“Questo è per te!”

Scritto da  Pubblicato in Angelo Tedeschi

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angelo-tedeschi_2167e.jpgChe fosse spigolosa lo percepiva anche un bambino. Tra i quarantacinque e i cinquant’anni ben portati nei suoi eleganti tailleur-gonna, la professoressa di italiano e latino Armida Zagli incuteva soggezione a noi studenti. Sarà stato per i suoi occhi taglienti di un celeste laghetto alpino, per gli zigomi forti, per le sue labbra sottili con un velo di rossetto o per tutti questi tratti del viso racchiusi in uno sguardo penetrante, fatto sta che la professoressa trasmetteva messaggi corporei improntati a severità di giudizio. E nei tre anni di scuola media inferiore avrei avuto modo di conoscerla bene, molto bene.

Ma procediamo con ordine.

Il distacco dalla scuola elementare era stato triste, poiché si era verificata la diaspora dei compagni di classe verso altre scuole o, sia pure all’interno dello stesso nuovo istituto, in diverse sezioni per via della lingua straniera.

Ricordo che in quella estate, forse più di ogni altra, avevo continuato a frequentare con assiduità alcuni tra i più cari compagni delle elementari, come a voler rinsaldare un legame nonostante l’imminente separazione. C’erano Pasquale, Giuseppe, Nicola, Michele, Marco con i quali mi incontravo ogni pomeriggio. Trascorrevamo la maggior parte del tempo giocando a pallone sul piazzale attiguo alla nostra cara, vecchia scuola elementare “Giuseppe Mazzini”, un imponente edificio di due piani risalente ai primi anni del secolo scorso.

La nostra passione calcistica era stata rinfocolata da un evento straordinario: la nazionale di calcio aveva appena vinto gli Europei. Era la prima volta, dai mondiali del 1938, che l’Italia calcistica riusciva a conquistare un titolo importante dopo anni di mediocrità sfociati nella sconfitta contro la Corea del Nord. Gli eroi della finale di Roma erano impressi nella memoria e, a ogni tocco di palla, pensavo di essere questo o quel campione azzurro. Pur essendo le partitelle tra non più di sei partecipanti con portiere “volante” - come veniva definito l’estremo difensore avente licenza di svariare per tutto il lastricato di mattoni - sembravano, per intensità emotiva, partite di undici contro undici nello stadio Olimpico gremito all’inverosimile.  

Invece, di mattina frequentavo uno stabilimento balneare alla periferia nord della mia città. Ci andavo con mia zia, con un paio di simpatiche casalinghe e con le loro due figlie, tutte residenti nell’edificio di tre piani in cui abitavo. Eravamo stipati - è il caso di dirlo - nella Opel Rekord color crema a due sportelli anteriori, con impianto a gas, condotta piuttosto maluccio dalla sorella di mia madre. Il tragitto durava una trentina di minuti, un po’ per la guida incerta, un po’ per il traffico cittadino.

Anche nelle caldissime mattinate trascorse in spiaggia, tra una nuotata e l’altra in uno specchio d’acqua in cui talvolta fluttuavano branchi di pigre meduse, ripensavo con una punta di apprensione all’anno scolastico in procinto di iniziare e alle difficoltà  connesse ad un livello superiore di studi. Guardando al passato, riflettevo sul fatto che avevo imparato a conoscere il maestro di scuola elementare e lui aveva capito come ero fatto io. Sapevo della sua stima nei miei riguardi al punto che mia madre, nel periodo dei colloqui, riceveva sempre la stessa risposta: “Signora, può anche fare a meno di venire perché suo figlio va bene.” Gratificazioni come questa mi ricaricavano ed io, in quella delicata fase della crescita, avevo bisogno di incoraggiamenti. Ora, invece, si insinuava un tarlo tra gli occhi un po’ arrossati per la salsedine, i capelli bagnati di acqua marina e i brani musicali provenienti dalla radiolina transistor della signora Ernesta: ce l’avrei fatta? 

Il primo nodo da sciogliere concerneva la lingua straniera.

Infatti, la maggior parte dei miei compagni di classe aveva scelto l’inglese; io, invece, nella domanda di iscrizione avevo indicato il francese, la stessa lingua parlata da mia zia. Con il senno del poi devo riconoscere che questa decisione, maturata per il timore di dover affrontare una materia senza il supporto di un familiare già erudito a riguardo, mi aveva fatto perdere un’occasione per studiare da subito una lingua straniera più utile. 

Ma, a posteriori si possono riempire quaderni di recriminazioni senza riuscire a cambiare il corso degli eventi. Solo molti anni dopo avrei trovato il tempo e il coraggio di iscrivermi a un corso base di inglese organizzato dalla sede periferica di un noto college britannico, e avrei finanche superato il test finale per il conseguimento del secondo livello di apprendimento.

(fine prima puntata)

di Angelo Tedeschi 

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