I calabresi e l’Unità d’Italia: plebiscito ed elezioni parlamentari.

Scritto da  Pubblicato in Francesco Vescio

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Nel presente scritto si esamineranno gli aspetti più rilevanti che riguardarono l’atteggiamento dei Calabresi di fronte al mutamento dinastico dai Borboni ai Savoia ed, in particolare, alle scelte elettorali che nella regione furono abbastanza diversificate tra tendenze: democratiche, moderate e conservatrici. Inizialmente si darà conto, in forma sintetica, delle dinamiche politiche e diplomatiche a livello nazionale ed europeo, che favorirono le forze tendenti all’Unità in modi non sempre ben delineati.  Questo stato di cose molto incerto è chiaramente enunciato nel passo seguente: “ Il 28 [ Luglio 1860, N.d.R. ] la guarnigione di Messina, obbedendo agli ordini ricevuti da Napoli, si ritrasse nei castelli e lasciò che i garibaldini s’impadronissero della città. Ormai tutta l’isola era libera, e i borboni stavano per essere assaliti anche sulla terraferma. Questi straordinari avvenimenti commossero tutta l’Europa, e la diplomazia si mostrò molto severa col gabinetto di Torino; ma per fortuna le gelosie che dividevano le Potenze impedirono l’intervento straniero. L’Austria si limitò a fare acerbe lagnanze coi governi di Parigi e di Londra, la Russia a dolersi che la sua posizione geografica le impedisse di accorrere in difesa del Borbone, e la Prussia a protestare contro le ambizioni demagogiche di Vittorio Emanuele. L’Inghilterra ebbe per un istante il sospetto, avvalorato dalle voci diffuse dai mazziniani in odio al Cavour, che la futura unione delle Due Sicilie potesse costare l’abbandono della Liguria o della Sardegna alla Francia; ma, rassicurata tosto dal governo piemontese, abbandonò i Borboni alla loro sorte. A sua volta Napoleone III si restrinse a qualche molto platonica protesta, cui il Cavour rispose facendo notare che la Casa di Savoia, nell’interesse proprio e dell’Europa, doveva rimanere alla testa della rivoluzione per dominarla” ( Francesco Lemmi, Storia d’Italia fino all’Unità, Sansoni, Firenze, 1965, p.591).

Queste sottili ma decisive connessioni tra contesto storico europeo ed iniziative militari intraprese nel territorio italiano, da Garibaldi nel Regno delle Due Sicilie e da lui stesso nelle Marche e nell’Umbria, che appartenevano allo Stato Pontificio, erano ben presenti a Vittorio Emanuele II, futuro Re d’Italia, per come esplicitato nel brano successivo:  “Inoltre il Re stesso, recatosi ad Ancona e preso il comando dell’esercito, passò il 13 ottobre la frontiera napoletana dopo aver spiegato ai popoli delle Due Sicilie, con un eloquente proclama le ragioni del suo intervento: << Io ho proclamato l’Italia degli Italiani e non permetterò mai che l’Italia diventi il nido delle sette cosmopolite che vi si raccolgono a tramare i disegni della reazione o della demagogia universale … Le mie truppe si avanzano tra voi per raffermare l’ordine: io non vengo ad imporvi la mia volontà,  ma a far rispettare la vostra… In Europa la mia politica non sarà forse inutile a riconciliare il progresso dei popoli con la stabilità della monarchia. In Italia so che chiudo l’èra delle rivoluzioni >>” (Francesco Lemmi, op.cit., Firenze, 1965, p.596).  Per quanto concerne le vicende calabresi dell’Impresa dei Mille si ritiene opportuno riportare il racconto fattone dallo stesso Garibaldi fino al suo ingresso nella capitale del Regno delle Due Sicilie: “ La nostra marcia lungo le Calabrie, fu un vero, e splendido trionfo, progredendo celeremente tra marziali e fervidissime popolazioni; una gran parte di loro in armi, contro l’oppressore borbonico. A Soveria mise abbasso le armi la divisione Vial, forte di circa ottomila uomini, dandoci un materiale immenso, in cannoni, moschetti e munizioni. La brigata Caldarelli, capitolò colla colonna calabrese di Morelli a Cosenza. Infine dopo una corsa celere di pochi giorni da Reggio a Napoli, precedendo sempre le mie colonne che non potevan raggiungermi, ad onta di marce forzate, io giunsi nella bella Partenope. L’ingresso nella grande capitale ha più del portento, che della realtà. Accompagnato da pochi ajutanti, io passai frammezzo alle truppe borboniche, ancor padrone, e mi presentavano l’armi, con ossequio più rispettoso certamente , che non lo facevano in quei tempi ai loro generali. Il 7 settembre 1860! E chi dei figli di Partenope, non ricorderà il gloriosissimo giorno? Il 7 settembre cadeva l’abborrita dinastia, che un grande statista inglese avea chiamato <<Maledizione di Dio!>> [ Pare opportuno riportare la nota n. 39, che spiega chi fosse lo statista citato: ‘William Eward Gladstone, dopo avere visitato le prigioni borboniche, nel 1851 definì il governo di Napoli << la negazione di Dio eretta a sistema>>’, N.d.R.] e sorgeva sulle sue ruine la sovranità del popolo, che una sventurata fatalità fa sempre poco duratura” (Giuseppe Garibaldi, Memorie, Rizzoli, Milano, 1982, pp. 282-283). Nella regione non ci fu un unanime consenso nei confronti del cambiamento dinastico e l’opposizione si manifestò in modi analoghi a quelli esplicitati per la provincia di Catanzaro nel brano successivo: “ L’atteggiamento filoborbonico ed antisabaudo del clero catanzarese ebbe modo di manifestarsi fin dall’inizio del moto insurrezionale liberale e in questa prima fase, prevalentemente, fu orientato verso una sempre più capillare attività di diffusione di << voci allarmanti>> , <<discorsi tenuti in luogo pubblico>>, affissione di << cartelli sediziosi>> tendenti a << spargere il malcontento contro il Governo attuale>>, << ingiurie contro la Sacra Persona Reale>>, << cospirazione avente per oggetto di distruggere e cambiare la forma del novello Governo di Garibaldi e di Vittorio Emanuele>>, << lesa maestà con inalberazione di bandiera bianca>> (così suonavano  le imputazioni in sede istruttoria)” (Antonio Carvello, La Società Catanzarese nella Crisi dell’Unificazione: il Clero nel 1860-61, in ‘ Deputazione di Storia Patria per la Calabria, Aspetti e Problemi di Storia Calabrese nell’Età Contemporanea- Atti del I Convegno di Studio  – Reggio Calabria – 1-4 novembre 1975’, Editori Meridionali Riuniti, Napoli, 1977, p.113).

