Calabria: Economia e società nelle colonie italiote

Scritto da  Pubblicato in Francesco Vescio

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francesco_vescio.jpgLa fisionomia della regione mutò radicalmente dal punto di vista antropico dall’VIII al VI secolo a.C., lungo le coste dello Ionio prima e del Tirreno dopo furono edificate numerose città (pòleis), che erano indipendenti tra di loro e dalle rispettive madrepatrie (metropòleis), con le quali mantenevano, comunque, dei profondi legami: lingua, costumi, religione etc. Reggio, Locri, Crotone, Sibari erano le più importanti e dopo il primo insediamento esse ne fondarono altre sia sulle coste ioniche sia su quelle tirreniche (definite dagli studiosi: sub-colonie o colonie secondarie). Lao, Temesa, Terina, Hipponio (l’attuale Vibo Valentia) Medma e così via. I primi insediamenti furono realizzati dove c’erano possibilità di attracco per le navi, territori edificabili e coltivabili. La popolazione indigena era costituita principalmente da pastori, agricoltori e pochi artigiani, che sapevano lavorare i metalli e utilizzare l’argilla; le abitazioni erano costruite per lo più con il legno e il commercio era limitato a forme di baratto, a grandi linee gli studiosi, utilizzando fonti letterarie e osservando i manufatti, ritrovati per lo più nelle necropoli, hanno delineato tale quadro sulla vita materiale degli abitanti autoctoni della regione al tempo dell’arrivo dei primi coloni ellenici (àpoikoi). Gli storici hanno sostenuto tesi diverse sui rapporti tra indigeni e colonizzatori, per alcuni essi furono pacifici e reciprocamente vantaggiosi, per altri furono conflittuali e sfavorevoli per gli indigeni (Enotri, Itali nella zona sud della regione, Choni in quella nord e altri); in questa sede si riportano due esempi, che confermerebbero entrambe le opinioni degli studiosi:

Sibari avrebbe ammesso nella città gli indigeni ellenizzati, i Locresi, all’incontrario, prima avrebbero stipulato un accordo con i Siculi secondo cui avrebbero abitato nella stessa zona, ma poi li avrebbero scacciati con la forza, costringendoli a ritirarsi nelle zone montuose. Certo è che lungo le coste gli Italioti ebbero il sopravvento; gli indigeni o si ellenizzarono oppure si ritirarono sulle zone montane, emigrando, quando le circostanze lo imponevano, dalle zone meridionali della regione in quelle più settentrionali. Le città italiote, nel tempo, ebbero una notevole espansione territoriale che concerneva sia la zona urbana vera e propria con le sue strade, piazze, mercati, templi, edifici pubblici, porto sia la campagna con colture differenziate: orti, seminativi, arboricoltura, pascoli, boschi e foreste per il legname. Si trattava di centri urbani di ampie dimensioni, dove si svolgevano funzioni complesse: politiche, amministrative, commerciali, religiose, culturali, sportive; a tale proposito si può ricordare la scuola di medicina di Crotone, conosciuta in tutta l’area ellenizzata del Mediterraneo e la scuola pitagorica della stessa città, molto nota pure ai nostri giorni. Altre città italiote della regione sono rimaste molto conosciute nella tradizione per alcune loro caratteristiche o costumi; si può ricordare, a tale proposito, Locri per la prostituzione sacra o Sibari per la vita lussuriosa e lussuosa degli abitanti più ricchi. La vita nelle pòleis (città-stato) della regione aveva due aspetti fondamentali: uno a livello individuale riguardava la proprietà e, quindi la famiglia, il sistema successorio e l’appartenenza a un gruppo che potesse aiutare in caso di necessità e le attività da svolgere per guadagnarsi da vivere; l’altro, a livello collettivo, concerneva l’amministrazione della cosa pubblica, con le sue assemblea, i suoi consigli, ed i diversi magistrati, che dovevano deliberare sulle opere pubbliche e la loro ordinata manutenzione, sugli accordi con le altre pòleis della regione o al di fuori di essa, sulla pace e sulla guerra con esse. Sull’argomento si sono dati solo degli spunti, brevi ma indicativi di tematiche riguardanti il nostro passato, che,forse, varrebbe la pena approfondire.

 

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