In onore di Dante la lettera apostolica di Papa Francesco

Scritto da  Pubblicato in Pino Gullà

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Nella stessa ricorrenza Bergoglio ha voluto onorare la memoria del Divino Poeta. Per chi ha voglia di leggere, la lettera, in nove punti, si trova su Google tradotta in sette lingue compreso il latino. Ne Le parole dei Pontefici Romani dell’ultimo secolo su Dante Alighieri Bergoglio ricorda Benedetto XV che il 1921 celebrò l’anniversario con l’enciclica In praeclara summorum: “Nell’illustre schiera dei grandi personaggi (…) occupa un posto assolutamente particolare Dante Alighieri, della cui morte si celebrerà tra poco il sesto centenario. (…) Quindi, come al principio del Nostro Pontificato, con una lettera all’Arcivescovo di Ravenna, Ci siamo fatti promotori dei restauri del tempio stesso presso cui riposano le ceneri dell’Alighieri, così ora, quasi ad iniziare il ciclo delle feste centenarie, Ci è parso opportuno rivolgere la parola a voi tutti, diletti figli (…) per dimostrare ancor meglio l’intima unione di Dante con questa Cattedra di Pietro”.

E poi San Paolo VI che, nel 1965, al VII Centenario dalla nascita, il 19 settembre donò una croce dorata “per arricchire il tempietto ravennate che custodisce il sepolcro di Dante. (…) Il 14 novembre inviò a Firenze, affinché fosse incastonata nel Battistero di San Giovanni, un’aurea corona d’alloro. (…) Infine, alla conclusione dei lavori del Concilio Ecumenico Vaticano II, volle donare ai Padri Conciliari un’artistica edizione della Divina Commedia. (…) Ma, soprattutto, onorò la memoria del Sommo Poeta con la Lettera Apostolica Altissimi Cantus, (…) la proclamazione di Dante quale signore dell’altissimo canto. (…) Valutando, inoltre, le straordinarie qualità artistiche e letterarie di Dante, Paolo VI ribadiva un principio altre volte da lui affermato: La teologia e la filosofia hanno con la bellezza un altro rapporto consistente in questo: prestando la bellezza alla dottrina la sua veste e il suo ornamento, con la dolcezza del canto e la visibilità dell’arte figurativa e plastica, apre la strada perché i suoi preziosi insegnamenti siano comunicati a molti”. Alla fine l’esortazione rivolta a tutti citando il IV canto dell’Inferno, verso 80: “Onorate l’altissimo poeta!”  

San Giovanni Paolo II ha fatto spesso riferimento nei suoi interventi al Sommo Poeta, in particolare nel maggio del 1985, in occasione della mostra Dante in Vaticano; allo stesso modo di Paolo VI ne sottolineava la genialità artistica: “L’opera di Dante (…) parla della vita dell’oltretomba e del mistero di Dio con la forza del pensiero teologico, trasfigurato dallo splendore dell’arte e della poesia, insieme congiunte”. Per Woytila la parola chiave è trasumanare: superare i limiti della natura umana. Primo canto del Paradiso versi 70-72: “Trasumanar significar per verba / non si poria: però l’essemplo basti / a cui esperienza grazia serba”. Parafrasi: “Non è possibile esprimere con parole il passaggio [dalla condizione umana a quella paradisiaca]; perciò l’esempio basti a colui al quale la grazia riserba [di farne] esperienza [diretta]”. La terzina ispirerà tutta la cantica: per Dante l’umano non deve distruggere il divino che è in noi e, al contrario, il divino non deve annullare il valore dell’umano. E tutto il percorso viene narrato in chiave teologica.

Benedetto XVI ha preso spunto dalla Divina Commedia, e non solo, per le sue riflessioni e meditazioni come nell’Enciclica Deus caritas est: “O luce etterna che sola in te sidi, / sola t’intendi, e da te intelletta / e intendente te ami e arridi!” (Paradiso XXXIII, vv. 124-126). Parafrasi: “O luce eterna che sola sussisti in te stessa, sola ti comprendi, e da te compresa e comprendente ti ami e gioisci!”. Vengono descritte le tre Persone della Trinità: chi comprende è il Padre, chi è compreso è il Figlio; insieme esprimono lo Spirito Santo in letizia d’amore. L’unità e l’identità sono caratterizzate dalla ripetizione del verbo “comprendere”. In realtà, ancor più sconvolgente di questa rivelazione di Dio [intesa] come cerchio trinitario di conoscenza e di amore è la percezione di un volto umano -il volto di Gesù Cristo- che a Dante appare nel cerchio centrale della luce. […] Questo Dio ha un volto umano e (…) un cuore umano. (…) Dante ci comunica poeticamente la novità della esperienza cristiana, scaturita dal mistero dell’incarnazione: la novità di un amore che ha spinto Dio ad assumere un volto umano, anzi ad assumere carne e sangue, l’intero essere umano.

