Campagna elettorale tra microvoto e personalizzazione

Scritto da  Pubblicato in Pino Gullà

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pino_gulla.jpgCi hanno regalato dei libri. Subito spacchettati, abbiamo iniziato a leggere. Quasi completato il primo: “la democrazia del leader” di Mauro Calise, docente di Scienze politiche all’Università Federico II di Napoli. Un autore che conosciamo. Tanto è vero che leggendo  il settimo capitolo dell’attuale pubblicazione, ci siamo ricordati di “Fuorigioco”, la precedente ricerca uscita in libreria nel 2013. Nell’edizione più recente si approfondisce quanto già affrontato prima: il microvoto. Argomento di  ritornante attualità in prossimità delle ormai imminente tornata elettorale amministrativa parziale. Elezioni alle quali sembra si dia scarsa importanza da parte di Renzi, tutto preso dal referendum ottobrino su cui ha scommesso la sua futura carriera politica. Eppure per l’appuntamento con l’urna dei primi giorni di giugno non sono mancate le fibrillazioni tra partiti, movimenti, schieramenti, pure all’interno degli stessi.

La campagna elettorale per l’elezione diretta del sindaco a cui ci si appresta a breve si è allontanata dal bipartitismo  e si è persa in una frammentazione interna non solo nei movimenti nuovi ma anche in quelli tradizionali, con modalità diverse a seconda delle varie località. Interventi della magistratura sull’operato delle amministrazioni, vizi formali riguardanti la corretta presentazione delle liste, polemiche  a non finire tra i rappresentanti delle formazioni politiche in  competizione hanno determinato tale stato di cose. A pochi giorni dall’apertura dei seggi, ci sembra opportuno tenerci nel merito, almeno di alcune questioni. Speriamo che l’elettorato non sia rimasto frastornato dalla lotta verbale tra gli aspiranti sindaci e non si nasconda, per l’ennesima volta, dietro l’astensionismo; allo stesso modo auspichiamo che non prevalgano, specialmente dalle nostre parti,  le ragioni degli interessi legati ai pacchetti di voti che la legge elettorale maggioritaria degli enti locali avrebbe dovuto spazzare via. Quanto appena detto è un limite pernicioso della nostra  democrazia, diffuso a mo’ di metastasi  nel Mezzogiorno, “dove è radicata la cultura del microvoto” che  ha spiazzato il partito, ancora di più con la personalizzazione dei candidati. Calise in “Fuorigioco” e ne “La democrazia del leader” non fa sconti a nessuno quando le reti clientelari scivolano facilmente nella corruzione  e le indagini non risparmiano  eletti di alcuni schieramenti, come le inchieste della magistratura dimostrano.

A volte, però, le reti personali non  violano la legge: i microvoti vengono indirizzati verso quel candidato che ha operato bene o che ha amministrato in funzione di fondi europei o di progetti, privilegiando in maniera legittima alcuni settori o portando lavoro nella vasta area dei disoccupati. In ogni caso si tratta sempre più di personalizzazione e sempre meno di organizzazione politica. Insomma il partito sta progressivamente scomparendo, mentre permane l’importanza del microvoto al quale il candidato deve rivolgersi. Mauro Calise parla chiaramente di “raccolta del consenso micronotabiliare”. Secondo il docente risulta quasi assente l’attività quotidiana del partito come soggetto collettivo che ormai si mobilita, per lo più, soltanto in occasione dell’appuntamento con l’urna. Comunque, anche durante le campagne elettorali diventano protagoniste “le reti fiduciarie dei singoli candidati”. In tale situazione, venendo a mancare il ruolo del partito come  coordinatore  tra centro e periferia, i candidati eletti si troveranno stretti tra esigenze del governo centrale e le “insidie dei micronotabili”.

Diventerebbe un problema  unire sinergicamente centro e periferia. Ed ecco i possibili rimedi di Calise: “Nell’epoca della democrazia del leader, tenere insieme centro e periferia rischia di diventare una mission impossibile. A meno di non mutare la prospettiva, le categorie con le quali rappresentiamo l’unità del Paese. E adattarci ad una visone neo-feudale e, al tempo stesso, neo-imperiale, in cui il punto di equilibrio e di tenuta tra i diversi territori dipende dalla loro capacità di esprimere leadership efficaci”. Avremo in tal modo “una repubblica di capi”. Tra “neo-feudale”, “neo-imperiale” e “repubblica dei capi”, ci sembra di vedere un ossimoro strisciante, se non, addirittura, una contraddizione lampante. Per adesso dovremmo cercare di scegliere leadership efficaci al centro e in periferia per fare uscire l’Italia dalla crisi attraverso la buona politica e la corretta amministrazione. Poi pensiamo al referendum costituzionale. Quindi alle riforme già votate dal Parlamento di cui già Renzi ha  detto “non perfette”. Di conseguenza perfettibili.

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