La letteratura calabrese nel Settecento: una breve sintesi

Scritto da  Pubblicato in Francesco Vescio

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francesco_vescio-ok_48ed3-1_c2018_736f4_c645b_efd06.jpgLa letteratura calabrese nel corso del XVIII secolo non solo si è svolta in stretta aderenza al clima culturale nazionale, dando dei contributi rilevanti al dibattito artistico ed estetico del tempo, ma in qualche caso ne ha anticipato alcuni aspetti, che avranno sviluppi rilevanti nel futuro; nello stesso tempo tanti letterati hanno trattato problematiche proprie della regione principalmente nell’ambito delle accademie presenti nel suo territorio. Fra gli intellettuali del tempo s’incontrarono fondamentalmente due diverse tendenze una rivolta alla tradizione classicheggiante un’altra all’innovazione di carattere illuministico. Nel presente scritto si cercherà di delineare negli aspetti più significativi le caratteristiche più pregnanti della letteratura calabrese del Settecento sia dal punto di vista prettamente locale sia da quello dei suoi legami con la cultura nazionale ed europea; si ritiene opportuno, prima di affrontare le problematiche più strettamente letterarie, indicare quale fosse la situazione sociale e culturale della Calabria nel Settecento per come riportato nel seguente brano: “Dominata per secoli da classi parassitarie, immobili e conservatrici, la Calabria degli Spagnoli, degli Austriaci (1707- 1734) e dei Borboni era frazionata in grandi feudi privi di traffici e di consumi, di denaro, in misere condizioni urbanistiche. Dal feudo e dal latifondo le plebi rurali continuavano ad alimentare un brigantaggio di difesa e di opposizione […] Insistiamo sulle strutture economiche e sociali della Calabria perché non si dissoci la letteratura e la cultura dalla società, non si considerino gli intellettuali calabresi operanti come organicamente presenti nella regione, non si ritenga che la cultura calabrese sia costituita soltanto da glorie letterarie e non anche dalle espressioni dei ceti popolari e delle plebi subalterne […] Nel Settecento l’immutabilità della vita comincia a spezzarsi per il passaggio dei feudi da una mano all’altra, per una comunicazione più intensa del pensiero e della cultura […] Il ceto borghese diventa il protagonista di un lento movimento di riforme, legato a quello napoletano e per riflesso a quello nazionale, interpretando le esigenze unitarie con i Grimaldi [ Di essi si tratterà brevemente in seguito, N.d.R.], il Salfi e altri nei quali si tramanda l’eredità della più avanzata cultura regionale, quella telesiana, antiaristotelica, che si trasforma in affermatrice di libertà” (Antonio Piromalli, La Letteratura Calabrese, Guida Editori, Napoli, 1977, pp. 110-111).                                                                                                                                                                                              

Per esplicitare meglio la novità e la portata del rinnovamento culturale della Calabria nel secolo XVIII si riporta il passo successivo in cui viene ben delineato il nuovo clima razionalistico che si irradia nella regione grazie anche ai legami con gli ambienti intellettuali nazionali ed europei: “Il razionalismo cartesiano dell’inizio del Settecento si svolse altrettanto naturalmente nelle varie forme della cultura illuministica, a cui anche la Calabria partecipa con figure di primo piano. Basterà ricordare l’anticurialista Salvatore Spiriti; il Serrao, che è tra i rappresentanti più insigni del giansenismo meridionale; e vanno menzionati soprattutto i due fratelli Francescantonio e Domenico Grimaldi, diversamente impegnati, il primo essenzialmente in un’opera di approfondimento culturale e teorico, l’altro in un’attività di concreta riforma dell’economia agricola della regione” (Natalino Sapegno, Tradizione Classica e Utopismo Religioso, in ‘tuttitalia – Enciclopedia dell’Italia Antica e Moderna – Calabria’, Sansoni, Firenze, p. 42 ).