 Papa Francesco conclude il breve excursus dei Pontefici sensibili alla letteratura di Dante con la sua prima enciclica, Lumen Fidei (La Luce della Fede), iniziata da Ratzinger, completata e firmata da Bergoglio. Per spiegare la fede ricorre alle terzine dantesche del XXIV canto del Paradiso (vv. 145-147): “favilla, / che si dilata in fiamma poi vivace, / e come stella in cielo in me scintilla”. Spiegazione in prosa: “la scintilla che poi si dilata in fiamma e splende nel mio animo come una stella in cielo”. Per i 750 anni dalla nascita del poeta, il Pontefice volle onorare la sua memoria augurando che “la figura dell’Alighieri e la sua opera siano comprese e valorizzate”. Proponeva di leggere la Commedia come “un grande itinerario, anzi come un vero pellegrinaggio, sia personale e interiore, sia comunitario, ecclesiale, sociale e storico. È un modello per l’umanità quando intraprende il viaggio per lasciare “l’aiuola che ci fa tanto feroci”, il piccolo spazio, ovvero il mondo che ci fa diventare crudeli per giungere ad una situazione contraddistinta “dall’armonia, dalla pace, dalla felicità”. Il Pontefice ha annunciato la lettera apostolica alla delegazione dell’Arcidiocesi di Ravenna -Cervia in occasione dell’apertura dell’Anno Dantesco, mettendo in rilievo come l’opera di Dante “possa arricchire la mente e il cuore di tanti, soprattutto giovani”. Per il Papa bisogna avvicinarsi all’opera del Divino Poeta, facendo tesoro dei suoi insegnamenti “essenziali”, oggi e nei secoli futuri.

Dante, travolto dalle vicende politiche della sua città (lotta tra Guelfi e Ghibellini; tra Guelfi bianchi e neri) dove aveva rivestito cariche pubbliche di un certo rilievo (Priore), fu condannato a morte in caso di rientro a Firenze. Diventa così ramingo, cercando ospitalità e protezione tra i Signori del tempo di alcune città della Penisola. In proposito significative le parole del suo antenato Cacciaguida: “Tu proverai sì come sa di sale / lo pane altrui, e come è duro calle / lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale” (Paradiso, canto XVII, vv. 58-60). Parafrasi: “tu proverai il sapore amaro del pane altrui, e com’ è faticoso salire e scendere le scale degli altri”. Il sapore di sale del pane perché Dante è costretto a essere sostenuto materialmente; salire e scendere le scale in quanto viene anche licenziato passando da un’ospitalità all’altra.

Per Bergoglio, Dante, nonostante i problemi esistenziali, non si dà per vinto. Anzi acquisisce consapevolezza che ha una missione da compiere: attraverso la poesia deve intraprendere un percorso, la retta via, per allontanarsi dalla selva oscura e arrivare in Paradiso, alla beatitudine eterna.  Di questo “ardito programma di vita” diventa messaggero, profeta e testimone. Nel Purgatorio Beatrice affida a Dante il compito di scrivere quanto ha visto: “Però, in pro del mondo che mal vive, / al carro tieni or li occhi, e quel che vede, /ritornato di là, fa che tu scrive” (Purgatorio XXXII, vv. 103-105). Parafrasi della terzina: “Però, perché tu possa recare vantaggio al mondo traviato, tieni fissi gli occhi al carro, e ritornato nel mondo, cerca di scrivere quello che tu ora vedi”. Anche Cacciaguida gli raccomanda di denunciare le malefatte: “Ma nondimeno, rimossa ogne menzogna / tutta tua vision fa manifesta; / e lascia pur grattar dov’è la rogna” Paradiso, XVII, vv. 127-129). Parafrasi della terzina: “Tuttavia messa da parte ogni menzogna, dichiara ciò che hai visto; e lascia che chi ha la rogna se la gratti”. Un incitamento a vivere senza paura o timore reverenziale arriva da San Pietro che lo esorta: “E tu figliol, che per lo mortal pondo / ancor giù tornerai, apri la bocca, / e non asconder quel ch’io non ascondo” (Paradiso XXVII, vv. 64-66). Spiegazione in prosa della terzina: “… e tu figliolo, che per il peso mortale [del corpo] tornerai ancora sulla terra, parla, e non nascondere ciò che io stesso non nascondo”. Denuncia verso i credenti cattolici, siano papi o semplici fedeli, che tradiscono Cristo usando la Chiesa per i propri interessi.  Nel contempo si fa portavoce di un rinnovamento invocando la Provvidenza: “Ma l’alta provedenza, che con Scipio / difese a Roma la gloria del mondo, / soccorrà tosto, sì com’io concipio” (Paradiso XXVII, vv. 61-63). Spiegazione in prosa dei versi: “Ma la Divina Provvidenza, che con Scipione assicurò a Roma la gloria del mondo, presto interverrà, come io già conosco”. Secondo la visione di Dante la Divina Provvidenza interverrà per la gloria dell’Impero, come nel suo pensiero politico (De Monarchia).

Bergoglio si sofferma sulla politica del tempo con il pensiero rivolto all’attualità: “In questo particolare momento storico, segnato da molte ombre, da situazioni che degradano l’umanità, da una mancanza di fiducia e di prospettive per il futuro, la figura di Dante (…) può ancora donarci parole ed esempi che danno slancio al nostro cammino”. Ho scelto le parole di Giorgio Barberi Squarotti, critico letterario e poeta, per chiudere il pezzo: “… non possiamo evitare di domandarci se non siano proprio le utopie e i sogni dei grandi come Dante a segnare, soprattutto nei momenti di crisi, la direzione futura del cammino umano”.

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