I vitigni autoctoni promossi a Saracena

Scritto da  Pubblicato in Gianfranco Manfredi

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In Calabria è stata presentata domenica scorsa a Saracena la guida Vinibuoni d’Italia, edita dal Touring Club. Ma perché proprio lì?  Il motivo è semplice. Perchè Saracena, piccolo antico borgo tra le falde del Pollino e la catena costiera, è una meta ideale per gli amanti del mondo del vino per via del rinomato Moscato  o Moscatello di Saracena, vitigno autoctono coltivato esclusivamente in quest’area la cui storia ha affascinato appassionati ed esperti. Sto parlando di una delle guide più originali del panorama enologico, la guida Vinibuoni d’Italia. E’ l’ unica – nel panorama italiano e internazionale –  dedicata esclusivamente ai vini da vitigni autoctoni, cioè a quei vini prodotti al 100% da vitigni che sono presenti in loco da oltre 300 anni.

Ispirata alla tradizione enologica italiana e volta a valorizzare le radici locali, il territorio e la tipicità, Vinibuoni d’Italia dà un segnale preciso, ed anche una salutare scossa, ai consumatori e al mercato italiano ed estero. Qualifica il made in Italy del vino con tutto il suo ricco patrimonio di qualità e diversità.

Organizzata dall'Amministrazione Comunale, dall'Associazione produttori del Moscato, in partnership con Vinocalabrese.it, il portale web ideato e curato dall’esperto Giovanni Gagliardi (uno blogger dinamico quanto appassionato), l’iniziativa si è tenuta nella sala del Consiglio Comunale. All'evento hanno partecipato Umberto GAMBINO, curatore per la Calabria della guida, Linda NANO (Slowfood) responsabile comunicazione della guida, Luigi VIOLA presidente associazione produttori Moscato Saracena, Antonio SCHIAVELLI del distretto agroalimentare di qualità di Sibari,il Sindaco Mario Albino GAGLIARDI, l'On. Mimmo PAPPATERRA, presidente dell'Ente Parco Nazionale del Pollino e finanche chi firma questa rubrica.

Sono oltre 4.500 i vini recensiti dalla Guida e alcuni sono stati riconosciuti meritevoli di riconoscimenti particolari. Ben 278 vini hanno ottenuto la Corona (massimo riconoscimento per i vini top dell’eccellenza);  230 vini  hanno ottenuto la Golden Star (“medaglia d’argento” per eleganza, finezza, equilibrio, qualità e precisa espressione del varietale e del territorio); e 296 vini sono stati classificati “da non perdere” ( di particolare pregio, hanno un’apposita sezione della Guida).

Ai miei (pochissimi) lettori del Lametino rivelo subito che nessuna delle nostre aziende del territorio è presente in questa edizione della Guida del Touring. Non hanno mandato i campioni per farli valutare? O, addirittura, sono stati esclusi? Non è dato saperlo. Certo in passato, in edizioni precedenti, la Guida Vinibuoni d’Italia aveva valutato anche discretamente alcuni vini lametini. Qualcosa è deve’essere capitata per determinare il blackout…

Certo in Calabria la carta di vitigni autoctoni – secondo il mio modesto avviso –  è ancora tutta da giocare e può risultare vincente. Magliocco dolce e canino, arvino, guarnaccia, marcigliana, nera di Scilla. E poi, Corinto nero, negrello campoto, nerello di Savelli. Gruppi di “famiglie”, come il vasto parentato dei Nocera e dei “cugini” del sangiovese. Ma anche soggetti a sé stanti come il castiglione o il tundulillo bianco. Sembra infinito il patrimonio dei vitigni antichi che si sta scoprendo in Calabria. E’ un giacimento straordinariamente ricco, come in pochi altri posti al mondo, a quanto pare.

Non si tratta solo di scelte autonome dei produttori. Con la riscoperta e la rivalutazione degli autoctoni si segna la voglia anche dei consumatori di reagire all’omologazione del gusto, di contrastare un appiattimento che rischia di cancellare le differenze, quella biodiversità che anche nella viticoltura è la chance decisiva per terre come la Calabria. Autoctono significa, indigeno, generato, insomma, dalla stessa terra. In Calabria il vitigno locale e tradizionale per eccellenza è il gaglioppo, la varietá rossa che è alla base del Cirò, del nostro Lamezia, del Melissa e di altri rossi e rosati diffusi. Produce un vino dai tannini a volte un po’ duri, ma in compenso ha una complessitá aromatica che lo rendono affascinante, unico. Fu proprio il patrimonio tannico a far preferire quest’uva rispetto ad altre nella selezione della storia   perché proprio questi tannini conferivano al vino la capacitá di conservarsi nel tempo ed essere, oltre che  un alimento, anche un mezzo di scambio a tutti gli effetti.

Ora oltre al gaglioppo negli ultimi anni si sta riscoprendo, valorizzando e a riproponendo il magliocco, sia nella tipologia “dolce” sia in quella “canina”, varietà entrambe “povere”, un tempo utilizzate per vini da taglio. E sul magliocco dolce (con un’aggiunta di aglianico) fonda principalmente il suo appeal intrigante un rosso straordinario che propongo di stappare per  il rituale brindisi di questa rubrica. E’ l’Èlaphe dei Poderi Marini di San Demetrio Corone, un vino che ho apprezzato molto nell’annata 2008 e che proprio in questi giorni sta per uscire in bottiglia col 2009. Sgorga da vigneti molto belli, che ricoprono ordinati, degradando verso la piana di Sibari e il mar Jonio, una collina prospiciente il borgo antico di San Demetrio Corone, “capitale” della cultura arbrëshë e culla dei Marini, un casato di intellettuali, patrioti e politici  ma anche di imprenditori agricoli illuminati.

L’Èlaphe e gli altri vini dell’azienda sono creature di Maria Paola Marini e del fratello Salvatore. In abito scuro, con un’etichetta che riprende motivi dei mosaici della chiesa bizantina di Sant’Adriano, è un rosso vivo ma concentrato che nel calice si fa subito sentire con una notevole, personalissima, ricchezza di effluvi. Si avvertono frutti rossi selvatici, liquirizia e spezie delicate. Sull’ultimo numero della rivista Bibenda è stato valutato col massimo punteggio (90/100) tra 12 selezionate etichette della provincia di Cosenza. E’ un vino non-palestrato, elegante, che viene vinificato in acciaio e poi matura per quattro mesi in barrique. E’ magnifico accompagnarlo con arrosti o formaggi semistagionati. In enoteca l’Èlaphe si trova a 13-14 euro.

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