Caterina, i Dendronauti, l’oracolo del Pollino

Scritto da  Pubblicato in Francesco Bevilacqua

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francesco-bevilacqua-foto-blog-nuova.jpgNon li aveva mai visti, Caterina, quei guerrieri catafratti che svettano sulle alte cime del Pollino. Laddove nessun’altro albero osa contendere loro il terreno. Non aveva mai guardato le radici serpiformi, i tronchi possenti, le cortecce a mosaico, i rami protesi verso il cielo come membra di oranti. Caterina l’avverte come una mancanza, troppo acuta per un errante. Perciò, nel giorno del suo compleanno, va a rifugiarsi nel Macondo del Pollino: San Lorenzo Bellizzi, il paese dei “Cento anni di solitudine” di Garcia Marquez. A dormire in una vecchia casa di pietre amorevolmente restaurata. Nel luogo dove bellezza, accoglienza, spazio, tempo, silenzio sono i soli lussi che questa piccola comunità di eremiti può offrire. Camera con vista sulla “Jacca ‘i Varrili”, l’immane colpo di scure che dà vita alla Gola di Barile, separando Timpa di San Lorenzo da Timpa di Porace e Timpa di Cassano. E da lassù, Caterina lancia trepidi richiami agli altri erranti sparsi per il mondo. Da buon junghiano, non lascio mai cadere richiami, occasioni, coincidenze. E così, mi offro di accompagnare io l’adepta del nostro ordine pedestre, in questo rito oracolare. Da quei guerrieri mitici si va come gli antichi greci al Santuario di Delfi: per ricevere vaticini, divinazioni, illuminazioni. Al mattino presto siamo accerchiati fra le gigantesche forme telluriche dell’alta valle del Raganello. Se posso, salgo sempre da qui al nostro santuario, non per la via normale. E’ l’antico sentiero di Casino Toscano, cui si giunge da Civita o da San Lorenzo per una via molto malmessa. In pochi vengono qui. Benché questa valle remota sia ancora abitata dagli eroici epigoni dell’antica civiltà contadina del Pollino. Ne incontriamo uno, con un gregge di capre e pecore e quattro grossi cani pastore. Vive in una masseria dove siamo già stati a comprare del formaggio dalle mani della vecchia madre, che pare uscita da un mito omerico. Tutto è avvolto in una nebbia spettrale. Ma la nebbia è esattamente ciò che il mio cuore desiderava. Perché errare nella nebbia è un privilegio indicibile.

E’ come specchiarsi nell’abisso indistinguibile del proprio animo. Dove tutto è velato e indecifrabile e misterioso e onirico. L’autunno precoce ha già colorato i faggi e gli aceri. Resistono ancora gli ontani, i cerri, i pioppi. Il terreno nel bosco è un micro paesaggio. Con le foglie, l’erba, i funghi, i frutti, i rami, l’humus, la rugiada. Ragioniamo di una frase di Nietzsche suggerita da un’amica. Nietzsche osserva come nel dono altruistico, il donatore attinge a un suo desiderio prima ancora che a un bisogno dell’altro. Lo stesso concetto che aveva espresso già Max Stirner, al quale – secondo prove documentate – Nietzsche si ispirò. E mi sovviene anche un episodio del viaggio in Italia di Goethe. Nel percorrere da solo in carrozza un’ardita strada che scendeva verso il Lago di Garda, il poeta ordinò al vetturino di fermarsi. Scese e sostò a lungo ad osservare il paesaggio magnifico. Il vetturino, sentendolo singhiozzare, gli chiese cosa fosse successo. Goethe rispose: “piango perché non ho un amico con cui condividere tutta questa bellezza”. Bene, oggi è come se vedessi per la prima volta i luoghi, nonostante sia venuto qui decine di volte. Perché li osservo con gli occhi di Caterina. Perché faccio mio il suo stupore. Perché sono lieto di avere accanto i miei amici. Al limite superiore dei faggi, un cartello indica le gelide sorgenti del Raganello. Gli ultimi faggi salutano nei loro colori infuocati. Poi, oltre il limite della vegetazione arborea, l’orlo della Grande Porta del Pollino. La nebbia nasconde la vista dei piani che fece dire un giorno, ad una giovane straniera che portai con me: “Ma questo è … il luogo più bello che abbia mai visto!” Entriamo fra i guerrieri di Serretta della Porticella. Sono alberi certo. Ma non comuni. Pini loricati li chiamano. “Pioche” in dialetto locale. Quassù, attorno ai duemila metri di quota nessun altro albero sarebbe capace di vivere. Anche loro sono eremiti. Vivono in rade comunità di giganti millenari. Non recano altra arma se non la loro magia oracolare, la loro deità incarnata. La nebbia è la loro atmosfera, il velo attraverso cui traspare l’essenza soprannaturale. Caterina è giunta a Delfi. I dendronauti – che appena una settimana fa erano al cospetto dei giganti di Acatti e di Afreni in Aspromonte – ora la scortano sino all’oracolo del Pollino. Che divina il suo misterioso vaticinio per l’errante giunta sino a lui.

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