Per dare conto dei risultati del  Plebiscito e quello delle elezioni parlamentari si riporta il testo successivo: “Il biennio 1860-61 fu per i calabresi particolarmente denso di avvenimenti: il passaggio di Garibaldi; il plebiscito dell’autunno del ’60; le elezioni generali per l’ VIII legislatura, tenutesi nel gennaio del ’61. L’ indicazione unitaria del plebiscito, celebrato il 21 ottobre del ’60, non fu così vistosa e spontanea come le cifre potrebbero indurre a credere. Si sa quanto poterono minacce ed intimidazioni, messe in opera dai governi delle tre province. Si sa anche che un sotterraneo malcontento serpeggiava e, in una consultazione veramente libera, avrebbe avuto modo di esprimersi più massicciamente. Il risultato fu, in ogni modo, il seguente: Calabria Ultra I: 66905 sì, 429 no; Calabria Ultra II: 78881 sì, 615 no; Calabria Citra: 108887 sì, 6 no [ La corrispondenza con le Province attuali è la seguente: Reggio Calabria- Catanzaro, Crotone e Vibo Valentia- Cosenza, N.d.R.]. Il malcontento era alimentato dal partito borbonico che andava ricostituendosi, strumentalizzando le repentine delusioni seguite alla formazione dei governi garibaldini. Un’altra forma di opposizione trovava incentivo alle aspre contese municipali, nelle quali la borghesia terriera aveva spesso a che fare con una fronda piccoloborghese, professionistica ed intellettuale, che non sempre riusciva a controllare. Ma andava del pari accentuandosi la dialettica interna alla stessa ‘’leadership’’ liberale: si pensi al violento contrasto scoppiato tra il governatore generale di Calabria Citra ed il ministro di Grazia e Giustizia circa il trattamento da riservare ai funzionari ed impiegati borbonici. del resto in massima parte sollecitamente allineatisi e adeguatisi al nuovo corso […] Tutto ciò alimenterà le lunghe polemiche contro le consorterie cavouriane, che vedranno impegnati, per tutto il decennio ’60, i maggiori esponenti della democrazia calabrese. Le elezioni del gennaio del  ’61 portarono in parlamento a Cosenza 6 moderati (…) e 4 democratici…; a Catanzaro 6 moderati… e 2 democratici (…); a Reggio 5 moderati (…) e 2 democratici (…)” (Francesco Volpe, La Calabria nell’Età Liberale, In ‘Storia della Calabria Moderna e Contemporanea – Il Lungo Periodo', a cura di Augusto Placanica, Gangemi Editore, Roma –Reggio Cal., 1992, p. 592.). I risultati sopra riportati indicano con chiarezza la prevalenza netta dei moderati, va evidenziato che gli elettori erano esclusivamente: maschi alfabeti che avessero compiuto i 25 anni e superassero un certo censo, in altri termini solo i benestanti.

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