoce mentre comincio a scrivere sul suo libro riguardante la linguistica anche se il poeta, cantante, scrittore, artista a tutto tondo dice che non lo è: “Questo libro ha a che fare con la linguistica come io assomiglio ad un orso bianco o se preferite nero” (seconda di copertina). Non ha intenzione di scrivere un corso di linguistica come quello di Ferdinand de Saussure. Vuole fare innamorare i lettori della parola; delle parole cantate e suonate in tanti studi di registrazioni, concerti e trasmissioni: “Sono i miei ottant’anni d’amore, raccolti da decine e decine di fogli sparsi qua e là nel tempo, stipati in bloc notes, schemi per lezioni, schiribizzi personali, letture sottolineate, ricerche notturne, confronti, domande infinite, scoperte mai immaginate da altri, un gioco famelico a sapere e chiarire, un’ubriacatura, di luci intermittenti, ipnotiche fatali, perché più ci entravo in quelle parole, più sentivo una fuga irrefrenabile a entrarvi, e capivo, e comprendevo a pieno “la vera” essenza di tutto, la corposità, la fisicità di quelli che pensiamo solo suoni e invece sono codici risolti perché perfette in noi si rivelino le emozioni, le commozioni nostre e degli altri, le parole sono un groviglio logico di foni, suoni che specchiano l’uomo. Questa era la mia felicità”.
Il passaggio da ominide a sapiens: “L’uomo è totalmente uomo quando impara ad <<astrarre>>, cioè a determinare e a riconoscere una cosa dentro e fuori di lui con un segno. È uomo quando nomina crea, battezza con un suono ciò che gli sta attorno, (…) perché prima del cuneiforme sumero abbiamo sì una valanga di segni incisi e graffiti parziali, mai traducibili in suoni. Dobbiamo attendere civiltà avanzate, come ad esempio il greco miceneo, ma pure altri dialetti altrove, per trovare un punto di partenza. (…) Noi sappiamo che gli indoeuropei, il ceppo da cui proveniamo, cominciavano già tra loro cinquemila anni prima di Cristo, quindi l’unico sistema per riagganciarli è procedere a ritroso; il che significa le somiglianze e poi tirare ad indovinare, perché ci sono due o tre millenni di buio tra ciò che è scritto e ciò che era solo orale. A complicare un po’ le cose tra baltico [del Nord Europa], vedico [lingua dei testi sacri dell’antica India], antico iraniano, pregreco, celtico [famiglia linguistica indoeuropea], esistono continui scambi di consonanti di cui bisogna trovare l’origine e il motivo. Continue alternanze di vocali e, ciliegina finale, prestiti da un altro ceppo diversissimo, quello semita. Mettere ordine in questo bailamme era indispensabile perché le differenze ricomposte fanno regola. Dagli e dagli ci riuscirono proprio gli Indiani (quelli dell’India) intuirono il rapporto tra fonetica e grammatica, studiarono gli organi di articolazione e il modo o la priorità di usarli secondo semplicità o complessità. Si poté quindi arrivare ad uno schema riassuntivo che comprende il sanscrito [lingua indoeuropea], il greco. Il latino, il gotico, l’antico germanico, l’armeno, l’antico slavo e rimanda probabilmente all’indoeuropeo (pp.10-11-12). August Schleicher: “Inventò un’evoluzione linguistica a forma di albero. (…) Johannes Schmidt vagheggiò la teoria delle <<onde>> e cioè che una lingua sovrasta un’altra come ogni onda quella precedente. Eppure, ben un secolo prima qualcuno aveva trovato la strada. Nel 1786 William Jones della East India Compay lesse alla Royal Society di Calcutta un suo saggio in cui stabiliva che tutto discendesse dalla lingua sanscrita progenitrice del Greco e del Latino. (…) Aveva scoperto che il sanscrito, più recente, discendeva inalterato dal vedico e dall’antico indiano” (22-23). Non può fare a meno di citare lo strutturalista Ferdinand de Saussure: “La rivoluzione più tosta di [Ferdinand] de Saussure è quella di aver definito <<langue>> e <<parole>>. Mica come pensiamo noi. La <<langue>> è la molteplicità, termini verbali, nominali ecc.
In possesso di una comunità (con tanto di regole grammaticali e sintattiche; la <<parole>> è l’uso, la realizzazione comunicante di quel patrimonio”. Importante l’incontro con Chomsky: “Non è un linguista, solo un linguista, è un pensatore universale delle capacità umane, filosofo, politico, scienziato, libertario, ribelle alle politiche del suo Paese, ribelle al controllo che il potere può esercitare sugli individui, (…) perché l’uomo inventa, continuamente inventa adattandosi e questo porta all’inevitabile constatazione di una <<grammatica generativa>>. La <<grammatica generativa>> investe temi di complessità infinita, ma il suo fondamento sta nella libertà e nella creatività in una visione scettica delle comuni grammatiche <<descrittive>>. (…) Grammatica e sintassi sono innate nell’essere umano seppure espresse in diverso modo. (…) Il compito della grammatica generativa è quello di arrivare ad una grammatica universale partendo dalle conoscenze innate di ogni cultura (singoli parlanti e gruppi). Ciò deriva dalla certezza che l’essere umano abbia capacità finite, ma anche inesplorate, di esprimere il pensiero. La grammatica generativa cerca il nuovo e al contempo il <<simile>>, non il diverso. (…) Attraverso l’unificazione grammaticale, s’intravede lo scopo finale dell’identificazione esistenziale, cioè amarci e capirci tutti quanti. È una strada lunghissima che Chomsky incanala in quelle che egli chiama <<competenze>> per comunicare (interne alla mente, inconsce, individuali e innate). È andato oltre il compito della linguistica in sé. La lingua è il mezzo più alto più accreditato più indispensabile per arrivare al centro dell’uomo, la strada maestra per un umanesimo universale.” (p.34). La parola comincia a viaggiare attraverso la Filosofia con Platone allievo di Socrate che smontava pezzo per pezzo le tesi dei suoi interlocutori <<lasciandoli nudi nella più beata ignoranza>>. <<So di non sapere rispondeva>>. Il filosofo era riuscito a fondare l’<<accademia>>, un club esclusivo. Schemi, riassunti di una vita in cattedra sono riportati in corsivo nella seconda parte del libro e stampati; rappresentano 50 anni d’insegnamento.