Al fine di puntualizzare più esplicitamente l’apporto dei letterati calabresi al rinnovamento culturale nel Settecento si riporta il brano successivo: “Se l’avvio alla grossa e lunga polemica antimarinista è dato da un lucano, Tommaso Stigliani, la generazione seguente trova nell’Accademia cosentina il centro della sua opposizione, per opera di Pirro Schettini, che raccolse intorno a sé una specie di combattiva scuola. Ancora una volta la Calabria non è assente, e neppure si limita a ricevere passivamente i messaggi letterari altrui, ma irradia idee. Non si tratta di retroguardia, di un attardarsi su posizioni sorpassate; Cosenza, combatte il Marino in nome della tradizione, è contemporaneamente anche il centro, dopo Telesio, dell’antiaristotelismo meridionale. Il che vuol dire che quegli oppositori non estendevano il loro tradizionalismo oltre il campo strettamente letterario e formale, non sognavano impossibili ritorni a forme di pensiero ormai anacronistiche. Il loro atteggiamento era insieme fedeltà e ribellione: gl’istinti fondamentali che, misteriosamente fondendosi, costituiscono il particolar modo calabrese d’essere uomini. Da questa considerazione bisogna partire, se vogliamo intendere la figura e l’insegnamento d’un altro grande calabrese: di Gian Vincenzo Gravina [...] La sua Ragion poetica contiene anche una storia per sommi capi della letteratura greca, latina e italiana, intesa come storia delle tre civiltà; dà limpidi giudizi critici; soprattutto li ordina in linee destinate a diventare tradizionali nella nostra storiografia letteraria […] Le sue tragedie nascono appunto – egli dice -  << sotto la scorta di Ragione poetica- Alla quale ubbidiscono le regole>>. Anche i diretti discepoli di lui, il Rolli e il Metastasio, che poi sono col Frugoni i maggiori poeti del primo Settecento, vanno per vie apparentemente diverse da quelle indicate dal maestro; ma solo apparentemente: la poesia arcadica resta sempre, nel suo nucleo essenziale, poesia della ragione, della graviniana ragione” (Umberto Bosco, L’Apporto della Calabria alla Letteratura Nazionale, in ‘Il Ponte, n. 9-10/1950’, La Nuova Italia, Firenze, pp. 1086-1087, reprint a cura di Gianfranco Manfredi e Pantaleone Sergi, Editoriale Bios, Cosenza, 1994 ).

Un notevole contributo al rinnovamento culturale regionale e nazionale lo diede Francesco Saverio Salfi, di cui riporta di seguito un succinto profilo:“Nacque a Cosenza il 1°gennaio 1759. Fu educato il Salfi da bravi sacerdoti e divenne prete. Fu un prete illuminista. E questo naturalmente fece scandalo. Il terremoto del marzo 1783 gli suggerì l’illuministico Saggio di fenomeni antropologici relativi al tremuoto(Napoli 1785) in cui forte è la polemica contro il clero che spiegava questo fenomeno naturale come un castigo di Dio. Dell’anno 1789 è la Memoria sull’ospedale di Cosenza. Ma il 1789 è l’anno soprattutto della Rivoluzione francese. Fu una grande rivoluzione, la quale abbatteva il feudalesimo, la monarchia assoluta e proclamava l’uguaglianza, la libertà, la fratellanza degli uomini. Francesco Saverio Salfi si trasformò da illuminista in giacobino, cioè in rivoluzionario. Comincia così la sua lunga carriera di perseguitato, che lo porterà, dopo il 1799 della Rivoluzione napoletana, a rifugiarsi e a morire in Francia nel 1832. Scrisse 47 opere delle quali 15 inedite […] Risplende e trionfa come storico della letteratura italiana. Si cimentò dapprima con la Histoire litteraire d’Italie del Ginguené . Fece delle aggiunte e vi aggiunse il capitolo della storia della letteratura italiana del Seicento, e di questo secolo dà una rappresentazione decisamente nuova: non un secolo di decadenza pura e semplice, ma ricco di pensiero scientifico. Nel 1826 pubblicò il Résumè de l’Histoire de la literature italienne, che vide la luce in italiano a Lugano nel 1831 con il titolo di Ristretto della Storia della letteratura italiana : dalle origini al primo Ottocento. È diviso questo Ristretto, cioè questa sintesi della letteratura italiana, in sette periodi. Ogni periodo ha inizio dalla nascita di un grande poeta ed è chiuso dalla sua morte, ed è ovvio che il primo periodo inizi con la nascita di Dante e si chiude con la morte di Dante. Così per il Petrarca. Il Salfi crede nei generi letterari e racconta la letteratura italiana per generi letterari. Accomuna gli autori secondo i generi letterari: novella, commedia, dramma pastorale, tragedia, romanzo, e così via. È un metodo ormai fuori corso. Ma conta di più rilevare che in alcuni capitoli singoli autori il Salfi ha intuizioni critiche anticipatrici e ancora non messe in discussione [...] Per concludere: letteratura e società devono procedere insieme, secondo il Salfi. E questa idea di letteratura militante balza evidente da tutte le pagine del suo  Ristretto, primo grande esempio di come si pensa e si scrive una storia della letteratura italiana”. (Pasquino Crupi, Sommario di Storia della Letteratura Calabrese per Insegnanti di Lingua Italiana all’Estero- Profili 1, International A M Edizioni, Reggio Calabria, 2002, pp. 89-90 ). Per avere un quadro puntuale della diffusione della letteratura nella Calabria del Settecento si deve tenere conto del fatto che nella regione oltre alla più nota Accademia di Cosenza ce ne erano tante altre che svolgevano un ruolo molto significativo di aggiornamento e di animazione culturale e favorivano in modo fervido la circolazione delle idee.                                                                                                                      

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