Pascoli di Macchialonga, il giro del mondo in venti chilometri e il Grand Tour dentro noi stessi

Scritto da  Pubblicato in Francesco Bevilacqua

© RIPRODUZIONE RISERVATA

francesco-bevilacqua-foto-blog-nuova_80da1_19973_ea258_59f1c.jpg

Cos’è il vento? Rispondo come Agostino d’Ippona quando gli chiesero del tempo: “se me lo chiedi lo so, se mi chiedi di spiegarlo non lo so più”. Si, potrei parlarti di alta e bassa pressione, di isobare, di scambio di masse d’aria… Ma non ti avrei mai detto, realmente di lui, di chi anima il vuoto apparente dentro cui ci muoviamo, oggi, fra le montagne cantate da Virgilio: “pascitur in Magna Sila formosa iuvenca”. Dieci giorni dieci! Di dolori alla schiena, ai fianchi, ai piedi. Con due cammini, in mezzo, necessari perché di pronto soccorso ai luoghi e alle comunità (il primo a Cozzo Cervello, il secondo a Monte Mammicomito). Senza farmaci, per scelta. Con allarme per l’origine e le conseguenze di quei dolori. Consapevolezza che trentotto anni di escursioni, zaini, maltrattamenti del mio apparato osteoarticolare non possono restare impuniti. Due nuovi plantari da provare, con la speranza di raddrizzare l’andatura. E allora Sila, l’amica rassicurante! Da Zarella verso Macchialonga, con i miei “erranti”. Nelle intenzioni (?), una semplice passeggiata per capire le mie reali condizioni fisiche. Ecco l’amato passaggio scandinavo di Guido Piovene, “con i pini più alti e slanciati degli abeti norvegesi”. Alternarsi di luce e ombra, di grigi e bianchi nel cielo e di mille sfumature in terra, fra il giallo e il carminio. E lui, il vento, che oggi spira solenne e indomabile, come per scuoterci, sollevarci, disseminarci ovunque. Pioggia di foglie! O sono effimere farfalle autunnali? “Siamo entrati nel luogo dei prodigi naturali”, commenterebbe Alberto Savinio. Scendo dal piedistallo razionale su cui mi ha collocato la settimana di lavoro. “Non puoi venir qui con l’orgoglio degli uomini!” pare dire il bosco. Non si entra nel numinoso credendosi un nume! Devi farti sabbia, muschio, pietra, pulviscolo, foglia … dimenticare la fretta, espellere il pensiero raziocinante, far fluire i sensi oltre ogni limite, sentirti parte del Tutto. Come un mistico nella sua trance. Sulla glabra cima di Serra Ripollata, che domina Macchialonga. Come spiriti traversiamo la teoria di valli e colline che ricordarono a Kazimiera Alberti la polacca selva primigenia di Bialowieza. Poi la ricerca del passaggio sul fianco di Cozzo del Principe. Vagando sino alla rupe, che ci regala il più bell’angolo del Grande Ovest americano. Con l’azzurra macchia slabrata del Lago Cecita incorniciata nel ricamo delle conifere. Poi il Bosco del Corvo e Colle Napoletano, come la Taiga siberiana negli occhi di Norman Douglas. E poi Pino Grande, Quattro Vie e di nuovo Zarella, con le cortecce dei pini ancora segnate dalla raccolta della pece bruzia. Corpo e anima ci hanno guidati per sette ore. Hanno sopraffatto ogni ragionevole cautela. Il mio apparato osteoarticolare ha dimenticato il dolore: la Sila è un lenimento, un antidolorifico, un disinfiammante. Non siamo più semplici escursionisti ma pellegrini. Ciascuno sperso in un viaggio geografico e nello stesso tempo interiore. Abbiamo visto, con gli occhi di chi venne quaggiù, luoghi remoti, paesaggi esotici. Ho perso il conto della distanza macinata. Alla fine sono venti: venti chilometri per il giro del mondo... e un Grand Tour dentro noi stessi.

© RIPRODUZIONE RISERVATA