Elogio dell'imperfezione e della speranza

Scritto da  Pubblicato in Francesco Bevilacqua

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francesco-bevilacqua-foto-blog-nuova_a2f0e.jpgUomini e donne privi di codice a barre percorrono il vecchio sentiero per la Pietra di Momo, a Davoli, sul margine orientale delle Serre di Calabria. L’autorità per la sicurezza e l’omologazione ancora li cerca per tatuarli con il codice. Gli altri, quelli già tatuati, dormono beati – e perfetti - nei loro letti, pronti a vivere una giornata da leoni nel centro commerciale più vicino. Solo degli imperfetti (locali) hanno potuto ripulire questo antico transito. E portarci oggi una settantina di persone – sempre imperfette - provenienti da luoghi diversi. “Cosa mai cercheranno?” Si chiede un contadino superstite – anch’egli imperfetto - che li vede sfilare silenziosi. “Qualcuno dovrà pur pagarli per questa inutile fatica!” Tutti imperfetti in quanto non omologati. Imperfetti perché privi di codice a barre. Imperfetti perché aventi memoria. Il corteo degli imperfetti penetra la giungla di querce, aceri, ornielli, ginestre, corbezzoli. A mezza costa, sulla pendice idrografica in sinistra delle Gole dell’Alaco. Attraversa terreni scoscesi, reinvasi dalla vegetazione spontanea, ma un tempo interamente terrazzati e coltivati: orti, castagneti, frutteti, pascoli. Un pallido sole illumina il cielo. Il coro delle fronde autunnali intona una musica misteriosa. Gl’imperfetti guadano ruscelli, risalgono rampe scavate nella nuda pietra, ammirano enormi castagni barbuti, sfiorano case di pietra lillipuziane. Sino ai grandi massi di granito semisommersi dagli alberi. Su un ripido costone che cala nel fondovalle. È lì la Pietra di Momo, un triedro puntuto, ancora visibile da lontano, nonostante la ricrescita della vegetazione. Un iconema, lo definirebbe Eugenio Turri: un segno distintivo dei luoghi che orientava i transiti di contadini, pastori, carbonai, boscaioli, mulattieri. Momo era un brigante che combatté contro gli invasori francesi ai primi dell’800. Qui era il suo rifugio. Ed anche il punto da cui fuggire verso i monti dell’interno o da cui scendere a valle per le sortite. Gli imperfetti calano sull’Alaco, per ammirare una doppia cascata. Nel cuore pulsante delle gole, dove oggi non è più possibile procedere lungo il greto. Più a monte, i perfetti hanno realizzato dapprima un lago artificiale, nella conca della Lacina, che avrebbe dovuto dissetare i paesi delle Serre e invece li ha avvelenati. E poi hanno trafitto i monti con decine di mostruose pale eoliche che servono solo a chi ce le ha messe. I perfetti stanno sempre dalla parte dello “sviluppo”. Gl’imperfetti si illudono invece che la felicità sia più importante dello sviluppo. E che sobrietà e parsimonia debbano prevalere su avidità e ingordigia. Il temporale trova gl’imperfetti a ripararsi nel piccolo rifugio nella faggeta, restaurato dai giovani e dagli anziani di Davoli. A rifocillarsi con cibo antico. Una lunga pioggia lustrale strina le fronde dei faggi e dei pini. Gl’imperfetti si raccolgono, allora, nella piccola chiesa sconsacrata. Che però non ha affatto perso la sua sacralità. E lì, mentre gli altri, i perfetti, affollano i centri commerciali sulla costa, sbavano dinanzi ai televisori, stravedono per gli algidi eroi del calcio e dello spettacolo, nella chiesa si consuma un piccolo rito. Gl’imperfetti chiedono se c’è speranza. Ed io rispondo con le parole di Octavian Paler. “A cosa serve il poeta, in tempo di siccità? Per cantare le piogge proprio allora, quando di esse abbiamo maggiore bisogno, quando ci mancano e le desideriamo, quando brucia il sole e le mani profumano d’incertezza, quando gli alberi di sabbia crollano al minimo soffio, quando i ricordi hanno il gusto dell’errore e la speranza è una parola difficile e colui che canta le piogge rischia di essere disprezzato e colpito anche con pietre, perseguito dagli dei e dagli uomini per la sua follia e il suo coraggio che cantano e piogge, che cantano i torrenti, quando gli uomini alzano le braccia e restano nell’aria crocifissi, come sulla collina del Golgota”.

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